Un Nobel ai profughi del mondo

Un Nobel ai profughi del mondo Un Nobel ai profughi del mondo Il premio per la pace va al commissariato dell'Onu per i rifugiati OSLO — Con una decisione a sorpresa del comitato Nobel del Parlamento norvegese il premio 1981 per la pace è stato assegnato, esattamente come 27 anni fa, all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati con sede a Ginevra. Se non c'è alcun dubbio che l'organizzazione premiata meriti il Nobel, resta il fatto che i sei membri del comitato, non essendo riusciti a mettersi d'accordo sulle candidature date per favorite, come lo svizzero Maggi, il polacco Lech Walesa, lo svedese Myrdal, hanno ripiegato con un compromesso su un istituto internazionale al di fuori di qualunque critica. Quest'anno il premio è dotato di un milione di corone, pari a circa 216 milioni di lire. Quattordici, forse addirittura diciotto milioni di profughi sparsi nel mondo, una goccia nel mare dell'umanità, ai quali si devono aggiungere altri milioni di affamati, di gente priva di casa e di futuro. Il dramma dei senza patria è racchiuso in queste cifre. Spesso l'opinione pubblica le accetta con un senso di fastidio, quasi a voler minimizzare colpe che sono invece generalizzate. Premiando l'Alto Commissariato i giurati del Nobel hanno voluto sottolineare le incomprensioni, ed anche le ipocrisie, che circondano la difficile battaglia per il rispetto dei diritti umani. «I profughi che non osano tornare nella terra natia — dice la motivazione — debbono avere l'opportunità di iniziare una nuova vita nel Paese che li ospita». Ciò vale per i boat people fuggiti dal Vietnam e dalla Cambogia, per haitiani e cubani riparati negli Stati Uniti, per gli ebrei sovietici che reclamano il diritto di emigrare. Con pochi mezzi a disposizione, il suo bilancio assistenziale è di appena 480 milioni di dollari, quasi tutti contributi volontari da parte dei Paesi membri dell'Onu, l'ente diretto da Paul Hartling, ex primo ministro danese, fa miracoli. Ma non può far molto contro governi che esagerano la portata dei disastri (di recente la Somalia aveva chiesto aiuti per un milione e mezzo di profughi, il triplo di quelli effettivamente accolti), non può intervenire se non sollecitato dalle autorità locali, non può operare negli Stati che non riconoscono la Convenzione del 1951 sullo status di profugo, colui cioè che risulta «sradicato dalla sua terra per ragioni politiche o ideologiche e che deve restare vagabondo il minor tempo possibile». Il Commissariato deve anche restare al di sopra delle parti, «non guardare in faccia a nessuno», ha detto Hartling «nel dare una mano ai rifugiati che sono tra le persone migliori del mondo, fra le più coraggiose». Nel 1954, quando venne premiato la prima volta, l'organismo stava per essere smantellato, poi i continui focolai di conflitto lo hanno imposto come custode degli oppressi. Per l'Onu, subissato di critiche per il suo immobilismo e le sue inefficienze, si tratta di un riconoscimento che vale da sprone. p.d.g.

Persone citate: Hartling, Lech Walesa, Maggi, Paul Hartling

Luoghi citati: Cambogia, Ginevra, Oslo, Somalia, Stati Uniti, Vietnam