Chi ha paura del mini-robot? di Mario Pirani

Chi ha paura del mini-robot? A che cosa porterà la più grande rivoluzione industriale dopo l'invenzione del motore Chi ha paura del mini-robot? Le applicazioni della microelettronica si moltiplicano: dall'automazione degli urlici all'automobile, dagli elettrodomestici agli strumenti medici e alle macchine agricole - Si parla di «sparizione della classe operaia» - Paesi dell'Est e dell'Ovest a confronto in un convegno del Ceses Ogni giorno si accresce la pubblicità delle grandi imprese elettroniche e basta sfogliare i rotocalchi per rendersene conto: 'Questa richiesta sarà forse l'ultima cosa scritta a mano dalla vostra segretaria'. «I nostri controllori di strumentazione e processo sono abituati a lavorare negli ambienti industriali e possono aiutarti a tenere sotto controllo dati complessi, linee e macchine utensili automatiche», oli nostro sistema informatico integrato ti offre le informazioni necessarie per prendere decisioni immediate e per pianificare il futuro dell'azienda'. La più grande rivoluzione industriale (alcuni la chiamano rivoluzione post-industriale) dopo l'invenzione del motore e la diffusione della meccanica è ormai anche da noi allo stadio delle applicazioni pratiche a diffusione di massa, senza che questo evento abbia ancora influenzato la nostra cultura economica, i nostri principi di comportamento sociale, politico, sindacale e formativo, tutti incentrati su vecchi rapporti di produzione in via di ineluttabile disparizione. Eppure le applicazioni della microelettronica nei prodotti e nei processi industriali più diversi sono ormai visibili e i loro effetti appaiono destinati a trasformare il modo di vivere dei singoli e le strutture della società. E questo vale sia per i Paesi capitalistici che per i regimi retti dal «socialismo reale», come si è visto nel recente seminario organizzato a Milano dal Ceses (Centro studi sui sistemi dell'Est) sulla microelettronica all'Est e all'Ovest, dove studiosi e managers delle due parti hanno confrontato le loro esperienze, preoccupazioni, speranze Alain Pillon del Commissariato alla Pianificazione francese ha ricordato che dalla nascita del microprocessore (1972 in America) si è rapidamente passati a una capacità di stoccaggio dell'informatica su un cir- cuito miniaturizzato di qualche millimetro da qualche migliaia di transistor a varie centinaia di migliaia nel 1981 con un costo unitario che si è diviso per cento, mentre nello stesso periodo il costo del petrolio si moltiplicava per quindici. «L'intelligenza artificiale conferita ai robots, gli schermi piatti, la parola sintentica, le fibre ottiche, rappresentano le caratteristiche di una rivoluzione industriale che segnerà la fine del secolo, così come la meccanica ne ha segnato l'inizio. Riservata finora a una piccola cerchia di utenti, ha proseguito Fillon, l'informatica scenderà ogni giorno di più alla portata dei piccoli consumatori grazie alla continua diminuzione dei costi che per i continui progressi realizzati nei circuiti integrati e nelle memorie si riducono del 20-30 per cento all'anno». L'ambiente La microelettronica — ha sostenuto il prof. Pellegrini della Statale di Milano — modifica in noi la stessa idea di macchina ereditata dal mondo della meccanica, dalla macchina regolata da leggi fisiche alla macchina «intelligente» regolata da programmi e cioè dal sistema di idee che l'uomo vi introduce. Ma il fatto che ogni cosa intorno a noi è candidata a una innovazione di questo tipo cambia gradualmente tutto l'ambiente che ci circonda. Il campo di applicazione si allarga ogni giorno: dalla automazione degli uffici, destinata a sviluppi spettacolari, alla trasformazione dell'auto (con risparmi di energia attorno al 30 per cento), dalle esplorazioni sottomarine agli elettrodomestici, dal controllo del riscaldamento ai giocattoli, dagli orologi agli strumenti medici, dalle macchine utensili alla agricoltura d'avanguardia. «Stiamo andando incontro, ha detto il prof. Jim Northcott di Londra a un. nuovo ed eccitante mondo pieno di meccanismi straordinariamente ingegnosi e incredibilmente minuscoli in grado di compiere ogni sorta di abili operazioni». Sulle conseguenze, peraltro, non vi è accordo e in proposito è stato ricordato lo studio della Rand-Corporation secondo cui, negli Stati Uniti con la robotica circa il 5% della popolazione attiva dovrebbe essere verso il 2000 sufficiente a produrre tutti i manufatti necessari per il mercato interno. In proposito si parla di «sparizione della classe operaia» cosi come è avvenuto per i contadini che, pur rappresentando ormai solo il 3,6 per cento della popolazione americana, danno vita alla più florida agricoltura del mondo. Ma oltre agli spostamenti di masse imponenti dalle fabbriche alle attività terziarie e ai servizi si prefigura un mutamento della stessa struttura organizzativa delle aziende verso forme autonome, mobili, intercomunicanti. Cosi si è citato l'esperimento di una società di assicurazioni di San Francisco che ha decentrato una intera sezione dei suoi uffici, dando ai dipendenti la facoltà di lavorare nelle proprie case dotandole, però, di terminali e apparecchi vari per il trattamen- to a distanza delle informazioni. Un altro esempio riguarda una società di Washington che ha abolito l'uso della carta nell'archivio, nella lettura di documenti e nell'intercomunicazione interna scritta. Ma, a parte la futura incidenza di questi esperimenti d'avanguardia, il problema che più immediatamente si pone è quello della caduta netta di manodopera industriale che la rivoluzione microelettronica comporta, soprattutto in Paesi come il nostro incapaci di programmare e attuare una politica industriale adatta ad affrontare una trasformazione tanto dirompente. Il piano elettronico italiano, malgrado sia stato approvato più di tre anni or sono dal governo e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale con un atto che sanciva per legge gli stanziamenti prescritti e indicava gli obbiettivi immediati soprattutto nel campo della formazione professionale, è rimasto lettera morta. Cosi — come ha detto nel suo rapporto l'amministratore delegato della Olivetti, Carlo De Benedetti — invece di cogliere l'eccezionale opportunità strategica per un ciclo di sviluppo di tipo totalmente nuovo, rischiamo di subire il divario che si aprirà ancor più tra i Paesi in grado di percorrere per primi la strada della trasformazione e quelli che la subiranno con ulteriori aggravamenti nel processo di deindustrializzazione e di stagnazione economica. D'altra parte non è neppure concepibile alcun tipo di protezionismo per ritardare l'introduzione delle nuove tecnologie che ci metterebbe immediata¬ mente fuori mercato. Basti riflettere al fatto che alla Olivetti per produrre una macchina calcolatrice meccanica occorrevano negli Anni 60 nove ore di lavoro mentre oggi una calcolatrice elettronica scrivente da tavolo, infinitamente più potente, viene prodotta in meno di un'ora. E gli esempi possono moltiplicarsi: una telescrivente meccanica richiedeva 80 ore di lavoro contro le 20 di una elettronica, nella quale un microprocessore sostituisce 950 parti meccaniche, negli orologi mentre i modelli tradizionali presupponevano l'assemblaggio di oltre mille parti, la lavorazione elettronica si limita a 5 o 6 componenti. E' evidente l'impatto del cambiamento sull'occupazione e sulla struttura stessa dell'industria. Nei Paesi dell'Est l'incidenza della rivoluzione tecnologica è stata avvertita con ritardo, anche se negli Stati tecnologicamente più sviluppati, come la Germania Est, si cerca di recuperare il tempo perduto. Nell'assieme, almeno al seminario di Milano, dove hanno parlato ungheresi, tedeschi, polacchi e romeni, appaiono due tendenze concomitanti. Da un lato la speranza che l'informatica diffusa costituisca l'elemento risolutivo per affrontare i ritardi e i blocchi che hanno finora intralciato lo sviluppo Come ha sostenuto, in proposito, Mihai Draganescu. direttore dell'Istituto d'Informatica di Bucarest, «sembra che ci avviciniamo allo stadio in cui si rende necessaria la costruzione di una nuova intelligenza sociale, intensamente soste¬ nuta da tecniche, informatica e microelettronica... Nel comunismo la tecnologia farà si che le forze produttive assicurino uno standard di vita economico ed ecologico per nascuno». Dall'altro, però, numerosi oratori hanno lasciato trasparire la preoccupazione che il sistema politico rigido e repressivo impedisca la creatività diffusa, lo spirito d'iniziativa e l'aderenza al mercato che la microelettronica comporta. Ne potrebbe, quindi, derivare uno scarto ancora maggiore tra l'efficienza dei Paesi capitalistici e quelli ad economia socialista. Sintomatica, ad esempio, l'ammissione, di Zoltan Zamori dell'Accademia delle Scienze ungherese, il quale, lamentando la difficoltà di formare in un ambiente economico refrattario i nuovi quadri indispensabili allo sviluppo tecnologico, ha spiegato come le imponenti importazioni di giocattoli elettronici nel suo Paese si giustifichino proprio con la necessità di creare nelle nuove generazioni una mentalità preparata al salto di civiltà. Interrogativi I temi del seminario del Ceses, sollevano, infine, ancora una volta una serie di interrogativi sulla involuzione che sta subendo il nostro Paese, sulla ristrettezza di una cultura industriale che non riesce a permeare il dibattito politico e sindacale ancora attanagliato da visioni produttive in via di radicale superamento, sulla cecità di una azione di governo dell'economia che non coglie gli aspetti essenziali di una rivoluzione strutturale che muta tutti i termini del problema. E' come se nel passato non ci fossimo accorti dell'avvento dell'elettricità o del motore a scoppio e avessimo seguitato a considerare le cose dall'angolo visuale di chi legge a lume di candela e si sposta a cavallo. Mario Pirani Un robot direttore d'orchestra, dietro al quale però si cela un attore vero

Persone citate: Alain Pillon, Carlo De Benedetti, Fillon, Jim Northcott, Mihai Draganescu, Pellegrini, Rand, Zoltan Zamori

Luoghi citati: America, Bucarest, Germania Est, Londra, Milano, San Francisco, Stati Uniti, Washington