In quella casa senza guardiano si divorano tre vite solitarie
In quella casa senza guardiano si divorano tre vite solitarie La commedia di Pinter al Gobetti col gruppo della Rocca, regia di Vezzosi In quella casa senza guardiano si divorano tre vite solitarie TORINO — Bell'esordio, meritori applausi, l'altra sera, al Gobetti, per il Guardiano di Harold Pinter. nell'allestimento d'uno dei due «rami» del Gruppo della Rocca, regia di Roberto Vezzosi. Scritta nel 1959 da un Pinter pen ri novenne, questa commedia, allestita ormai nei teatri di tutto il mondo, trasmessa sul piccolo schermo (da noi. col trio Peppino De Filippo Capolicchto - Pagliai, quattro anni fa, regia di Edmo Fenoglio), tradotta in film (da Olive Donner. nel '62, Orso d'Argen to ad un festival di Berlino), è una delle più rigorose e proprio per questo piU inquietanti, del drammaturgo inglese. In un mezzanino, garage, sottosuolo di unlmprecisata bicocca in un imprecisato quartiere di Londra si incontrano, si fronteggiano, si separano tre disperate solitudini: un vecchio barbone, Davies, spaventato da chissachi. permaloso, riottoso; un giovane al confine della poesia. Aston, mite, introverso, protettivo; un altro giovinastro, suo fratello Mick. megalomane, vita lista, aggressivo. Se i due poi siano fratelli davvero è da discutere; se il vecchio si chiami Davies o Jenkins è da verificare; se quello sgabuzzo, polveroso fetido, diverrà mai una casa abitabile, con tanto di guardiano (o custode o portiere, tre varianti dello stesso titolo) altamente opinabile. Di fatto, la commedia si chiude con l'espulsione del vecchio da quell'antro, squallido ma protetti vo: e. come se non bastasse, viene spontaneo chiedersi sipario appena calato, se i due fratelli fossero complici contro il vecchio o se, all'opposto, tentassero con lui. l'uno contro l'altro, fugaci alleanze. A queste e ad altre domande (chissà quante se ne sono poste, alla prima, gli attentissimi spettatori giovani che gremivano la sala) Pinter deliberatamente non risponde. Il suo teatro vive della sua stessa ambiguità: può essere inteipretato a più livelli, ideologico, sociologico, metafisico, e proprio in questa pluralità di valenze e letture sta il suo fascino. In un libro sul drammaturgo uscito qualche anno fa, chi qui scrive tentò di interpretare la commedia alla luce di due temi-simbolo, che ci riguardano da vicino: la perdita d'identità e l'aggressività. Come molti nostri simili. Davies. Aston, Mick non sanno più o non vogliono più sapere chi sono, vittime innocenti o colpevoli di una società massificata e alienante: e compensano questa perdita con una rivalsa d'aggressività, difendono il proprio territorio attraverso tutta una serie di complesse e mutevoli strategie, proprio come fanno gli animali e gli etologi sono li a spiegarcelo. Di questa suggestione critica e di tante altre, mediate attraverso riflessioni, letture (e l'esperienza, anche, della fortunata messinscena del Oodot di Beckett, uno dei «maltres à penser. di Pinter) tiene conto la regia di Roberto Vezzosi: ma senza scegliere, marchianamente, l'una o l'altra, tutte fondendole, invece, in un continuum teatrale, in cut spiccano il rispetto minuzioso e la resa dei .tempi, teatrali di Pinter. quel dosaggio millimetrico del parlato e del silenzio, e l'estrapolazione continua del comico dal tragico buio della vicenda, con gustosi effetti di inse.tsatezza o di parodia dei linguaggi non teatrali,' dal domestico al pubblicitario. I tre interpreti, che dentro questo testo, col regista e col pubblico, hanno scavato a lungo in due seminari, ad Alessandria e a Firenze, si muovono nei suoi meandri con la naturalezza e la goffaggine, ad un tempo, della talpa cieca nel cunicolo. Sem or a che tra quella catasta di valigie, /erri vece ili. portelli, scansie inutili (la scena, compatta e suggestiva, è di Lorenzo Ghiglia) abitino da sempre: ma ci fanno anche vedere, e ciò è molto sottile, che ci abitano -per finta., costretti lì da un destino atroce. Mario Mariani innesta su questa doppiezza, ostentata ad arte, la violenza sorda, il bilioso rancore di Davies e fa sentire molto bene la sua avversione-paura del •fuori», degli «altri» (tutti negri, scozzesi, greci, irlandesi): Ireneo Petruzzi immette nella ribalderia di Mick la patetica alienazione da consumismo che il personaggio si tira dietro (quegli scioglilingua topografici sono impeccabili): e Dino Desiata delinea con mano leg gera un inedito Aston, tra lo straziato e il buffo, ne fa uno schizoide assonnato, sino al gran racconto della terapia da elettroshock, corso tutto in punta di piedi, con una stralu nata grazia Guido Davico Bonino Dino Desiata, Ireneo Per/uzzi e Mario Mariani
Luoghi citati: Alessandria, Berlino, Firenze, Londra, Torino
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