Il volto dell'amicizia

Il volto dell'amicizia DIALOGHI CON GLI SCRITTORI Il volto dell'amicizia A Roma negli Anni Cinquanta tutte le sere si ritrovava a cena un gruppo di scrittori e di artisti, sempre gli stessi con in più gli amici di passaggio. C'erano Alberto Savinio, Mario Pannunzio, Amerigo Bartoli, Vitaliano Brancati, Ercolino Patti, Arrigo Benedetti con le consorti e, come si è detto, i «pendolari». La scelta del locale era condizionata dal numero incerto dei commensali. Savinio, ogni volta interpellato, per evitare i luoghi deputati, per lo più sceglieva trattorie periferiche, al neon, con sala per banchetti e l'abbacchio riscaldato. Il cibo dell'amicizia aveva programmata preminenza. A capo tavola, Savinio taceva come un patriarca, «brutto addormentato nel basco», come lo aveva definito lo scultore Mazzacurati. Pannunzio, cardinalizio ma senza porpora, sereno, quasi giocoso, dimenticava «Il Mondo» e il mondo; Benedetti invece era preoccupato della Storia, la nostra Storia, come di una sorella di facili costumi; Patti, cane da tartufi, annusava tutto, anche i silenzi; Bartoli, che somigliava a Leo Longanesi nella'statura e nella mordacità, si sentiva «di libero», come dicono i militari in licenza, e sarebbe stato giocoso anche lui senza gli occhi attenti alla moglie Ditta (figlia di Emilio Cocchi ). malata di sclerosi a placche, che di sera in sera vedevamo mummificarsi; Brancati seduto di traverso sembrava di passaggio e lo era. Salutisti per la pelle, Patti e Brancati si scambiavano pillole e ormoni secondo le ricette di qualche guaritore. Brancati se ne andrà tra qualche semestre in poche ore. Col gusto di notare sui pezzetti di carta Le parole degli altri, non ho alcuno appunto di quelle sere. Forse i discorsi non erano importanti? Le tante parole in vari intrecci nella lunga tavolata avevano un fondo comune nei silenzi. Quel fondo le rendeva univoche, ottava meraviglia del mondo, quale ora ci appare. Senza retorica, senza messaggi, una mela era una mela prima di essere una statistica, un figlio era un figlio prima di essere un problema sociale, il mare era il mare e non una cooperativa e l'amicizia aveva il volto ovvio e quotidiano dei tempi lunghi. Hostaria romana Non si erano ancora seduti, una coppia con un amico «foresto», che un cameriere gli fa scivolare sul piatto dallo spiedino brandito a gloria, una salsiccetta col crostino che cola grasso. «Stuzzica l'appetito», dice voltando il capo a metà perché già parla al tavolo vicino. L'ospite, avanti in età, si schermisce ma viene sommerso con una seconda e una terza salsiccia: «Che male fanno? Sono come bruscolini. Non mangeremo altro». Arriva una terrina ricolma: spaghetti alle vongole col guscio. E' venerdì. La signora beve un brodo, ma accetta di vuotare il fondo della terrina. In una teglia da cardinale galleggia il baccalà. «Solo un assaggio», balbetta l'ospite. «Ti ricordi quel trenino a Trieste?». Sul ricordo, il piatto viene riempito. Il marito, coltello alla mano, non aspetta neppure che abbiano finito di servirlo per affrontare il baccalà. La signora mangia un'insalata. 11 marito dice sottovoce al cameriere: «Quella caciottina che mi hai dato l'altra sera, c'era rimasto il culetto. C'è ancora? lo me lo centellino», e abbassando di più la voce: «Mi raccomando lo spiedino». «Raccomandato», risponde il cameriere, «lo non posso più...», guaiscc l'ospite. «Questo va giù come una pillola. Dimmi un po', ce l'hai sempre quella bella tenuta all'Aquila? E il vino lo fai?». «Oh, un vinello da poco...». «Non sarà famoso, ma io... Sai, qualunque cosa ti serva a Roma, io sto qui, io sto qui... ». Tutta la nostra tavolata in silenzio li guardava. Savinio sottovoce (ma non tanto) ordina al cameriere: «Porti un infarto ai signori». «Raccomandato», risponde il cameriere. Una città di passaggio Dall'alto di Trinità dei Monti, Roma sembra una flotta sommersa, diceva press'a poco D'Annunzio che la vedeva dal palazzetto Zuccari in via Gregoriana. Ma era una metafora iperbolica. Nella bufera, Roma galleggia insommergibile come un sughero. Quella leggerezza che nello stesso tempo si giova di una legge fisica e altre ne elude, somiglia alla sua Storia, che non passa sopra la città, ma sotto e non la bagna. Di famiglia romana quale sono, non da oggi mi domando il perché di tale privilegio. Pigra e casalinga, erede e simbolo di una civiltà cui ha dato il nome, il prestigio di Roma non nasce dalla storia, ma da se stessa. E' eterna perché sottratta alla natura. Ne è consapevole? Neppure il Belli, che è Roma stessa, forse avrebbe saputo rispondere. Altri tempi? Eh, no, il tempo a Roma parla romanesco come cent'anni fa. La sua forza è la reticenza. Montale racconta che, cercando nel centro di Roma una strada si è rivolto a un portinaio seduto pacifico davanti al portone a godersi il fresco della sera. L'uomo lo guarda succhiando la pipa, per brontolare poi tra i denti: «Lo so, ma nun me va de dillo». Roma ne sa di più di quel che dice. La reticenza suggerisce una dimensione del possibile tanto vaga e dismisurata da mettere paura. Anche per questo, la città è più facilmente dominabile dai foresti, che non lo sanno. Gli incontri hanno la festosità eccessiva delle scampagnate. «Chi si vede? Che mi dici? Che si fa a Milano? Eh, Milano... Qualcuno m'ha detto di averti visto a cena con... con... come si chiama?». Aspettano che tu dica qualche nome per capire chi vedi, chi ti piace. «Il lavoro? Si, sto facendo una cosa, ma sai...». «Cioè?». «Ci vediamo, eh?». La vaghezza nebbiosa rende gli incontri e i distacchi sempre improvvisi e questo fa di Roma una città di passaggio anche per chi vi abita. Il giorno in cui, durante la guerra arrivarono gli americani, in piazza Barberini assolata e deserta una donna tutta nera gridava: «Arriveno! Arrivenol». Un maestoso guardaportone prima di chiudere i battenti si è fermato sulla soglia: «Mo' vengono, poi se ne vanno». Tutto mo' viene poi se ne va senza che nulla cambi. Invece del travertino, Roma è stata rifatta in gomma piuma, che si rigonfia da sola senza serbare traccia. Una scrittrice toscana. Flora Volpini, diceva, alla fiorentina: «Qui si butta il pane in acqua perchè rigonfia». «Non è paese da venire a disputare sulla luna». (Guicciardini). Uomini e altri animali «Finalmente ho capito che cosa distingue l'uomo dalle bestie: i soldi». (Jules RénardV Valentino Bompiani