Nel caffè americano di Foreman la psicanalisi semina il terrore

Nel caffè americano di Foreman la psicanalisi semina il terrore Il provocatorio spettacolo al Festival (TAntonine di Parigi Nel caffè americano di Foreman la psicanalisi semina il terrore PARIGI — Si snoda al Festival d'Automne la sequenza delle messinscena beckettiane (ora è la volta delle compagnie francesi), mentre si fa avanti, con impetuosa provocatorietà, il primo degli ospiti stranieri, l'americano Richard Foreman (i secondi saranno i tedeschi Karge e Langhoff, con un truculento Marie- Woyzeck, di cui già riferimmo nell'aprile scorso da Firenze). Foreman, fondatore nel' 68 dell'-Ontological-Histeric Theatre», con l'inseparaibile Kate Manheim, ha lavorato stavolta, ospite del Théatre de Gennevilliers, nella banlieue parigina, con otto allievi della Scucia superiore d'arte drammatica di Strasbourg, che è la seconda, dopo il parigino Conservatoire, di Francia. Ne è nato uno spettacolo. Café Amérique, presentato in prima mondiale, in cui la parola ha una rilevanza maggiore che nei suoi precedenti allestimenti (all'ultimo, «luogo + bersaglio», assistemmo, un anno fa, alla Triennale di Milano); e in cui le immagini esplodono, anzi concrescono l'una sull'altra ad un ritmo ancora più martellante del solito. Il tema di Café Amérique (durata un'ora e un quarto, ma l'incessante succedersi di suggestioni visuali e la colonna sonora, cupa, persistente, non consentirebbero altro margine), è l'esplosione conflittuale tra l'individuo, qui nei panni dell'adolescente Agata (la Manheim), e la psicanalisi, impersonata dallo spettrale, calvo e nasuto, Daniel Emilfork, nel ruolo di un demoniaco terapeuta in impeccabile completo nero. Gli altri, i cinque ragazzi e le tre ragazze, sono, volta a volta, i loro alleati o rivali in questo duello. Ad un europeo il tema può sembrare pretestuoso e iperletterario. Ma, come il titolo dice, siamo negli Stati Uniti, nel Paese in cui un cittadino su cinque vive la propria esperienza psicanalitica con trepidazione. Nello spettacolo di Foreman domina addirittura il terrore della psicanalisi, ma in un clima ambiguo di attrazione-repulsione. In uno stanzone a grandi piastrelle marrone, con alcuni sportelli lignei, tra nere sedie, un nero lettino, un trono nerastro. Agata e il suo medico-carnefice si scontrano. E' uno scontro che si misura, essenzialmente, su oggetti-simbolo (specchi, mazze da golf, martelletti, mannaie, manichetti di contenzione), su gesti carichi d'una angosciosa allusività (la testa nel cavo del muro, la mano in un cubo ligneo, il corpo attraverso un vano-ghigliottina). Vistose metafore della castrazione si susseguono in una crudele sarabanda: Agata, in piedi, contro la parete, si depila il sesso, una ragazza barbuta è legata alla poltrona del barbiere, tra rasoi e forbici, come su una sedia di contenzione. Passano, sonnolente, le sagome di un'infanzia ormai perduta: grossi orsi di felpa, dal grande pene rossastro, si portano via. furtivi, bambolotti cerei. Mentre gli otto ragazzi occhieggiano da tante stanzette in fila o a raggiera o di quinta, celle e confessionali al tempo stesso (sui loro volti si staglia un'indecifrabile smorfia tra il riso e il pianto), il medico-aguzzino ostenta, oltraggiosamente, sul proprio capo splendenti aureole, allinea sul tavolo i feticci di una religione oppressiva quanto la pratica freudiana. Ora i ragazzi sono poliziotti: neri gli occhiali sul volto di farina, esigono e implorano al tempo stesso; gibbuti, denudano le loro deformità, altro non sono che la loro infanzia, in forma, ancora una volta, di ceree bambole. Passano neri fagotti, lenzuola chiazzate di sangue svelano le carcasse di un essere umano. Sotto gli occhi allucinati di Agata, medicina, religione, potere hanno consumato la loro violenza: «Cosa ho ora a disposizione se non la menzogna?» sussurra lei. lo sguardo nel vuoto. Abbiamo tentato di riassumere uno spettacolo che si sottrae per definizione, alla sintesi, e vive, all'opposto, della deflagrazione centripeta di tante piccole sequenze, che si snodano senza requie. E' uno spettacolo debordante, sovraccarico, eccessivo, certo, ma che sprigiona innegabile forza di coinvolgimento e ti si radica nella memoria. Alla prima, moltissimi i giovani, che applaudivano, ma interdetti. La Francia è digiuna (o quasi) di sperimentazione: anche questo è un elemento di cui tener conto. Guido Davico Bonino

Persone citate: Daniel Emilfork, Foreman, Guido Davico Bonino, Karge, Kate Manheim, Langhoff, Manheim, Richard Foreman

Luoghi citati: Firenze, Francia, Milano, Parigi, Stati Uniti