Sottolineo ribadisco evidenzio di Stefano Reggiani

Sottolineo ribadisco evidenzio Le parole stinte Sottolineo ribadisco evidenzio NESSUNO è senza colpa quando scrive. Non diciamo per i motivi che lo inducono a scrivere (politici, ideologici, amorosi, il discorso sarebbe lungo), ma nei mezzi che usa per comunicare: la parola, le frasi. L'altro giorno abbiamo letto il resoconto di un dibattito fatto da uno dei nostri migliori giornalisti. Diceva che i relatori «in apparenza... apparivano sinceri». S'era lasciato prendere dalle apparenze, ma bisogna capire. Un eccellente commentatore ha parlato qualche tempo fa dell'ascendenza di un certo studioso sui comunisti. Magari si trattava solo di ascendente. E nella prosa di uno dei maggiori osservatori di costume i colli degradavano e non digradavano. Bisogna capire, sono refusi che scappano, le parole sono come bombe con la miccia accesa, si buttano in fretta. Noi, da colpevoli incalliti, siamo disposti anche a perdonare i colleghi che scrivono nei titoli «vicino Milano» per dire «vicino a Milano, (assassini!), e ab- biamo un palpito di comprensione per chi scrive accellerato con due elle. Perfino ci sentiamo solidali con chi scrive «s'è recato» per dire «è andato» o «è venuto alla luce» per dire «è nato». La questione della lingua giornalistica oggi non riguarda tanto i puristi, che hanno le loro rubriche parzialmente terroristiche, ma tocca i lettori che hanno il diritto di capire. Più parole inventate, meno idee chiare; più discorsi involuti, meno comunicazione; più perifrasi meno frasi. Questo «Manuale di linguaggio giornalistico» appena uscito dalla Etas Libri, rifacimento di un precedente e lodevole dizionario, andrebbe consegnato non soltanto agli addetti ai laiiori. ai cronisti delle agenzie e dei giornali, a noi mediatori stupefatti della prosa nazionale; ma appunto alla sorgente della confusione, ai politici, ai sindacalisti, ai creatori di gerghi. Non perché imparino a parlare e a scrivere i comu¬ nicati con una limpidezza illuministica (sennò a che servirebbero i mediatori giornalisti?), ma perché ricordino, in un moto improvviso di resipiscenza, che le parole hanno una impudenza o violenza, altrimenti si vendicano, cessano di significare. Le frasi usate per nascondere la mancanza di opinioni o il desiderio di tacerle soffocano nel martirio le parole e le rendono artefatte, inutilizzabili anche per chi avrebbe le sue idee. Prendete, per esempio, la prosa dei nuovi saggisti, dei nuovi commentatori politici, di molti giovani: hanno preso i difetti dei vecchi. Certo, la confusione dei gerghi rispecchia la confusione dei tempi; e la mancanza di progetti e di speranze si arricchisce almeno di parole. Che fatica quando anche i migliori di noi «ribadiscono», «evidenziano», «prospettano in modelli alternativi la soluzione», «intendono sottrarsi alla logica imperante» (ma come?). Chi combatte con la storia affronta i peggiori ostacoli, almeno non ci aggiunga il trucco delle parole buone-a-tutto, le parole stinte. Il «Manuale di linguaggio» (curato, onore al merito, da Accornero. Borio, Buldrini. Caselli, Chizzola, D'Arrò. Jodice, Lepore, Lepri) sta II con le sue espressioni chiare ad aspettare le idee nuove. Dicono i curatori: «L'informazione democratica è un diritto. E' anche una virtù». Stefano Reggiani

Persone citate: Accornero, Buldrini, Caselli, D'arrò, Jodice, Lepore, Lepri

Luoghi citati: Milano