A Napoli o in Australia vivere è agonia di Ernesto Ferrero

A Napoli o in Australia vivere è agonia Due esordi: Ramondino e Cappiello A Napoli o in Australia vivere è agonia INSIEME con quello di Buf alino, l'esordio di Fabrizia Ramondino è uno dei più interessanti degli ultimi tempi, e magari non soltanto di quelli. In entrambi i casi, è un esordio per modo di dire: si sente che dietro vi stanno una robusta cultura, una meditata strategia letteraria, e prove scrittone tenute a maturare nei cassetti con una pazienza di cui si è perduto il civile costume. Della Ramondino si è saputo che è napoletana, sui quaran t'anni, figlia di un diplomatico, con attive militanze politico-sociali nella sua disastrata città, già autrice di un volume sul movimento dei disoccupati organizzati, ma consapevole che il vero impegno, in letteratura, sta nell'esprìmersi ai livelli più alti. Althénopis si presenta come un libro di memorie familiari, cui fa da filo conduttore un rapporto madre-figlia che si Invera soltanto con l'agonia della madre. Ad apertura di pagina colpiscono le qualità della scrittura; la costruzione musicale del perìodo, la ricchezza del lessico. Con la sicurezza e la malizia del veterano, la Ramondino riscatta quella che potrebbe restare un'ennesima storia d'infànzia e di adolescenza: una nonna prodiga e stravagante, una madre dolente, un padre assente, tanti zìi e cugini bislacchi, grandi magioni tutte da scoprire, i giochi, le scoperte, i trasalimenti, le intuizioni... Ma l'obiettivo non è elegiaco: motore della pagina è una tensione conoscitiva cui lo scavo ostinato della memoria offre un caleidoscopico campionario di esperienze, immagini odori saporì: segni che attendono di essere decifrati e ricomposti in un discorso che non è quello consolatorio della nostalgia, ma quello di una fervida curiosità antropologica. Althénopis è Napoli, «occhio di vecchia», come la chiamavano (ma sarà poi vero?) i soldati tedeschi dell'occupazione, delusi di non ritrovarvi la città che aveva incantato Mozart e Goethe. E parimenti reinventati con poetica pertinenza sono i nomi dei paesi della penisola sorrentina in cui l'autrice bambina passa gli anni della guerra, il nucleo più incantato del libro. E' un modo per prendere le distanze dalla materia autobiografica senza rinunciare a una dimensione favolosa per la quale qualcuno ha fatto il nome della Morante. Si è anche parlato di Gadda, e in effetti dell'ingegnere la Ramondino sembra condividere la passione per le note a pie' di pagina, a metà tra il gusto del dettaglio e l'autoironia. l'inclinazione al catalogo, la vocazione enciclopedica e classificatoria (particolarmente sontuoso è l'erbario). Cosi apprendiamo che il .limone del pane» è fornito di •spesso mesocarpo, mentre l'endocarpo è scarso e poco succoso... Affonda il dente, presago di voluttà, nel dolce e morbido albedo». Si sarà capito che la torta della Ramondino va mangiata con calma perché è anche sin troppo ricca, come certe cassate alla siciliana fitte di canditi (uso intenzionalmente la metafora, per il gran parlare che si fa qui di pratiche gastronomiche). Ma le ridondanze e gli eccessi poco tolgono a una prova che basta a inserire la sua autrice tra le certezze del nostro futuro narrativo. Fra i ragazzi che ruzzavano beati sulla costiera althénopea sarà forse stata anche Rosa Cappiello, che della Ramondino dovrebbe essere coetanea, e ha cercato scampo e fortuna emigrando in Australia. Con quali delusioni e fatiche e lotte è raccontato in Paese fortunato. L'Eldorado si rivela un sottomondo laido e vociante, agitato da appetiti elementari, da violenze piccole e grandi: qui, sotto il segno del Profitto, ognuno è lupo al suo simile. Vi convergono da ogni parte d'Europa ragazze attratte dalla speranza di un lavoro e di un marito: magari importate in blocco — meglio se vergini e un po' bovine — per essere offerte a padroncini arricchiti che vogliono comperar moglie. Una vita senza barlume di riscatto, domeniche tetre, birra triste e sesso frettoloso. Un misto di slums dickensiani, furore produttivo come nella Vigevano Anni 60 di Mastronardi, e squallori bukovskiani: manca soltanto Lombroso intento a fotografare tutto per i suoi album criminologici. Come se la cava al Cappiello con una materia del genere? Scarta la strada del resoconto documentario, e attacca spavalda il sesto grado della deformazione comicogrottesca. Tenta di risarcirsi sulla realtà aggredendola, insultandola, ingaggiando con essa un corpo a corpo linguistico buffo e disperato. In questo genere di colluttazione molte se ne danno, ma molte se ne prendono: là dove manca una scherma un po' lucida, ossia il fren dell'arte, rincontro finisce in rissa, e l'urlato sovrasta il dialogo. Come tutti i timidi, anche Rosa grida per farsi coraggio. Ma la nota principale della pagina resta la non medicabile amarezza di chi scopre che non basta la scrittura a cambiare il mondo. Ernesto Ferrero Fabrizia Ramondino: Althénopis. Einaudi, 266 pagine, 7000 lire. Rosa R. Cappiello: Pae»o l'ortunato. Feltrinelli, 222 pagine, 8000 lire.

Luoghi citati: Australia, Europa, Napoli