A Firenze è in vendita un Beaubourg con Brueghel e Tiepolo

A Firenze è in vendita un Beaubourg con Brueghel e Tiepolo La Biennale dell'antiquariato A Firenze è in vendita un Beaubourg con Brueghel e Tiepolo FIRENZE —Lo starsene contenti e alteri ai propri ruoli è cosa d'altri cieli. Qui da noi, vuoi per scarso orgoglio del mestiere, vuoi per l'incertezza delle parti sempre e tutte insidiate, ognuno tenta d'uscirne. L'autore — o autrice — del romanzo ne oggetto del popolare applauso vorrebbe ad ogni costo il premio dei Lincei, mentre il letteratissimo distillatore di prosine pretende il quotidiano e alte tirature. A tornare su questo mugugno ci hanno mosso sabato scorso conferenze e discorsi ufficiali per l'apertura della dodicesima Biennale d'antiquariato di Firenze che sarà visitabile a Palazzo Strozzi fino all'i 1 ottobre. Ancora una volta ci è parso che gli antiquari, o chi per loro, volessero come nascondere la natura commerciale della loro professione per investirsi d'alti compiti, ovviamente «culturali, (perchè della cultura tutti si vogliono servitori, allo stesso modo che fino a qualche decennio fa erano tutti al servizio della patria). Non negheremo certo i meriti degli antiquari e la categoria, associata com'è a idee cosi poco popolari quali il lusso, il fasto e la ricchezza in genere, deve difendersi, lo sappiamo, dal generale e ipocrite, vituperio che colpisce da noi il danaro. Ma di fronte a tante ambagi rigirate intorno al negozio, vien fatto di benedire il grande mercante di Prato che in tempi meno lumacosi intitolava i suoi libri di conto col -nome di Dio e del guadagno». Smaltito il fastidio della retorica, va riconosciuto per giusto il vanto dei fratelli Bellini d'aver dato vita a questa mostra e soprattutto d'averne mantenuta intatta l'autorità. Cosa non facile se si pensa che al seguito della Biennale fiorentina fiere e mostre antiquarie si sono moltiplicate in Italia: se ne contano trentotto, oggi, e molte — le più — non per altro si rilevano che per impedire la visita degli illustri edifici che amano ingombrare. Sazi di tanto ciarpame. non erano pochi a scommettere che anche a Firenze la formula della mostra generica avrebbe rivelato l'usura. E invece la qualità media delle cose esposte, piuttosto alta, a sfida dei notificatori d'assalto, ne garantisce ancora il successo. Gli espositori sono 131 di cui 22 stranieri, e anche la Russia è in qualche modo rappresentata perché — spiegano — c'è un antiquario italiano autorizzato a consegnare agli acquirenti di oggetti di arte russa un certificato di garanzia rilasciato dal ministero dei Beni culturali dell'Urss. Cosa segnalare dei tanti oggetti esposti? Scarpinando per il chilometro e mezzo di percorso nella ressa e nel caldo del giorno d'apertura è grande il rischio di veder male e scegliere peggio, ma, le mani avanti, tentiamo. E cominciamo per curiosità dall'ipotesi più alta, dal veneziano Pietro Scarpa che avanza, non nel catalogo ufficiale ma in un foglio-catalogo del proprio stand, il nome tremendo di Michelangelo (e bottega) per due bronzetti alti una ventina di centimetri. Dì più tranquilla attribuzione la bella scelta di disegni presentati dallo stesso Scarpa: tre mirabili Bernini, un G. B. Tiepolo dalla seppia insolitamente aranciata, un agghindatissimo cavallo di Stefano Della Bella, due profeti di Baccio Bandinelli, un eccezionale Gianantonio Guardi. Il disegno in questa mostra è molto ben rappresentato. Esempi antichi e moderni di grande qualità espone l'americano Spencer A. Samuels & Co: abbiamo visto un G. B. Tiepolo, un Guercino, un Parmigianino. una smagliante pergamena di G. B. Castelli, una turba di pulcinelli a illustrare i mesi in dodici disegni di Lorenzo Tiepolo e poi un Boucher. un Guy. un Sisley, un Braque. Bei disegni anche nello stand del Gabinetto delle Stampe (un ratto di Deianira di Gian Domenico Tiepolo, un ritratto di Alessandro Allori), in quello del belga Jean Willems e in quello di Colombari (due tempere di Bison e un grande Cambiaso). Pochi — è ovvio — al confronto i quadri straordinari. C'è. è vero, un'affollata Predica del Battista di Pieter Brueghel il Giovane esposta con altri notevoli quadri fiamminghi da Robert Finck di Bruxelles e per la quale sarebbe richiesta, si diceva, la tonda somma d'un miliardo di lire, ma l'antiquario ha smentito, assicurandoci che il quadro fa parte della sua collezione privata e non è in vendita. Attrae la curiosità dei visitatori la tavoletta del fiorentino Apollonio Di Giovanni (XV secolo) esposta da Bellini: vi si vede una donnina a cavalcioni, con redini e frusta, d'un venerando vecchio e non vorremmo passar per pedanti rilevando un errore iconografico del catalogo. I personaggi non sono come 11 si dice Santippe e Socrate, ma la bell'etera Erpillide con Aristotele e quell'equus eroticus sta a significare nella leggenda d'origine medievale come anche il più sapiente degli uomini caschi nel ridicolo quand'è accecato dalla passione. Sempre da Bellini, un fronte di cassone dello stesso Apollonio, un Crespi, un Magnasco verace, una festa livornese attribuita allo Zucchi. Poi segniamo un Jacobello del Fiore da Luzzetti, due nature morte anonime da Previtali, due spiritati paesaggi di Antonio Marini e un piccolo Crespi da Florence Taccani. un altro piccolo Crespi da Giorgio Cesare un capolavoro di Giovanni Andrea De Ferrari, da Fiumicelli, la Santa con fiori e frutta del Pignoni e l'Angelo custode del Vignali da Wannenes, i due Bettera e i due Poli di Scaccabarozzi, il Nattiez, l'Aubey, il Magiotto, il Cartoni venuti dalla Francia con la Galerie Pardo, la Battaglia di Belgrado di Muzio Mastuzzo da Pelgoron, i Todeschini, l'enigmatica natura morta della Galleria permanente d'ar¬ te di Bergamo e il Sabba di G. B. Quagliata da Martino Silvestri. Nei mobili e negli arredi il gusto dominante è quello per la cosiddetta alta epoca che abbraccia più o meno i prodotti di tre secoli e che ha nel severo stand di Luzzetti uno dei suoi santuari. Vi abbiamo ammirato un polittico in legno policromo attribuito a Jacopo da Pola (XV secolo), due cassoni nuziali certosini della fine del Quattrocento e un capolavoro della maiolica italiana, un'alzata ferrarese sempre del Quattrocento. Alta epoca anche nello stand di Bellini, naturalmente, (due classici, la grande credenza toscana e la Madonna lignea) e in quello arredato a studiolo rinascimentale di De Carlo (coppia di tavoli e la Madonna borgognona) o in quello tappezzato di grigio di Candii (grande tavolo toscano del '500 e, tra le maioliche, piatto decorato a nastri intrecciati) e ancora da Previtali (sei sgabelli toscani del XVI sec). Il gusto austero dell'alta epoca ha contagiato anche Eskenazi che nulla concede alle consuete mollezze fiorite dell'Oriente per esporre, tra geometrici, bellissimi kilim, solo monocromi pezzi archeologici: un cavallino Tang, un torso Khmer del XII sec. Tra gli stands «arredati» van menzionati quello di Nella Longari (una boiserie Luigi XVI in legno di quercia, che racchiude, tra l'altro, una collezione di mortai d'avorio, terrecotte e bronzi italiani, un prezioso Aubusson) e quello di Pratesi (con una collezione di bicchieri di vetro veneziani e toscani e una di 52 campanelli d'argento). Felici eccezioni all'austerità dominante nei mobili (perfino tra i veneti sono più quelli di noce che i dipinti) gli esempi d'ebanisteria francese presentati da Gismondi di Parigi, tra cui primeggia il tavolo di Leonardo von Der Vinne (XVII sec.) in tartaruga e avorio; poi le lacche e gli ori degli esemplari veneti disposti da Semenzato e da Piva e il comò emiliano dipinto di lotti. Lo stand più avveniristico, una sorta di Beaubourg in miniatura, è quello di Antonella Bensi, specialista in argenti antichi che però ha preferito esibire concretamente, e tra le maglie d'una rete nera, solo una collezione di giochi dal '500 all' '800. mentre l'argenteria vien presentata in diapositive dentro a grandi tubi: pièce de resistance il calamaio in tartaruga, madreperla e oro con stemmi Orléans-Medici, dei primi del Settecento. Mario Spagnol Trumeau del XVIII sec. in radica e «L'uscita dalla locanda» di Pierre Brueghel il Giovane (part.)