Greene: sono io l'agente all'Avana di Masolino D'amico

Greene: sono io l'agente all'Avana Autobiografia. Inafferrabile lo scrittore inglese anche quando si confessa Greene: sono io l'agente all'Avana CON l'inafferrabile Graham Greene non si sa mai dove finisca la reticenza e dove cominci un'abile campagna di autopromozione, fondata sullo stimolo della curiosità del pubblico. Nello «star system» che domina, nella nostra epoca, anche il mondo degli scrittori, egli si è riservato un personaggio che si suole paragonare a quello della Garbo: esibizionista nella «performance» professionale, ma ostinato fino alla stravaganza nel celare quanto riguarda la vita privata. Come racconta egli stesso nello spiritoso epilogo di questo suo ultimo libro, Vie di scampo, che esce in questi giorni da Mondadori, ciò può esporlo a inconvenienti curiosi. Giocando sulla scarsa familiarità del pubblico con i tratti somatici di Greene, le cui fotografie sono piuttosto rare, uno sconosciuto avventuriero si è per esempio divertito, e forse si diverte ancora, a spacciarsi per lo scrittore famoso, facendosi prendere sul serio da capi di Stato, avventurieri internazionali e portieri d'albergo in varie parti del mondo, e cacciandosi ogni tanto nei guai: minacciato di arresto per debiti in India, riuscì ancora poco tempo fa a farsi telegrafare 100 sterline dal «Picture Post». Quando anni addietro Greene diede alle stampe una autobiografia, ci si sarebbe potuto aspettare che avesse finalmente deciso di vuotare il sacco; ma le cose non stavano cosi Non soltanto il sessantacinquenne scrittore concluse quel libro — Una specie di vita-— allo scadere del proprio ventisettesimo anno d'età, ina annunciò che non ci sarebbe stato seguito. Oggi torna sulle ragioni di quella decisione per spiegarle meglio: nessuna vita appartiene soltanto a chi l'ha vissuta, dice, a raccontarla per esteso bisogna sempre coinvolgere anche degli altri, che hanno diritto ad essere lasciati in pace, almeno finché sono vivi. Da questo principio Greene non demorde, nemmeno ora che si è deciso a fare qualche altra concessione a chi vuol saperne di più sul suo conto, licenziando un libro, almeno nelle intenzioni attuali, destinato a rimanere come la principale fonte autorizzata di notizie sulla sua vita adulta. Silenzio assoluto, dunque, sulle persone che hanno contato nella sua esistenza — soprattutto per legami affettivi —; nessun pettegolezzo, e tributi, di amicizia soltanto, a quattro defunti, tre intellettuali: Nordahl Grieg, Herbert Read, Evelyn Waugh, e un pittoresco produttore cinematografico, Alexander Korda. In compenso, molte notizie sull'opera. Si può pertanto parlare di autobiografia letteraria: il filo conduttore è infatti la genesi di tutti i libri di Greene (buona parte del materiale essendo ricavata dalle prefazioni che Greene è venuto scrivendo ai vari volumi dell'edizione completa dei suoi lavori). D'altro canto proprio Greene è proverbiale, tra tutti gli scrittori moderni, per aver conosciuto di persona le cose che narra; per aver continuato a precipitarsi, durante la sua lunga attività, ai quattro lati del pianeta, è di regola nei posti più scomodi e turbolenti, sia pure senza fare troppo chiasso — come una specie di britannicamente riservato' Hemingway dei servizi segreti. Non senza una punta della sua caratteristica malizia, in Vie di scampo egli tiene a precisare come all'origine di questa sua irrequietezza non vi sia stato il bisogno di cercare materiale per i'-libri' Certi romanzi pieni di colore esotico, spiega, non si fondarono affatto su un'esperienza dei luoghi: per il suo primo successo, Stambul traiti, alias Orient Express ( 1932), Greene dovette lavorare di fantasia; giovane e squattrinato, aveva preso il leggendario treno a Calais, ma giunto a Colonia era dovuto scendere. Mentre da certi viaggi pieni di peripezie non nacque poi niente di solido dal punto di vista della letteratura. La passione di viaggiare e di farlo in posti pericolosi Greene la attribuisce a una sorta di angoscia esistere:ia! e, che chiama «il mio temperamento maniaco-depressivo», manifestatasi soprattutto nel dopoguerra. Naturalmente non ci dà particolari in merito — accenna soltanto a un tentativo di curarla con gli elettroshock —, ma spiega che una volta riconosciuto una sorta di palliativo nel «senso di insicurezza» che aveva provato nella Londra bersaglio dei bombardieri nazisti, tentò di recuperarlo facendosi assegnare una serie di missioni avventurose: in Malesia, nel Vietnam, nelv Kenya, nella Polonia stalinista. '" Noi*'sempre"questi luoghi dettarono romanzi ma spesso furono spunto di pagine di eccellente giornalismo, in qualche caso recuperate nel libro odierno (il pezzo sui coltivatori inglesi alle prese coi terroristi in Malesia, quel- j lo sui Mau-Mau, quello sulla battaglia di Thien Bien Phu). In altri luoghi Greene andò invece senza progetti precisi, per curiosità o seguendo un impulso; ammette che una sorta di «istinto dello scrittore» possa essere stato dietro alla voglia improvvisa di comprare un andata-ritorno per Port-au-Prince/ o 'Saigon, o Asuncldii. "Anche" se nòti s'erri-\ pre sa còsa sta cercando; tuttavia, lo scrittore non manca mai di documentarsi. Quando attraversa a dorso di mulo le montagne Ghiapas ignora di stare sperimentando l'itinerario del prete ubriacone in fuga nel Potere e la gloria; ma a volte le ricerche sono intenzionali. Quando, per // console onorario, chiede di risitare un bordello in Argen- , tuia e apprende che non ne esistono più, si reca diligentemente sino alla frontiera con l'Uruguay, a 400 miglia di distanza, a visitarne uno nel libero stato di Corrientes; e colà ambienta la scena del libro. E' pronto a cogliere le occasioni al volo: quando, appresa l'esistenza di una «polizia sotterranea» a Vienna, ed essendosi reso conto che non si tratta di un corpo segreto, ma letteralmente di agenti operanti nelle fogne della città, chiede subito di visitarle, munito di impermeabile e stivali; e si trova pronto il soggetto del film II terzo uomo. Evasivo su quanto può coinvolgere degli altri, quindi in primo luogo sulla propria vita sentimentale, Greene sembra intenzionato invece a dire qualcosa di più sulle proprie idee in fatto di religionema solo in maniera obliqua, e per paradossi. Tiene molto a strapparsi l'assurda etichetta di crittore cattolico per programma, e discute la propria posizione nei confronti dell'amico Waugh, di cui riferisce i rimproveri per le tendenze alla sfiducia manifestate in un libro; ma al contempo riporta con una certa fierezza la disapprovazione manifestata da Papa Montini per la messa all'indice del Potere e la gloria. i Non senza un certo gusto si diverte a esibire, qua e là, i propri vizi, soprattutto per quanto riguarda l'impiego di sostanze toniche: altro tratto che ebbe in comune di Waugh, ma a differenza dell'amico, Greene non sembra aver fatto un uso dissennato dell'alcol; privilegiando ceca- r I sionalmente altri stimolano, come la benzedrina (che gli consentì di scrivere in fretta L'agente segreto mentre lavorava al Potere e la gloria), e l'esotico oppio, dei cui poteri rilassanti e addirittura taumaturgici pronuncia un convinto elogio. Masolino d'Amico Graham Greene in una caricatura di David Levine (CopKlghtN.Y. Review ol' Books. Opera Mundi e per l'Italia «La Stampa»)