L'esistenza è limitata l'intelletto è libero

L'esistenza è limitata l'intelletto è libero «II mondo aperto» di Weyl L'esistenza è limitata l'intelletto è libero . T TN matematico cammina davanti a voi, parla di y\ metafisica, e non esita a pronunciare il nome di Dio-. Il matematico è Herman Weyl (nato nel 1885 e spentosi nel 1955), un protagonista della ricerca matematica e fisica del Novecento. Ora «questa pratica insolita» con cui si apre 77 mondo aperto (che raccoglie tre conferenze tenute da Weyl alla Yale University nel 1931) non è una improvvisata incursione di uno scienziato nella filosofia, ma un coerente risultato di una riflessione filosofica che si è strettamente intrecciata a quella scientifica. Presso lo stesso editore Boringhieri che pubblica ora il libro era del resto già apparsa nel 1967 una delle opere più impegnative di Weyl, Filosofia della matematica e delle scieme naturali (la prima versione in lingua tedesca è del 1927). Qui (e altrove) Weyl si era rivelato sensibile, quanto i neopositivisti a lui contemporanei, alla novità in campo logico, matematico e fisico e convinto come loro che occorresse una riforma del pensiero; egli però non ne condivideva il radicalismo antimetafisico e l'esasperato distacco dalle grandi filosofie del passato. Per esempio, nella filosofia della identità e della differenza con cui Leibniz aveva cercato di giustificare il calcolo infinitesimale o nell'intuizione del divino che aveva affiancato il matematico tedesco Georg Cantor nella creazione di una teoria matematica dell'infinito attuale (cioè, in breve, inteso come un tutto), Weyl scorgeva le metamorfosi stesse di idee che risalivano a Cusano, ai mistici del Medio Evo, per non dire a Platone o a Pitagora. Certo, erano in gioco, nella grande revisione scientifica dei primi decenni del secolo, soprattutto le trasformazioni che idee come quelle di infinito, di causa o di universo, ecc. avevano via via subito nei secoli. In una sorta di «indagine critica sui fondamenti dell'analisi matematica», il saggio intitolato II continuo (apparso in italiano presero Bibliopolis, Napoli, nel 1977 in un'edizione attentamente curata da Anna Barbara Veit Riccioli), Weyl aveva già osservato (1918) che non poche nozioni portanti delle matematiche erano divenute così estranee alle concezioni comuni da rappresentare «due mondi estranei l'uno rispetto all'altro». Ma proprio «gli schemi astratti forniti dalla matematica» rendevano «possibile» la «scienza esatta!». C'è dunque una tensione incessante tra questi «due mondi»: del resto le stesse teorizzazioni scientifiche si rivelano, sul lungo periodo e nel caso più fortunato, delle semplici «approssimazioni». Allora perché non confrontarle, in modo spregiudicato e non dogmatico, con altre forme di «rappresentazioni», quelle artistiche, metafisiche, teologiche? In un «mondo aperto» non c'è reciproca esclusione tra attività tipicamente cognitive (come il pensiero scientifi- co) e attività come l'arte o la religione, ma integrazione, anche se spesso faticosa e congetturale. Già questo fa oggi del Mondo aperto una lettura affascinante. Il pubblico cui Weyl si rivolge non è qui, del resto, quello ristretto dei logici e dei matematici, ma quello ben più ampio degli uomini di cultura comunque interessati a percepire il senso e a capire il valore delle loro «rappresentazioni». Ma // mondo aperto è anche il documento di un'epoca e di uno stato d'animo. Le parole con cui Weyl conclude il suo triplice excursus (su «Dio e l'universo», sulla causalità e, infine, su uno dei temi più cari alla sua riflessione, l'infinito) sono a questo proposito rivelatrici. Scrive infatti: «JVot rigettiamo la te¬ si della finitezza categoriale dell'uomo, sia nella forma ateistica della inesorabile finitezza che in maniera così seducente è oggi rappresentata in Germania dal filosofo di Friburgo Heidegger, sia nella forma teistica, specificatamente luterano protestante, nella quale costituisce lo sfondo per il violento dramma della contrizione, Rivelazione e grazia'. Weyl intuiva benissimo che il decennio in cui scriveva era gravido delle «ombre del domani» per usare l'espressione, a un tempo elegante e cupa, del grande storico olandese Johann Huizinga; ed era altrettanto consapevole, dal suo osservatorio nel nuovo Mondo, che un certo tipo di cultura — quello della Vienna di Wittgenstein (e di Musil) o della Berlino di Reichenbach — stava irrimediabilmente per finire. Nel 1935, pochi anni dopo, all'inizio del suo In de schaduwen van morgen (appunto «nelle ombre del domani»; la versione italiana, pubblicata da Einaudi nel 1962, porta il titolo La crisi della civiltà), Huizinga citava Bernardo diChiaravalle, Habet mundus iste noctes suas et non paucas. Di fronte alle «non poche» notti del mondo, Weyl già aveva ritrovato nell'impresa scientifica un punto di riferimento. Al contrario di quanto afferma una nota battuta di Heidegger, la scienza pensa: e questo è il suo compito. Weyl che concepiva la ragione umana come il complesso dei risultati via via ottenuti nei vari campi della conoscenza, obiettava a buon diritto che a colui che insisteva sulla «finitezza categoriale dell'uomo» toccava l'onere di rilevarla in concreto in quei campi in cui tradizionalmente il progresso intellettuale era stato più ampio e profondo, cioè «nella matematica e nella fisica». E proprio i tentativi di concettualizzare l'infinito erano ancora una volta significativi: «l'intelletto è libertà all'interno delle limitazioni dell'esistenza; è aperto verso l'infinito-. Ora se l'infinito attuale non può venir compreso in modo esaustivo, ma solo «rappresentato simbolicamente», pure «é da questa relazione che ogni atto creativo dell'uomo riceve la suo profonda consacrazione e dignità-. Per Weyl dunque esprit de finesse ed esprit de geometrie non sono irrimediabilmente scissi, ma costituiscono due facce della stessa medaglia. Ancora nel 1941 Weyl ribadirà che lo scienziato, sapendo che le parole sono dei mezzi pericolosi, deve procedere di là dalla nebbia delle vaghezze del linguaggio, per raggiungere la ferma e concreta roccia della realtà. Nei momenti «bui», quando •un'ombra di scetticismo minaccia di spazzar via tutto ciò che di saldo sembra esservi-, è di nuovo alia matematica che occorre guardare. Giulio Giorello Hermann Weyl, Il mondo aperto, Boringhieri, pagine 113, li re 5000 Illustrazione di Escher

Luoghi citati: Berlino, Escher, Germania, Napoli, Vienna