La stanza dove vive il dubbio

La stanza dove vive il dubbio La stanza dove vive il dubbio A Giovanni Macchia, autore di •Pirandello o la stanza della tortura» abbiamo rivolto tre domande. — Il tema della «stanza» è diventato un motivo ricorrente: da «I Moralisti classici» a Roussel, Proust e ora Pirandello. Da stanza della riflessione è diventata stanza del martirio, della morte, della tortura. Perché? E' un po' il luogo chiuso del teatro, il palcoscenico? «La figura di questa stanza mi ha un po' perseguitato, e da parecchi anni, in tutto quello che ho scrìtto. A volte è un salotto, a volte un'isola, nuda, squallida, adatta per la conversazione o per la meditazione solitaria, ai confini dell'universo, venata ora di saggezza ora di follia e combattuta e rovesciata da altri scrittori, grotteschi, vagabondi, estroversi che esaltano invece il senso della piazza. Dice bene: in questa idea della stanza, di un luogo chiuso, c'è forse l'immagine di uno spazio teatrale, di un certo teatro che sempre mi ha affascinato. Ma c'è anche la stanza de Mo scrittore, ed ospita il suo dramma. E' la cella di Pascal, il carcere di Cervantes (dove, diceva, aveva scritto il Don Chisciotte), la camera con il suo comodo arredamento borghese di Proust, la cui vita man mano che il tempo passava era tutto un seguito di stanze». —La stanza di Pirandello è diversa... «E* certo anch'essa un luogo teatrale, ma di tutt'altra essenza della camera raciniana, espressione e costrizione ideale voluta dalla rigorosa legge dell'unità. E' un luogo certo temibile ma non invisibile in cui s'annida non la Potenza (come diceva Barthes per Racine), ma la violenza. Il teatro di Pirandello è un teatro che non ci manda a letto tranquilli, pacificati, come accade allo spettatore del più nero teatro tragico. Nessun senso di liberazione ma un malessere vago, irritato. Esso richiede che il dubbio installi in noi le sue profonde radici, fino al punto di scoppiare nel dissenso o nel rifiuto. Ma forse il destino dell'artista, oggi, non sarà quello di farsi amare». — Proust, Pirandello, due esperienze umane e due opere assai diverse nelle quali però si avverte una grande partecipazione personale. Come mai? «Di Proust mi affascina la fiducia nell'opera, nella luce della letteratura, in cui io credo, e che in Pirandello non c'è. Quella di Proust è una lotta con l'angelo, fino alla fine, per l'opera compiuta, l'opera perfetta. In Pirandello l'opera è un continuo assaggio, una prova verso un orizzonte che diventa sempre più chiuso e dove non c'è il conforto della forma.Proust, L'Angelo della notteePirandello o La Stanza della torturarono due libri che si rifanno a due concezioni diverse ma partono dall'idea che l'uomo inteso come unità non esiste, che siamo formati da tanti «io», ed è l'intermittenza della memoria che ci permette di scoprire noi stessi attraverso sensazioni che credevamo scomparse». (a cura di Paola Decina)