II Bosforo diventa più largo

II Bosforo diventa più largo LA TURCHIA ALLA DERIVA SOTTO IL VENTO DELL'ISLAM II Bosforo diventa più largo «Noi guardiamo disperatamente a Ovest, ma i nostri piedi sono piantati in Asia» - Ankara aderisce alla Cee, ma ha visto negli ultimi due anni diminuire le esportazioni verso l'Europa e aumentare quelle verso il Medio Oriente - Tecnici e operai Germania, ma verso il mondo arabo ISTANBUL — Montando' in cima alla vecchia Torre Galata. nella collina che raccoglie il quartiere ambiguo di Karamóu, la terra che si vede scendere dentro il Bosforo è l'ultimo petto d'Europa, il suo lembo estremo. Il disegno dei tetti d'ardesia traccia un intrico di vicoli stretti e contorti che sembrano quelli tra via Pre e piatta Banchi, nel centro storico di Genova, e i segni e le memorie dell'antica colonia ligure stanno ancora ben radicati nel lastrico polveroso di quest'angolo di Costantinopoli che si tuffa in mare. Ma dall'altra parte del Bosforo, a poche centinaia di metri d'acqua lurida e increspata, la terra che si vede sorgere dalla nebbiolina sottile è già l'Asia. I traghetti che fanno la spola tra la banchina di Katabas e quella di Vskildar mescolano ratte e storie senta distinzione: la gente che arriva ha la stessa faccia di quella che parte, occhi, veli, pelli di pecora si confondono, nell'indifferenza. Le grandi auto americane traghetta accanto ai carretti di verduta tirati dal mulo. L'Occidente finisce qui. ma qui comincia anche l'Oriente e non c'è nessuna frontiera in metto. Tutto è Turchia, questa doppia anima che ha accompagnato i cavalieri ottomani fin sotto le mura di Vienna ma anche nelle steppe persiane dell'Asia la tormenta ora nei suoi giorni difficili. La Turchia ha una crisi inguaribile d'identità, e il vento che le soffia alle spalle dalle gole del Caucaso le toglie ogni residuo di tranquillità. Il capo della giunta militare che regge il Paese due settimane fa ha chiesto ai governi europei: .Una sola domanda io vi faccio: a chi gioverebbe un distacco della Turchia dall'Europa?'. // generale Evren si sente erede legittimo di Mustafà Kemal. e del vecchio .padre dei turchi, ha tutte le paure e te ossessioni, come se non fosse passato ormai metto secolo e la storia di questa terra 'emesse ancora le lacerazioni di un impero che si era consumato nell'impotenza di confini troppo vasti. Kemal Ataturk aveva strappato al suo dfficile passato il grande pianoro dell'Anatolia, con una guerra orgogliosa che si faceva capace di rifiutare l'eredità ambiziosa del califfato. Era un sacrificio grandioso per realismo e utopia, ma dentro si costruiva un ancoraggio solido al fascino dell'Europa laica e industriale. Il vento d'Oriente scuote ora con violenza quell'ancoraggio, e a soffiare dentro questo turbine di paure ci sono t vecchi fantasmi dell'Islam e del dispotismo asiatico. Nella corte alberata dell'Università un vecchio professore saggio ila sua saggezza si spinge a chiedere al giornalista straniero il cauto rispetto dell'anonimato) scuote la testa con rassegnazione e confessa la sua paura: •Forse non si può violare la geografia, forse quel lembo d'Europa ci è estraneo e la vera Turchia è questo rettangolo tagliato già nel corpo dell'Asia. Noi guardiamo disperatamente a Ovest, continuiamo a farlo con un coraggio che prof urna d'illusione, ma i nostri piedi sor. piantati a Oriente e la ci vogliono portare •. Pronunciate fn un pomeriggio freddo d'autunno, tra le foglie che il vento spazzava a raffiche lungo un viale solitario, queste parole si coprivano d'una drammaticità assai intensa, cui la richiesta dell'anonimato aggiungeva i toni cupi del sospetto che oggi inquina ogni colloquio con un turco, specie se un intellettuale. Sella Turchia di questi tempi le paure si cancellano a forza di decreti, e la sua 'europeità' non può essere nemmeno discussa. In questa passeggiata tristissima (è singolare quanto amino passeggiare all'aperto gltntervistati di questo Paese, come se in casa o in ufficio temessero orecchie indiscrete! il discorso finiva sempre per rimbalzare dentro quel muro angosciante di una identità nazionale difficile e ambigua, segnata dall'Asia ma tentata dall'Europa. E il silenzio calato lentamente su un dialogo pieno solo di amarcele c paure ritrovava al- e a n o di a a ti e ti e a, ale a o a eati oo lsa ri 28 o flmprotu'Uo l'eco e la memoria d'una sinfonia di Beethoven ascoltata ad Ankara. Era stato il 16 settembre dello scorso anno, quando i cinque generali che formano il nuovo direttorio politico della Turchia avevano giurato il loro servizio «alla causa della nazione-. La cerimonia era solenne e presuntuosa, con un taglio che univa certo brusco impaccio militare alle pompe compiaciute delle grandi feste d'Oriente. I damaschi azzurri e rossi inquadravano il salone affollato di dignitari, e il brusio leggero dei commenti si perdeva senta difficoltà sotto i larghi spazi geometrici del soffitto. Le parole del giuramento erano cosi risuonate nitide e precise, in un'atmosfera di silenzio e di attesa curiosa: ma la fomula si era appena chiusa che un altoparlante aveva inondato il salone con una musica splendida e sconcertante: la Quinta di Beethoven. E le note solenni della sinfonia avevano poi accompagnato con un contrasto stridente il lungo rito d'omaggio che una fitta coda di autorità aveva reso al nuovo potere, tra medaglie luccicanti, abiti scuri e i turbanti candidi dei capi religiosi. Camuffato da quella musica, il balletto ossequioso dei dignitari aveva finito per assumere un andamento innaturale, ai limiti di un immaginifico Oriente montato tra i canovacci grossolani di Cinecittà. Ma la scelta della sinfonia e dell'autore era stata un messaggio inequivocabile, la cui ingenuità si riscattava nel tormento inquieto che l'aveva motivata: la paura di 'perdere' l'Europa. • Quei colpi di tamburo che aprono 11 primo tempo della sinfonia, ta-ta ta-tàn —- dice t/ vecchio professore tracciando i colpi nell'aria —, erano certamente un richiamo disperato all'Occidente, la voluta sottolineatura di un legame che potrebbe trovare le sue radici perfino nella passione che Ataturk aveva per la Germania come Paese leader della cultura europea». // professóre non sa molto di quella cerimonia, perché in quei primi giorni del golpe viveva fuori casa per paura di essere arrestato: ha ascoltato ora con interesse la ricostruzione che gli fa il suo intervistatore, e non ha dubbi a raccogliere e fissare il valore politico che i generali intendevano attribuire alla loro scelta musicale. Questo desiderio disperato d'Europa copre ogni atto ufficiale della repubblica, e trova con insistenza una sua attualità anche quando le contraddizioni — le marce, gli inni, una parte del cerimoniale — hanno un sapore vago d'Oriente. La Turchia è membro associato della Comunità Europea, fa parte integrante della Nato e del Consiglio d'Europa, manda 800 mila suoi emigrati a lavorare nei cantieri e nelle fabbriche te desche: ha fatto tutto quanto è possibile per restare attaccata al resto del mondo occidentale, ma cinquantanni di testarda volontà non bastano a cancellare il peso del suo passato e. soprattutto, ad allontanare il Paese da un'inquieta deriva verso Oriente. Il vecchio professore ci racconta di sei anni fa. quando fu presentato un grandioso progetto che doveva proietta re la Turchia verso un boom economico fino a farle rag giungere nel 1995 il decimo posto nella classifica dei Paesi industrializzati: ebbene, la cerimonia si dovette sospenderla perché era venuta a mancare l'energia elettrice • Altrove sarebbe stato soltanto un curioso paradosso, ma qui da noi era un segno amaro di realismo». La Turchia sconta d'essere alla periferia estrema dell'Occidente. La sua struttura eggacddc economica è ancora quella del sottosviluppo, con il 60 per cento di lavoratori impegnati nell'agricoltura: e la sua società ha le disfunzioni gravi del vecchio mondo d'un tempo, con il 47 per cento di analfabeti e un numero di medici e d'infermieri che non copre nemmeno un terzo dello standard europeo. Il tasso d'incremento demografico i da Terzo Mondo (2.8 per cento! e i 600 mila giovani che ogni anno arrivano sul mercato del lavoro trovano sempre più difficile una chance realistica d'impiego. La deriva s'accentua. l'Europa guarda con diffidenza crescente il temporeggiamento e i generali al potere. E quasi a trovare una conferma inquietante alle paure che oggi percorrono la società turca ecco che il flusso dei mercati trova un rovesciamento improvviso: le esportazioni, che nel 79 erano state per il 50% dirette in Europa e per il 13 dirette in Medio Oriente, nei primi quattro mesi di quest'anno avevano portato al 37 per cento la quota mediorientale e ridotto al 30 per cento quella europea. Diventata un crocevia privilegiato dopo lo scoppio della guerra del Golfo tra Iraq e Iran, la Turchia si trova quasi costretta a scoprire i buoni affari che si possono realizzare nei mercati del Medio Oriente. Già HO mila operai e tecnici turchi sono emigrati verso le città e i cantieri del mondo arabo, e i soli investimenti per ingegneria civile superano i 6 miliardi di dollari. Dall'Algeria alla Libia, alla Nigeria, al Sudan, all'Iraq soprattutto, l'ammontare dei traffici è raddoppiato o triplicato: si apre una frontiera nuova, che le paure del passato avrebbero preferito ignorare. Nessuno ancora osa tirare in mezzo l'Islam, e le moschee dorate d'Istanbul accolgono con discrezione il flusso ora crescente di fedeli che piegano la fronte sui tappeti antichi dell'Oriente, verso l'orizzonte lontano della Mecca. Affari e religione non sono ancora la stessa cosa, anche se segnalano una conferma: ma qui soprattutto c'è divieto di accorgersene. Il generale Evren continua a guardare verso l'Europa, però l'Europa da qui pare farsi sempre meno vicina Mimmo Candito Otto anni fa veniva inaugurato il ponte gettato sul Bosforo a unire due continenti. Europa e Asia

Persone citate: Banchi, Beethoven, Evren, Kemal Ataturk, Mimmo Candito, Mustafà Kemal, Torre Galata