Strehler: «Nella sua nuova sede il Piccolo Teatro farà miracoli»

Strehler: «Nella sua nuova sede il Piccolo Teatro farà miracoli» Wedekind e Beckett, le due novità della prossima stagione Strehler: «Nella sua nuova sede il Piccolo Teatro farà miracoli» MILANO — Seduto sulla panchina del Temporale di Strindberg, che sta in questi giorni riallestendo, Giorgio Strehler ha parlato col sussidio di una trentina di fogli dattiloscritti, per un'ora e 45' di seguito. Lui l'ha definito un «monologo» ma si è trattato piuttosto di un'orazione in stile vibrante, con qualche squarcio di autobiografica commozione: <Siamo alla trentacinquesima stagione del Piccolo, al mio quarantesimo anno di attività, al mio decimo anno di direzione artistica da solo. Credo sia giunto il momento di parlare a fondo del nostro futuro, del nuovo Piccolo Teatro. Nel 1985-'86, col concidere della nostra quarantesima stagione e del quarantennale della Resistenza, il nuovo Piccolo inaugurerà ambedue le sale di cui è destinato a comporsi tra il verde del quartiere Garibaldi, tra Brera e il Castello, in una sona centrale ma anche popolare, comunque la "nostra" sona da sempre. Ma già tra l'83 e V84 si aprirà la Sala Fossati, la prima delle due sale ad essere ultimata, capace di 500 posti circa, in grado di essere utilizzata — secondo il progetto dell'architetto Marco Zanuso — sia come teatro all'italiana, sia come scena a spazio centrale». «E', la sala — ha proseguito Strehler — dello studio e della ricerca, noi apriremo una scuola d'arte drammatica triennale, aperta a giovani non solo italiani, ma di tutta Europa: ed una scuola non solo per attori, ma anche per tecnici. Ci insegneremo tutti noi del Piccolo, io in testa: saremo severi, anzi inflessibili, dagli esami d'ammissione della durata di una settimana alle lezioni a tempo pieno. Insegneremo di tutto ai ragazzi, salvo che la regìa (a quella s'arriva tardi, per lenta maturazione'. A fianco della scuola per i giovani, il Fossati sarà anche il laboratorio di Strehler: «Ho diritto credo dopo 250 allestimenti realizzati uno ad uno, di provarne qualcuno senza concluderlo, di saggiare la resistenza di autori nuovi, di tentare particolari esperimenti (un atto di un Amleto mate rialista, i brechtiani dialoghi su ^/'Acquisto dell'ottone,), di ospitare amici registi, da Brook a Chéreau, che abbisognano di uno spazio appartato e "diverso"». Strettamente collegata alla Sala Fossati va però vista sin d'ora la sala maggiore: «Pro pongo che venga chiamata la Sala Grassi, in ricordo del l'uomo che con me ha creato il Piccolo e tanto ha fatto per il teatro, sempre e dovunque. E il complesso in cui metteremo in scena il nostro repertorio per il grande pubblico. Nella Sala Grassi, capace di 1200 posti, s'ergerà non solo un moderno palcoscenico, ma anche una vasta sala prove, che lo sovrasta e permette che sia ogni sera sgombro e agibile, moderni camerini, i laboratori (falegnameria, pittura e scenotecnica, sartoria), gli uffici amministrativi, l'ufficio stampa, il laboratorio foto grafico, l'archivio storico: tut te le cellule insomma della nostra grande officina, in base ad una idea di simultaneità e aggregazione che è ad un tempo umana, artistica ed economica». Quale sarà, il repertorio di questo nuovo grande Stabile? «I nostri celebri spettacoli del passato; i classici con i quali non ci siamo ancora misurati da Racine a Goethe, da Cor- neille ad Alfieri; i maestri contemporanei, la nuova drammaturgia». E qui la voce del regista si è fatta, di scatto, commossa e imperiosa: «Questa non è una favola bella, è un progetto già in avanzata attuazione, cui noi lavoreremo — una volta compiuto — sino allo stremo delle forze. Io stesso non solo mi dedicherò anima e corpo all'insegnamento e alla regìa, ma riprenderò a recitare, con i miei vecchi compagni, molti dei quali so già torneranno da noi. Però occorre chiaramente che la collettività e la classe politica si ritrovino in una unità di intenti, che trascenda le strategie della mera quotidianità. Io rivendico al Piccolo non l'etichetta teatro nazionale, ma la sigla di Piccolo Teatro Nazional-popolare: e chiedo che con una adeguata ampiezza di vedute, con una scelta coraggiosa, col giusto finanziamento venga riconosciuto il livello d'eccezione del nostro impegno artistico e culturale». Guido Davico Bonino

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