1831 :«L'ordine regna a Varsavia» di A. Galante Garrone

1831 :«L'ordine regna a Varsavia» L'INSURREZIONE DELLA POLONIA 1831 :«L'ordine regna a Varsavia» Centocinquant'anni fa, tra il 1830 e il 1831, quasi come una corale risposta alla parigina rivoluzione di luglio, si propagavano per l'Europa, dal Belgio all'Italia centrale, dalla Polonia alla Svizzera e alla Confederazione germanica, tumulti, insurrezioni, conflitti armati, radicali riforme, iniziative rivoluzionarie. In Italia si sono di recente ricordati i moti del 1831 eia fondazione della Giovine Italia. Ma se c'era una vicenda da non dimenticare, per i suoi riflessi europei e la sua drammaticità, è l'insurrezione di Varsavia del 29 novembre 1830 e il susseguente conflitto con la Russia, protrattosi fino all'ottobre del 1831: non per cogliere discutibili analogie con i fatti odierni e tanto meno per abbandonarsi a polemiche storicamente indebite, ma per rilevare, se mai, certe diversità sostanziali tra i fatti di allora e quelli di oggi, e insieme per meglio percepire una caratteristica continuità della storia polacca, quasi un filo rosso che si prolunga, attraverso i secoli, dal Settecento ai nostri giorni. Limitiamoci dunque a ricordare che, dopo il periodo napoleonico, era stato creato al Congresso di Vienna un regno polacco autonomo, sotto la corona degli zar. Si trattava di un'autonomia assai ridotta. Oggi si direbbe una «sovranità limitata». A capo del Consiglio di Stato — organo del potere esecutivo — c'era il principe Adam Czartoriski, che al principio del secolo era stato assai vicino al giovane zar Alessandro! Esisteva una Costituzione, che aveva dato vita a un parlamento modestamente rappresentativo, e riconosceva alcune modiche libertà. E, per tutto il quindicennio della Restaurazione, la situazione del Paese si era sviluppata in una duplice direzione: da un lato si era fatta più soffocante la pressione della Russia, specialmente dopo l'avvento al trono dello zar Nicola I; dall'altro, si erano venute rinvigorendo le latenti forze polacche di opposizione. C'era chi, facendo leva su quei pochi e ristretti diritti di libertà elargiti dalla Costituzione, e guardando alle grandi lotte parlamentari e di stampa che si svolgevano in Francia per una progressiva affermazione del liberalismo costituzionale, si batteva per un loro ampliamento. Era il gruppo cosiddetto di Kalisz (dal nome di una piccola città polacca): appassionati banditori del liberalismo costituzionale di Benjamin Constant, si vantavano del nomignolo di benjaminislers, affibbiato per dileggio dai loro avversari. U n riecheggiamento, questo, che ritrovia¬ mo, larvato o esplicito, in altri Paesi d'Europa, anche in Italia. Ma accanto a questa, c'erano correnti di opposizione tipiche di quel Paese: un gagliardo romanticismo, impersonato dal poeta Mickiewicz e dallo storico Lelewel; la gioventù universitaria; l'esercito polacco, considerato quasi come il simbolo della nazione mutilata e oppressa; la radicata fede cattolica, orgogliosamente contrapposta alla religione ortodossa; e specialmente, mescolato a tutto ciò, un fortissimo sentimento nazionale, che si alimentava del ricordo e dei sogni di restaurazione della grande Polonia del passato. Lo strato sociale in cui questi motivi erano più sentiti era la media e minore nobiltà del Paese; mentre la grande nobiltà dei magnati era quasi tutta filorussa. La borghesia era esigua, ben esigua, ben lontana dall'essere, come in Francia, una classe in ascesa. E totalmente estranee a questi moti di opinione e fermenti nazionali di opposizione erano, in questo Paese a strutture agricole ancora feudali, le masse contadine. ★ ★ Anche qui, come in altri Paesi europei, la spinta decisiva all'azione fu data dalla rivoluzione di luglio in Francia. L'eroica insurrezione di Varsavia, del novembre 1830, che inizialmente era stata il gesto quasi disperato di un pugno di cospiratori, si tramutò in un fatto rivoluzionario per il suo congiungersi a una rivolta popolare (suscitata da un grave malessere economico, ai limiti della carestia), rafforzata dall'ammutinamento delle truppe. Dominante e quasi esclusivo, per le ragioni sopra accennate, fu il motivo nazionale, antirusso; e questo ci spiega perché, nonostante il profilarsi e l'accentuarsi delle diversità e anche dei contrasti fra moderati e radicali, Czartoryski — un moderato che godeva di grande prestigio internazionale — rimanesse alla testa dei polacchi fino al settembre 1831 nonostante il crescente rafforzarsi dell'ala radicale. Di fronte al precipitare degli avvenimenti, lo scontro armato con i russi diventava inevitabile. E i polacchi, come già nel Settecento contro Caterina II, e ancora nella seconda guerra mondiale contro i tedeschi (la cavalleria lanciata contro i carri armati, l'insurrezione di Varsavia), si buttarono a capofitto nell'impari lotta. Come sempre, fu una tragedia. Finis Poloniae: come scriveva a Czartoryski un generale polacco, dopo la grave, decisiva sconfitta del 26 maggio 1831. In anni vicini a noi qualche storico ha detto che la causa del fallimento della rivoluzio¬ ne sta nel mancato appello delle masse contadine alla lotta, nell'egoismo di classe e nella insensibilità sociale della nobiltà, la sola protagonista della insurrezione. Come è noto, qualcosa di simile fu detto, sulla scia di un giudizio gramsciano non correttamente interpretato, a proposito dei democratici borghesi del nostro Risorgimento (la «rivoluzione agraria mancata»). Resta da chiedersi, anche in questo caso, se i contadini polacchi, asserviti da lunghi secoli, ed estranei alle aspirazioni patriottistiche e alla cultura degli insorti, fossero davvero «maturi» per partecipare in modo consapevole e risolutivo alla rivoluzione, o se piuttosto il loro coinvolgimento non avrebbe affrettato la catastrofe. Questo, però, può e deve dirsi: che proprio allora nacque, fra le diverse classi sociali, nei rivoluzionari più accesi, la consapevolezza di tale abisso e della storica necessità di colmarlo. E lo si sarebbe visto ben presto, nelle varie correnti in cui si sarebbe divisa la grande emigrazione polacca. Altre furono piuttosto le cause della sconfitta: l'enorme sproporzione tra le forze militari in campo e, sul piano internazionale, la passività o l'ostilità delle grandi potenze europee. A nulla valsero le calde attestazioni di simpatia della opinione democratica francese, che faceva dire a Lafayette: «Tutta la Francia è polacca»; o l'entusiasmo delle varie emigrazioni politiche, che sembravano riprendere le infiammate parole di sessant'anni prima, dell'inglese John Lind: «La causa della Polonia è oggi diventata la causa di tutta l'Europa». La guerra ormai volgeva al suo ineluttabile epilogo. Nel settembre 1831 le truppe russe entravano a Varsavia, e in ottobre gli ultimi reparti polacchi erano costretti a deporre le armi. Intanto, a Parigi, il ministro degli Esteri Sebastiani usciva nella sua famigerata frase: «L'ordine regna a Varsavia». Se consideriamo i fatti polacchi di centocinquant'anni fa. quella lunga, strenua lotta di resistenza, vediamo che la loro specificità consiste nell'indomabile spirito nazionale — sorretto dalla religione tradizionale — che sembrava accomunare, allora come sempre, moderati e radicali, in un supremo atto di sfida, contro ogni calcolo realistico. Quei rivoluzionari pensavano solo alla Polonia: ma lavoravano per l'Europa. E' la lezione che ci hanno lasciato, e che faremmo bene a meditare. A. Galante Garrone

Persone citate: Adam Czartoriski, Benjamin Constant, Czartoryski, John Lind, Mickiewicz, Sebastiani