Rubare è più facile se è un capolavoro
Rubare è più facile se è un capolavoro Parliamone Rubare è più facile se è un capolavoro DUE fatti accaduti in questi giorni hanno colpito quanti in Italia si occupano delle cose d'arte e della loro conservazione; il primo parrebbe rientrare nell'ordinario andamento — un furto di quadri (trenta) in una villa fiorentina — se non fosse che la villa è sede della Fondazione Roberto Longhi e la raccolta che comprendeva quei quadri è quella messa assieme dal grande critico. D danno, dunque, è pubblico, e il crimine, in quella sede, assume i colori di una ribalda profanazione. Per stingerli poi subito in quelli di una proverbiale vicenda italiana (tutto il solito misto di buoi versati, latte rinchiuso, stalle fuggite) quando si viene a sapere che i ladri sono entrati a fare il comodo loro in una parte della villa abitata sì, ma sguarnita di dispositivi d'allarme (per fortuna i quadri più importanti erano nell'altra parte, munita) e che la Fondazione, deserta ormai di contributi privati, vivacchia con gli scarsi milioni di Ministero-Comune-Regione. Anche stavolta, come sempre quando la mancanza di mezzi è addotta con più o meno ragione a giustificare l'incuria, non possiamo fare a meno di pensare con rimpianto al molto denaro perduto per l'incapacità di amministrare musei e raccolte d'arte come una importante fonte di reddito. Non capiremo mai, per esempio, e ci piacerebbe che qualche responsabile dei Beni Culturali una volta o l'altra ce lo spiegasse, perché per circa vent'anni il prezzo del biglietto d'ingresso alle collezioni d'arte statali è stato mantenuto così basso che da ultimo non ripagava quasi il suo costo materiale ed è di nuovo, nonostante il tardivo aumento, sorpassato dall'inflazione. Quanto ci vorrà per riaggiornarlo? E quanti miliardi sarà costata questa negligenza? Forse più di quello che sono costati alla collettività i più celebri casi di furfanteria nazionale. D'un'attiva furfanteria è un esempio il secondo fatto. Subito dopo la notizia del furto alla Fondazione Longhi, i giornali italiani hanno riportato la conturbante confessione di Thomas Hoving. che fu direttore del Metropolitan Museum di New York dal '67 al '77 e che ci racconta con disinvoltura, in un libro appena anticipato dal New York Times, come, ben conscio dell'illecito, abbia acquistato in Svizzera un bassorilievo romanico proveniente da una chiesa fiorentina e come nel museo del Bargello abbia applicato sbrigativi e personalissimi metodi di filologia sul campo scassinando con un temperino la teca che racchiudeva un frammento di croce eburnea (solo per esaminarlo, bontà sua). E non sarebbero, si dice, gli unici casi in cui la spregiudicatezza dello Hoving lo ha spinto a trafficare in oggetti d'arte provenienti illegalmente dall'Italia, a cominciare dal celebre vaso di Eufronio. scavato in Etruria e finito al Metropolitan. Certo non pensiamo di additare ad esempio quella disinibita efficienza, e facilmente mettiamo a tacere la peggior parte di noi stessi quando nell'episodio del Bargello vorrebbe vedere una vendetta contro le angherie di tanti custo- di gaglioffi (d'altri musei, s'intende!). Ma leggendo i primi commenti alla notizia non possiamo ricacciare il sospetto che il senso nazionale, da una parte avvilito dalla proterva confessione, abbia dall'altra un sollievo nel poter dare alle proprie inerzie il volto del «cattivo americano». Mario Spagnol Michael Sweerts, «Figura di penitente» (pan.): uno dei più preziosi dipinti rubati alla Fondazione Longhi
Persone citate: Hoving, Mario Spagnol Michael, Thomas Hoving
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