Il dire il dare il fare
Il dire il dare il fare irresponsabili sono emerse. E' sintomatica, a questo proposito, l'oscillazione del sindacato tra la richiesta al governo di «fare» e l'esigenza di consultare la base. A nostro giudizio, l'oscillazione non è giustificata, il pendolo può fermarsi, perché non esiste contrapposizione, né alternativa. Purché, ed è questo il punto centrale del pendolo, nella richiesta al governo di fare sia implicita l'accettazione, ovviamente «critica», delle sue decisioni, e nell'esigenza di consultare la base sia, pure implicita, la disponibilità ad accettarne il responso. E. a quest'ultimo proposito, ci torna alla mente l'Inchiesta che il partito comunista fece alla Fiat, all'inizio dell'anno scorso, nell'imminenza del convegno di Torino sull'industria automobilistica in Italia Ne risultò, allora, un'immagine dell'operaio italiano assai diversa dall'«identikit» abitualmente accettato e propo sto, nei congressi, nelle assemblee e nei comizi. Un operaio, cioè, che conosce i problemi della nostra, della sua appartenenza all'Europa e al mondo occidentale, anche problemi dell'inflazione, dello sfruttamento degl'impianti dell'occupazione, assai meglio di quanto si creda e di quanto, talvolta, dimostrino di cono scerli i vertici sindacali. Mario Salvatorelli Il dire il dare il fare Siamo, dunque, all'immediata vigilia della rottura, anziché dell'accordo tra datori di lavoro e sindacati dei lavoratori: il «patto anti-inflazione» non si farà. Dopodomani, 14 ottobre, i rappresentanti delle due parti sociali che sono le più direttamente interessate, almeno a parole, a concluderlo, quanto meno a siglarne l'avvio, si presenteranno all'appuntamento, ammesso che si presentino. Ma 10 faranno solo per prendere atto che le rispettive posizioni sono tanto distanti. Se c'era ancora qualcuno tanto ingenuo da ritenere che i protagonisti del passaggio da un'Italia agricolo-pastorale a un'Italia industriale (fondatrice della Comunità europea, considerata con pieno diritto tra le prime sette Nazioni del mondo libero) sarebbero riusciti a prendere in mano 11 proprio futuro, anziché affidarlo al governo di turno, ebbene, questo ingenuo si disilluda. Il segretario generale della Uil, quella delle tre confederazioni sindacali che sembrava fino a ieri più aperta alla trattativa, è andato a Genova, al convegno della Confindustria che discuteva le proposte degl'imprenditori per gli Anni Ottanta, e ha liquidato ogni speranza di «patto» con tre parole, anzi tre verbi: dire, dare e fare. E' il caso, forse, di soffermarci un attimo sulla distribuzione di questi tre verbi, con i relativi compiti: agl'imprenditori il «dire», ai lavoratori il «dare» e al governo il «fare». Lasciamo, ovviamente, a Giorgio Benvenuto il dirito-dovere di chiarire il suo pensiero, nell'intervista che ha concesso a «Stampa Sera». Osserveremo solo che, a nostro giudizio, i tre verbi andrebbero ridistribuiti: al governo il «dire», ai datori di lavoro il «dare» e ai lavoratori il «fare», se è vero, come a noi sembra, che il primo abbia il compito d'indicare obiettivi e direttive di politica generale, i secondi, cioè gì imprenditori, il compito d'impegnare personalmente le proprie risorse, finanziarie, tecniche e intellettuali, e i lavoratori il compito di lavorare nei tempi e nei modi stabiliti. Senza questo chiarimento fondamentale, i colloqui tra imprenditori e sindacati, aperti alla fine di giugno, erano destinati a chiudersi con un nulla di fatto. Ma, ammesso che cosi finiscano dopodomani, sarebbe errato parlare di tre mesi perduti, e proprio quando ogni settimana sembra decisiva per il nostro futuro. Molte posizioni si sono chiarite, molte responsabilità si sono precisate, e, al tempo stesso, altrettante posizioni
Persone citate: Giorgio Benvenuto, Mario Salvatorelli
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