Il porto dei miracoli

Il porto dei miracoli Livorno si propone come modello che in Italia non ha imitatori Il porto dei miracoli Favorito da un patto sociale (non scritto, ma realizzato) fra imprenditori e portuali in cinque anni ha triplicato le esportazioni di merci pregiate mentre il movimento dei containers è salito da 38.395 a 305.874 unità - Qualche segno di flessione DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE LIVORNO — Del porto di Livorno dicono tutti un gran bene, fino all'iperbole del «quinquennio magico. 1976-1981 (pur con qualche recente battuta a vuoto rivelata dalle statistiche di fine novembre), favorito dal patto sociale, non scritto ma realizzato, tra imprenditori privati ricchi di iniziativa e portuali capaci di innestare un solido pragmatismo sulle tradizioni libertarie come sull'antica tendenza toscana alle astrazioni e alla polemica. I numeri confermano i giudizi positivi: in cinque anni triplicate le esportazioni di merci pregiate, il movimento dei .containers» salito da 38.395 unità a 305.874, 200 mila automobili imbarcate in un anno, necessità di reclutare altri lavoratori portuali in aggiunta ai 2300 occupati attualmente con guadagni superiori a quelli di Genova. La città sente i benefici ma anche il peso di questa crescita impetuosa e disordinata. Gli autotreni e i contenitori invadono ogni spazio, le strade che corrono sui canali e sotto le mura del porto mediceo sembrano ribollire di traffico. Livorno era stata per anni, dal dopoguerra, una città di piccoli mercati semiclandestini, alimentati dal vicino campo americano del Tombolo. Viveva in una mediocrità pari a quella delle sue architetture pseudo-moderne, ereditate dal fascismo e confermate dalla ricostruzione dei quartieri settecenteschi bombardati a tappeto. Priva di un cuore antico (i Medici fondarono Livorno nel 1577 come «città ideale», di pianta pentagonale, sovrapponendola ai resti del porto pisano) Livorno appariva un'isola nella Toscana più nobile e monumentale; diversa anche nell'animo, perché un tempo rimescolata all'interno da forti correnti di immigrati. Ma proprio questi connotati hanno contribuito, forse con la presenza americana che ha infittito i traffici marittimi atlantici, a provocare uno scatto di vitalità. Tutti hanno preso la rincorsa, e in direzione della rinascita portuale. Qui i lavoratori della compagnia amministrata da un console, come a Genova, sono anche imprenditori. Possiedono magazzini per 160 mila metri cubi, gru, 220 mezzi semoventi. Gestiscono quattro «terminals » per i contenitori. «La nostra fortuna sta nella mancanza di un ente portuale,- mi dicono alla Camera di Commercio, che ha compiti promozionali e di coordinamento. Non esiste a Livorno un unico ente con pieni poteri, come a Genova, Napoli, Venezia. Il porto, con i suoi moli e le sue banchine, appartiene allo Stato che lo controlla attraverso la capitaneria. Le gru e i magazzini sono in parte affidati a un'azienda apposita, di interesse pubblico. Ma anche i privati possono attrezzare aree a terra: la Camera di Commercio ha suoi magazzini e mezzi meccanici; società private dispo igono di loro «terminals» specializzati all'interno e immediatamente a ridosso del porto, in gara per offrire la maggiore velocità nelle operazioni di imbarco, sbarco, inoltro delle merci. Il presidente della Camera di Commercio, Angelo Mancusi. mi dice: 'Nel porto abbiamo un sistema misto; la suddivisione degli spazi e dei compiti è frutto di una dialettica tra le parti sociali. Non esistono poteri assoluti. Noi rappresentiamo una somma di interessi economici, curiamo le statistiche e le pubblicazioni portuali, proponiamo progetti di ampliamento o di ammodernamento. I lavoratori e gli operatori privati fanno la loro parte; gli uni e gli altri hanno colto al volo l'occasione offerta dalla rivoluzione nelle tecnologie dei trasporti marittimi, in particolare dalla rivoluzione dei contenitori-. L'imbarco dei contenitori è una manifestazione della vitalità dell'industria e dell'artigianato in Toscana, ma anche dell'agricoltura specializzata. Al primo posto nelle statistiche la voce -macchine e apparecchi-, seguita da «vini» (134 mila tonnellate in un anno, in gran parte Chianti per gli Stati Uniti), da «legname lavorato» ossia mobili, da pelletterie e altri prodotti artigianali. Ma arrivano macchine e apparecchi anche dalla Svizzera, dalla Germania. dall'Austria. La Camera federale dell'economia austriaca sta considerando il progetto di fare base a Livorno per le esportazioni verso l'Africa e il Medio Oriente. •Siamo più veloci degli altri porti italiani, ancìie se in qualche caso più cari. Agli armatori e agli esportatori o importatori conviene pagare qualcosa di più per tenere la nave il meno possibile ferma e far arrivare la merce, a destinazione nel minor tempo pos¬ sibile-, mi dice il presidente della Camera di Commercio. Per sveltire ancor più i traffici sono in corso i lavori della «darsena Toscana». 3 chilometri di banchine larghe 400 metri. 39 miliardi di spesa (il finanziamento statale è stato concesso con leggi e piani diversi dal 1974 in avanti). Si progetta una «darsena Europa» alla foce del canale scolmatore dell'Arno, ancora più grande. L'espansione ulteriore del porto di Livorno è però bloccata dall'esistenza di un confine non soltanto amministrativo: il canale scolmatore dell'Arno, da cui parte lo storico canale dei navicelli. La riva sinistra lambisce il porto, la destra appartiene a Pisa. Da quella parte esistono vastissime distese piane, confinanti con le piante e le macchie costiere del Tombolo, che una logica esclusivamente portuale indicherebbe come aree ideali per depositi, magazzini, centri di smistamento serviti da nuovi canali. Pisa teme l'invasione livornese, non soltanto per motivi di campanile. L'intera zona è delicatissima dal punto di vista ambientale: verso Tirrenia è vincolata a parco naturale, a monte è coltivata intensamente da aziende agricole. Per evitare conflitti. Livorno sembra puntare sul suo entroterra, più limitato, e lancia l'idea di un «centro intermodale», o centro di smistamento dei traffici, verso Colle Salvetti. Difficilmente Livorno potrà raggiungere le dimensioni di una «Anversa mediterranea». Mancano strade e ferrovie verso la valle Padana; il raddoppio e il potenziamento della linea di Pontremoli. previsti in data da precisare, darebbero un sollievo limitato. Eppure, entro questi limiti, il porto di Livorno, si propone come un modello che in Italia non ha ancora trovato imitatori capaci di migliorarlo. Non è perfetto, ma è preferibile al vecchio schema della staticità portuale. Mario Fazio

Persone citate: Angelo Mancusi, Mario Fazio, Salvetti