Scriveva in fretta quei versi pensati a lungo
Scriveva in fretta quei versi pensati a lungo Forti Scriveva in fretta quei versi pensati a lungo Marco Forti è responsabile delle collane di poesia alla Mondadori, dove ha curato tutti I libri di Montale, dal 1961, tenendo anche I rapporti con il poeta. Come studioso, ha dedicato a Montale vari saggi critici — Quali problemi ha comportato, in casa editrice, il rapporto con il poeta? «Non ha mal comportato gravi problemi, e nessuna difficoltà, perché la persona di Montale era aperta, Intelligente, sempre in prò della sua opera e della sua espansione». — Montale rispettava le scadérne editoriali? «Per Montale non sono mai esistite scadenze. Scriveva i suoi versi in modo molto libero, e personale, con poche varianti. Io lo andavo a trovare una o due volte il mese; a un certo punto mi diceva: "Sai, ho un libro quasi pronto". Mi faceva vedere il manoscritto. Poi lo leggevamo In casa editrice, con Isella, Sereni. Ci ra- gionavamo sopra, finché il libro fosse a punto». —Avveniva una discussione, sul libro? «Lui era ben lieto di avere suggerimenti e consigli; ma i nostri suggerimenti erano minimi, perché sapevamo di avere a che fare con un testo di grande importanza». — E Montale accoglieva questi suggerimenti minimi? «Qualche volta si. E' successo che ha tolto qualche poesia ritenuta più debole da una raccolta, e l'ha poi ripresentata, con varianti, in un libro successivo. Ma altre poesie non sono ricomparse». — Come si presentavano i suoi manoscritti? «Arrivavano dattiloscritti; li batteva a macchina lui, con un solo dito, fino agli ultimi anni. A volte arrivavano in fotocopia, perché lui aveva fatto vedere il dattiloscritto a un amico. Ci sono originali di libri in cui, nello stesso fascicolo, si mescolano dattiloscritti e fotocopie. Poche correzioni a penna, di pugno dell'autore». — Aveva qualche ripensamento, sulle bozze? «Montale è sempre stato molto sobrio, in questo. Scriveva i suoi versi in modo rapido, dopo averci pensato su molto. Nondimeno qualche correzione sulle bozze veniva fatta». — Lo vedevate spesso in casa editrice? «Finché eravamo in via Bianca di Savoia si. A Segrate non è mal venuto, camminava cosi male negli ultimi anni. Andavamo noi, da lui: con Sereni, Isella, Porzio. Montale ci riceveva, conversava, sapeva tutto di tutti. — Che cosa rimane, di inedito? «Di cose recenti dovrebbe esserci molto poco. Possono esistere cose più antiche, nelle lettere che hanno molti suoi corrispondenti: amici, critici, scrittori, ispiratrici. Potrebbero contenere varianti su testi poetici, conosciuti e anche sconosciuti. Qualche cosa si può subodorare, ma è inutile anticipare quello che non si sa. E d'altra parte non conosciamo ancora le disposizioni che Montale ha dato per la sua opera». A Giorgio Caproni, poeta toscano vissuto in Liguria, abbiamo chiesto un ricordo di Montale. PARLARE di Montale in occasione della sua morte mi sembra un atto di vanità. Non vorrei davvero avere l'aria di farmi, di un evento cosi triste, un fiore all'occhiello. Comunque, per non apparire del tutto scortese di fronte all'invito rivoltomi, mi limiterò a ripetere qui, senza la minima presunzione critica, e rimandando per un più ragionato discorso ad altre mie testimonianze, quanto già ebbi a dire varie volte a proposito dei miei personali rapporti con i suoi versi. (Un modesto ricordo autobiografico, dunque). Insieme con Sbarbaro, di tutti i poeti italiani del '900 Montale è stato, più di ogni altro, il mio poeta, il poeta che «ho sentito dentro», magari fino all'infatuazio-
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