Stato di crisi alla Ceat pneumatici

Stato di crisi alla Ceat pneumatici Gli enti pubblici non pagano, il mercato non tira, l'azienda chiede l'amministrazione controllata Stato di crisi alla Ceat pneumatici La società (107 miliardi di debiti) è investita da profonde difficoltà finanziarie e produttive - Previsto un ridimensionamento delle attività - Ricerca di un socio TORINO — Un'altra azienda torinese è in piena crisi. E' la «Ceat Pneumatici» presieduta da Aldo Sala, che fa parte del gruppo Ceat, per cui l'assemblea straordinaria dei soci, ha deciso di chiedere l'ammissione alla procedura di amministrazione controllata». «Il ricorso a tale procedura, provocato da contingenti difficoltà di carattere finanziario, si propone mediante un piano di ristrutturazione — dice una nota Ceat — il ritorno a condizioni economiche di equilibrio nell'arco del 1982 e la ricerca di soluzioni stabili compatibili con la situazione di mercato e nel quadro di auspicabili integrazioni esterne». Tra i motivi che hanno provocato l'attuale situazione della Ceat Pneumatici vengono indicati «le difficoltà del settore, che a causa della crisi energetica ed automobilistica ha segnato profonde ristrutturazioni e concentrazioni, la crescente stretta creditizia, l'accentuata flessione della domanda (in relazione anche alla crisi dell'auto) e il ritardo dei pagamenti da parte della clientela, in particolare di quella del settore pubblico». Che la Ceat Pneumatici fosse in crisi, ormai lo si sape' va da tempo. Che però si arrivasse, in tempi cosi rapidi alla richiesta di «amministrazione controllata», pochi lo prevedevano. Una quindicina di giorni fa il vertice (quasi tutti della famiglia Bruni Tedeschi, che controlla la holding Ceat attraverso la finanziaria Sofit) si era impegnato, durante un incontro in Regione, a presentare entro ottobre un piano globale di risanamento del gruppo. L'analisi comunque che in quella sede era stata fatta (e oggi viene ribadita) è piuttosto complessa e poggia su quattro punti : 1) la necessità di ridimensionare l'azienda come conseguenza di un processo di caduta verticale del settore, che ha già costretto colossi mondiali a correre ai ripari: 2) l'esigenza impellente da parte delle banche per ridurre il pesante indebitamento del gruppo, che in pochi anni ha divorato decinedi miliardi (26 solo nell'80. una quarantina nell'81) in interessi da pagare alle banche : 3) la necessità di trovare un partner e capitali freschi per avviare un piano di sviluppo: 4) un'intesa con il sindacato che. dopo aver prodotto «risultati appressatili ». mostra bruscamente la corda del dissidio. Ed è su questi quattro punti che il vertice Ceat, nel palazzo torinese di corso Palermo, ha lavorato a lungo in questi giorni alla ricerca di una strategia per uscire dalla crisi.ut/na strategia che — dice Renato Martinotti, amministratore delegato della Ceat Holding —parte dalla richiesta di amministrazione controllata, per evitare traumi maggiori a tutto il gruppo, per passare a fasi più costruttive». Parlando infatti con il vertice Ceat si scopre che i problemi de), gruppo (quattro stabilimenti in Italia con 5.800 dipendenti e altri 24 sparsi in tutto il mondo con altri 15 mila dipendenti) sono piuttosto complessi. Per capire quelli di natura finanziaria bastano poche cifre: il solo Enel ha un debito scaduto con la Ceat per 20 miliardi, dovuto all'acquisto di cavi; aziende municipalizzate o paramunicipalizzate, per forniture di pneumatici, devono invece 5 miliardi. Altre aziende, come la Sip, hanno dilazionato enormemente i termini di pagamento (da 60 a 180 giorni) aggravando cosi di fatto la si- tuazione finanziaria della Ceat Pneumatici, che ha oggi 107 miliardi di debiti con le banche (quasi tutto il fatturato) ed è costretta a sborsare cinque miliardi ogni tre mesi per soli oneri passivi. Ma i guai dell'azienda, va detto, non sono solo finanziari. «Lo questione industriale infatti — dicono in corso Palermo — non va sottovaluta. Oggi l'esigenza maggiore che abbiamo è quella di ridimensionarci nel settore pneumatici, dove d'altronde abbiamo già dovuto mettere 2500 dipendenti in cassa integrazione per tre settimane, e ridisegnare la nuova dimensione Ceat per linee di prodotto e segmenti di mercato, tenendo anclie conto che le prospettive future fanno ampio affidamento sulla affermata qualità dei nostri pneumatici che sul piano della qualità non sono inferiori a quelli della concorrenza più qualificata». L'ideale— secondo la Ceat — sarebbe di potersi integrare con un grande costruttore». Gli esempi nel settore, non mancano. Alla Ceat ne citano almeno due: quello della Continental che. avendo alle spalle aiuti o finanziamenti, ha assorbito le attività europee della Uniroyal, o quello austriaco della Semperit che. con l'appoggio delle banche pubbliche, ha avviato un robusto piano di ristrutturazione. Ma la ricerca di un partner non sembra facilissima. Da anni (dal '78 almeno, da quando cioè Alberto Bruni Tedeschi passò le redini della società ai membri della sua famiglia per dedicarsi alla composizione di musica) all'orizzonte Ceat di partner possibili se ne sono presentati parecchi. Nell'ordine, tanto per ci- tarne alcuni, si sono affacciati prima una banca tedesca, la General Cables, la belga Union Minière; poi l'americana Artemis. infine un gruppo canadese e uno francese. Ma tutti hanno mostrato grande interesse per il settore cavi e un uguale disinteresse per i pneumatici, avviati a una prospettiva di crescita zero o quasi. In attesa del socio comunque alla Ceat hanno cercato di «tamponare» le falle rivolgendosi alle banche, chiedendo il consolidamento (per 40 miliardi) dei debiti a breve scadenze. Ma finora le disponibilità ottenute sono state li¬ mitate (poco più di 32 miliardi). Così in corso Palermo hanno deciso di tagliar corto chiedendo l'amministrazione controllata per i pneumatici (scorporati a gennaio dai Cavi) per evitare il crollo del gruppo e facilitare l'arrivo di un socio. Cesare Roccati Aldo Sala

Persone citate: Alberto Bruni Tedeschi, Aldo Sala, Artemis, Bruni Tedeschi, Cables, Cesare Roccati, Renato Martinotti

Luoghi citati: Italia, Torino