Canetti, zingaro della cultura europea di Lorenzo Mondo

Canetti, zingaro della cultura europea IL PREMIO NOBEL PER LA LETTERATURA ALLO SCRITTORE BULGARO Canetti, zingaro della cultura europea Nato 76 anni fa dà genitori ebrei di origine spagnola, dal 1938 vive a Londra - Scrìve in tedesco - «Auto da fé», Punico romanzo, un capolavoro - In «Massa e potere» saggi di filosofìa, storia, antropologia sul significato complesso delle aggregazioni umane - Ha analizzato tutti i mali dell'umanità, ma afferma: «Una sola cosa io odio veramente: il suo nemico, la morte» DAL NOSTRO CORRISPONDENTE STOCCOLMA — Elias Canetti è il Premio Nobel per la letteratura 1981. Non c'è stata sorpresa nel grande salone dell'Accademia svedese quando ieri, alle 13 in punto, il segretario generale Lars Gyllensten ha pronunciato il nome del saggista e romanziere, nato 76 anni fa a Ruse in Bulgaria da famiglia ebrea di origine spagnola, che vive a Londra dal 1938 e scrive in tedesco. Infatti era da mercoledì notte che si parlava di lui come del candidato più quotato, dopo una selesione durata alcuni mesi, che aveva eliminato una decina di scrittori d'ogni parte del mondo. La motivazione dell'Accademia dice tra l'altro: «Per un'opera letteraria caratterizzata dall'ampiezza delle prospettive, dalla ricchezza delle idee e dalla potenza artistica». «Fra i suoi studi di ritratti letterari — dice ancora la motivazione dell'Accademia svedese — particolare menzione merita Der andere prozess (Secondo processo a Kafka) del 1969. In esso l'autore esamina con intensità di partecipazione la complessa relazione di Kafka con Felice Bauer. Lo studio si traduce nel ritratto di un uomo, la cui vita ed il cui lavoro significarono la rinuncia al potere». L'Accademia cita in.particolare i due tomi di memorie Work die gerette tunge quale «il vertice degli scritti di Elias Canetti. In queste reminiscenze dell'infanzia e della gioventù egli rivela la sua vigorosa ed epica forza descrittiva in tutta la sua ampiezza. Il suo stile ha una lucidità che ha pochissimi equivalenti qualitativi in opere di memorie scritte in tedesco in questo secolo». Il Premio sarà consegnato da re Carlo Gustavo il 10 dicembre nel salone del Palazzo dei Concerti: una pergamena, una medaglia d'oro e un assegno di un milione di corone poco più di 200 milioni di lire completamente esenti da tasse, trasferibili fuori dalla Svezia sema alcun problema valutario, w. r. schinità e protervia. Quale malizia suggerisce un giorno alla donna delle pulizie di infilarsi un paio di guanti prima di prendere in mano uno dei suoi venticinquemila volumi? Per questo gesto di delicatezza le darà fiducia, la sposerà, spalancando le porte al nemico, che imbratta il suo rifugio con gli oggetti e i simboli di un mondo «senza qualità». Il professor Kien viene cacciato di casa, vaga di albergo in albergo come un fuggiasco, cerca di ricomporre la sua utopica biblioteca comprando al monte di pietà i volumi venduti dall'avida consorte. Fino al rogo finale nel quale decide di immolarsi con la perduta biblioteca. Ma che senso ha la solitudine ammirevole e grottesca di questo intellettuale europeo degli Anni Trenta? E' vincitore o sconfitto sui roghi dell'«arte degenerata»? Quale la sua gloria o la sua infamia? La chiarezza può venire dai saggi che Canetti, dopo averci lavorato per vent'anni, ha raccolto organicamente nel libro Massa e potere (Rizzoli). Filosofia, antropologia, storia concorrono a definire il significato complesso di certe aggregazioni umane. Nella massa, afferma Canetti, si realizza il capovolgimento radicale della paura che ogni uomo prova a essere toccato da chi non conosce, da ciò che gli è ignoto. La paura si trasforma cioè nel suo opposto. Ed è la stessa paura, spinta al parossismo, che spinge il singolo a uscire dalla massa per farsene dominatore, per diventare uomo di potere. Nel potere si esprime una volontà oscura di sopravvivenza, che si esalta della morte altrui, della debolezza e dell'asservimento. Suprema forma di potere è quella che si afferma con la guerra scatenata e vinta, con la sopravvivenza su mucchi di cadaveri. Ma l'ultimo e più crudele dei tiranni è la morte, quella da cui non riesce a libe¬ rarci neanche la psicanalisi collettiva che è, nelle intenzioni di Canetti, la letteratura. Lasciamo a lui la parola: «Ho analizzato il potere e l'ho scomposto nei suoi elementi... Ben poco del male che si può dire dell'uomo e dell'umanità io non l'ho detto. E tuttavia l'orgoglio che provo per essa è ancora così grande che solo una cosa io odio veramente: il suo nemico, la morte». La citazione è tratta da La lingua salvata, l'ultimo libro tradotto in italiano, e da cui si fa bene a cominciare la conoscenza dello scrittore. A differenza degli altri, nasce trasparente e spiegato come per una sovrabbondanza di affetti troppo a lungo trattenuti, quasi a risarcimento di un fiero e geloso riserbo, umano prima che stilistico. E' il primo volume della sua autobiografia e giunge fino al 1921. Si parte dalla città sul Danubio con il suo profumo d'Oriente, emporio di spezie e di lingue, mappa di un mondo frantumato, onnicomprensivo e babelico sul quale non ha forza connettiva l'aquila soltanto bicipite degli Asburgo. Vi campeggia la figura della madre, alla quale Elias è legato da una violenta, contrastata passione: e l'autonomia faticosamente raggiunta non saprà tuttavia prescindere dalla lingua materna, il tedesco, in cui scriverà i suoi libri. La lingua salvata, con tutta la sua affabilità, è un libro che privilegia fin dal titolo la parte dell'intelligenza, l'importanza della cultura. Non è poi davvero fuori posto la scelta di Stoccolma: il premio a questo scrittore apolide e randagio, zingaro della cultura europea, nutrito di una «sapienza» che proprio perché vecchia, disincantata, non può permettersi il lusso, il vizio, della rassegnazione. Mentre si odono un'altra volta, intorno a noi, rulli di inquietanti tamburi. Lorenzo Mondo Londra. Elias Canetti, Premio Nobel per la Letteratura 1981, ritratto tra i libri del suo studio

Luoghi citati: Bulgaria, L'aquila, Londra, Stoccolma, Svezia