Suona da cinquantanni il postino di Gain (che Visconti non conosceva) di Masolino D'amico

Suona da cinquantanni il postino di Gain (che Visconti non conosceva) Un romanzo che ha ispirato tre film Suona da cinquantanni il postino di Gain (che Visconti non conosceva) IL postino suona sempre due volte di James Cain ( 1934). ora disponibile nei tascabili Bompiani nella sempre valida versione di Giorgio Bassani ( 1945), è il più famoso di quei romanzi nati sulla scia di Hemingway, che tentarono per così dire di conciliarne le ambizioni letterarie con i più andanti gialli della scuola hard-boiled. Oggi lo stesso autore dei 49 racconti sembra in declino, e questi nipotini tanto più sbrigativi e superficiali sono pertanto in castigo. D'altro canto abbiamo contemporaneamente assistito alla riabilitazione del cinema ad essi coevo, quel cinema di azione, passioni e effettacci che oramai è al centro degli studi e delle rassegne. Il successo maggiore alla mostra di Venezia lo ha avuto la retrospettiva di Hawks. regista vent'anni fa considerato «solo» un cinico mestierante; intanto film come ieri Chinatown di Polanski, oggi L'assoluzione di Crostarci si pongono come traguardo il recupero di una certa atmosfera nera familiare alla Hollywood Anni Trenta e Quaranta. Il turno del Postino di Cain era quindi inevitabile, e che ci abbia pensato un regista intellettuale come Bob Rafelson è indicativo. La chiave di lettura del torvo racconto di Cain e di tanti altri partecipi della sua atmosfera è dunque quella cinematografica. In altre parole, sono libri che si leggono pensando al film. anche se non c'è poi bisogno di rifarsi a una riduzione in particolare: qui c'è comunque da scegliere fra quella ormai classica con Lana Turner e John Garfield ( 1946), e l'ultimissima forte delle acrobazie facciali di Jack Nicholson e del «sex appeal» di Jessica Lange. Naturalmente per noi italiani è d'obbligo ricordare le circostanze un po' casuali che assegnarono a questa storia di amanti maledetti una influenza fondamentale nella nascita del nuovo ci¬ nema postbellico. Deciso a girare un film, con un gruppo di amici (fra cui Giuseppe De Sanctis. Mario Alleata, Antonio Pietrangelo l'esordiente Luchino Visconti aveva sottoposto alla censura preventiva ( 1942) una serie di soggetti, fra cui una Signora delle camelie e un Amante di Gramigna. Furono tutti bocciati, con la sorprendente eccezione di Palude, titolo dato alla rielaborazione di un trattamento scritto in francese, da altri, per Jean Renoir. Era la sto¬ ria del Postino di Cain, allora inedito in Italia e nella sua veste originale destinato comunque a restare sconosciuto a Visconti, il quale non leggeva l'inglese. Data la trasposizione in terra padana, e data la guerra in corso, nessuno si prese inoltre la briga di acquistare i diritti del libro (donde grane quando qualcuno tentò di esportare il film, che ormai si chiamava Ossessione, in America; grane risolte soltanto nel 1976). Sarebbe interessante ve¬ dere la geniale riduzione di Visconti accanto alle due americane. In queste si dà molto spazio alle vicende che seguono l'assassinio dell'oste greco, ostacolo all'unione di sua moglie col vagabondo venuto non si sa da dove. Cè in particolare un americanissimo conflitto fra compagnie di assicurazioni, da cui un geniale avvocaticchio fa scaturire l'appiglio per l'assoluzione dei due; ma soprattutto c'è, in continuazione, un grande e concreto parlare di dollari, passivamente accettati dagli amanti (spinti in realtà da altre forze) come chiave della felicità. Visconti si concentra invece sul triangolo iniziale, rivelando subito la tendenza, avvertibile poi in altri film, a dilatare la prima parte delle storie, per poi arrivare a una conclusione di necessità sommaria. Almeno uno spunto secondario del libro appare tuttavia sfruttato da Visconti in modo memorabile, quello sulla passione canora dell'oste, che in Cain strimpella chitarre, e in Ossessione è un patito del bel canto, e partecipa a una competizione, forse il brano più straordinario del film. L'audacia di Visconti nel trattare un fatto di cronaca nera su di uno sfondo di vita reale, se era passata inosservata dalla commissione preventiva, non mancò di fare scandalo subito dopo l'uscita: donde le raffiche di sequestri — allora le ordinanze dei pretori avevano valore solo locale — e perfino, in un caso, la benedizione, da parte di un vescovo, di un cinema sconsacrato dal passaggio di un'opera tanto diabolica. Anche questo era in carattere col libro, in cui il narratore, il condannato Frank, cita il demonio con la frequenza di un personagio di Edgar Allan Poe. Masolino d'Amico Jack Nicholson e Jessica Lange in una scena dal film di Bob Rafelson

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