Il Messico all'appuntamento di Cancun

Il Messico all'appuntamento di Cancun Il Messico all'appuntamento di Cancun L'idea di discutere l'ingiusta distribuzione delle risorse tra i Paesi «ricchi» e quelli del Terzo Mondo risale a Brandt - Ma è del presidente messicano Lopez-Portillo il merito di riunire intorno a un tavolo per la prima volta i capi di Stato e di governo di 22 nazioni - Petrolio e industria alla base del forte sviluppo di un Paese sul filo dell'equidistanza; amico di tutti, alleato di nessu nessuno DAL N08TR0 INVIATO SPECIALE CITTA1 DEL MESSICO — La prossima settimana, dal 22 al 23, a Cancùn il Messico ospiterà l'atteso vertice Nord-Sud. Un appuntamento storico, forse già circondato da troppe aspettative che rischiano di essere deluse. Quale però si prospetti l'esito della conferenza, una cosa è certa, sarà il trionfo della linea José Lopez Portino. La lunga marcia del Presidente messicano, ispirata come ha scritto qui l'Excesior, «dalla volontà disinteressata di fungere da arbitro delle controversie, e null'altro», si concluderà cosi sotto i palmeti della famosa località turistica sull'Atlantico. L'idea, discutere l'ingiusta distribuzione delle risorse accettando il criterio che l'asse dell'instabilità non si muove soltanto sulla direttrice Est-Ovest ma principalmente lungo il divario fra Nord ricco e Sud povero, era stata avanzata oltre un anno fa da Willy Brandt. A Lopez Portino resta appunto il merito di averla saputa realizzare, riunendo attorno lo stesso tavolo per la prima volta capi di Stato e di governo di 22 nazioni, le potenze industriali accanto ai Paesi derelitti del Terzo Mondo. Per gli eredi di Pancho Villa non è un risultato da poco, risultato d'altronde che giustifica i trionfalismi e le iperboli che si sprecano, il kolossal diventato realtà, le orchestrine dei mariaci in gara ogni sera a chi suona meglio una vecchia canzone, -Il nostro limite è ormai il cielo». Perché è cosi che «e/ Mexico de hoy- aggredisce il visitatore frastornandolo con le previsioni di quello che sarà il suo futuro entro la fine del secolo: una nazione da oltre 120 milioni di abitanti, quasi la metà degli Stati Uniti, e, quel che conta, padrone di 250 miliardi di barili di petrolio in riserve stimate. Al raffronto, l'Arabia Saudita fa quasi la figura del poveraccio. La «via messicana» insomma dello sviluppo, tumultuosa, arruffona, entusiasta, soprattutto sicura di sé. E non si tratta di chiacchiere poggiate su castelli in aria. Ancora una ventina di anni fa la capitale, ad esempio, contava una popolazione di poco superiore ai due milioni, oggi Città del Messico scoppia con i suoi 18 milioni di abitanti, ed è già la zona metropolitana più densa del pianeta. Con la prossima generazione rischia però di sfuggire ad ogni controllo per diventare un incubo demografico ed urbanistico, megalopoli da 35-40 milioni di persone obbligata sin da adesso ad approntare gigantesche strutture di accoglimento sull'immenso altopiano dominato dalla Sierra de Guadelupe. Per cavalcare la tigre i messicani sono riusciti persino a demolire il cliché dell'eterno sonnolento con il sombrero calato sugli occhi. «Quei cappellacci — dicono — li vendiamo soltanto agli stranieri, ai turisti "gringos" che ne vanno matti». Sono stati comunque fortunati perché il boom non si sarebbe rivelato possibile senza le trivelle della «Pemex», l'ente petrolifero di Stato, che succhiano in superficie, dalla terra e dal mare, greggio per oltre 2,4 milioni di barili al giorno. Indubbiamente il Messico si è rivelato abile nello sfruttare la bonama. Non iscritto al club dell'Opec, anzi, e me lo ribadisce il ministro delle Finanze Angel Guria. sfrutta ozscppdacs ogni occasione per puntualizzare il suo status autonomo, « Paese cioè che non vuole essere identificato come esportatore di petrolio ma piuttosto come Paese industriale che possiede petrolio-. Autonomia pericolosa in fasi di caduta del mercato, come è infatti accaduto all'inizio dell'anno con l'eccesso della produzione mondiale, tuttavia vantaggiosissima quando si possono dettare condizioni di prezzo e giostrare con le forniture. L'esportazione è ora attestata sui 1,3 milioni di barili giornalieri, quasi tutti prendono la strada della vicina America del Nord. Il giocare da battitore libero ha consentito inoltre al Messico di diventare in un certo senso l'enfant gate della finanza mondiale. Le 198 banche estere presenti nel Paese si azzuffano nel prestare denaro alle imprese pubbliche e private, tanto c'è l'oro nero in garanzia, all'orizzonte non si scorgono tempeste politiche, l'opposizione appare schiacciata dal «partito rivoluzionario istituzionalizzato», al potere da 40 anni. Non desta preoccupazioni nemmeno la scadenza, alla fine dell'82, del mandato presidenziale di José Lopez Portil- lo. La successione è assicurata con la designazione del delfino. Miguel de la Madrid Hurtado, esperto in diritto amministrativo, ben visto dall'establishment di Wall Street, autore del piano di sviluppo socioeconomico che ha avuto molto successo proiettando il Paese verso un incremento annuo del 7 per cento, quasi un record da nazione postindustriale. Eppure non mancano le pecche, alcune abbastanza visibili: lo squilibrio di radici secolari tra città e campesinos. tuttora costretti ad una vita grama, l'inflazione del 30 per cento che erode i guadagni, la disoccupazione strisciante, assorbita solo in parte dall'ambizioso progetto «Alfa-Omega» che prevede la costruzione attraverso l'istmo di Tehuantepec di una ferrovia porta-containers. Dovrebbe entro un decennio diventare il terribile concorrente del Canale di Panama e aprire una nuova storica via di collegamento fra l'Atlantico e il Pacifico. Eppure è in campo internazionale che il Messico ha compiuto autentici passi da gigante trasformandosi da comprimario in protagonista, sempre sul filo dell'equidistanza, amico di tutti, alleato di nessuno. Per Lopez Portillo in sostanza il pallino fisso è stato quello di evitare al Mes¬ sico, alquanto vulnerabile per la sua posizione geografica, di importare le tensioni classiche dei Caraibi. E' riuscito cosi nel duplice scopo di tenere Cuba a distanza senza che il castrismo dilagasse a macchia d'olio nel Centro-America, dove avrebbe di certo incontrato terreno fertile, e di ricucire le relazioni con Washington, precipitate nell'epoca di Carter, grazie anche alla solida amicizia con Reagan, che risale ai tempi in cui l'attuale Presidente era governatore della California. Da gennaio i due Capi di Stato si sono incontrati quattro volte, un'assiduità di contatti insolita nella storia dei contrastati rapporti bilaterali. Nell'entourage di Portillo ne sono ovviamente fieri, spiegano soddisfatti che essi rappresentano il giusto premio all'imparzialità messicana «in quanto consente di essere non allineata al tal punto da non far parte dello schieramento dei Paesi allineati, di proclamare, e non si tratta di funambolismo diplomatico, di essersi accordata con gli Stati Uniti sull'eventualità di non essere d'accordo-. E' il caso appunto della clamorosa dichiarazione congiunta franco-messicana con la quale si riconosce la legittimità del Fronte Farabundo Marti in lotta nel Salvador contro la giunta militare di José Napoléon Duarte appoggiata dalla Casa Bianca nonostante le forti riserve espresse dal Congresso americano. Contrasti a parte, la consacrazione della formula autonomia economica-equidistanza politica è dunque alle porte. Dopo Cancùn l'amicizia fra Messico e Stati Uniti apparirà ancora più solida. Piero de Garzarolli Tra grattacieli e traffico un'immagine di Città del Messico che si appresta a diventare la più popolosa città del mondo (G. Neri)