Banti: la mia scrittura è donna ma non per i critici di Nico Orengo

Banti: la mia scrittura è donna ma non per i critici Parla l'autrice di «Un grido lacerante» Banti: la mia scrittura è donna ma non per i critici FIRENZE — «SI, qualche premio anni fa l'avevo già vinto: il Viareggio, nel '52 per Le donne muoiono, il Veillon nel '57 per La monaca di Sciangai e il Bagutta per Je vous écris d'un pays lointain nel '72. Ma un premio come il Campiello ha più risonanza, certo...*. Anna Banti sta partendo per Venezia, finalista al Campiello con il suo ultimo libro Un grido lacerante (174 pagine, 8000 lire) edito da Rizzoli, e dove in serata conoscerà il verdetto dei lettori che assegnano il Super-premio. La partenza un po' la agita, e cosi lasciare la grande casa annegata nella collina di fronte a Firenze, sotto Bagno a Ripoli, fra i grandi lecci, i tigli, i faggi. Seduta nella penombra del morbido salotto, foderato di libri e quadri, con un volume sulle ginocchia, i capelli ramati d'argento, il busto eretto, gli occhi forti, come in una istantanea di Primoli, Anna Banti commenta il successo che ha avuto il suo romanzo: «Ho scritto un libro commosso, immediato. Ho scritto di cose dolorose, di quelle che avvengono nella vita. Per questo il libro è piaciuto. Un libro autobiografico soprattutto nella prima parte». La storia di Un grido lacerante riassume e racconta il grande amore e la devozione che Agnese Lanzi, promettente studiosa d'arte, ha per il suo maestro Delga, il loro matrimonio, la rinuncia di lei alla carriera per dedicarsi al ruolo di moglie e compagna, la valvola di sfogo trovata nella scrittura. Allusiva e trasparente è la vicenda di Lucia Lopresti (il vero nome della scrittrice) e di Roberto Longhi, il grande crìtico d'arte di orìgini piemontesi, allievo di Toesca e Venturi, studioso di Caravaggio e Piero della Francesca. «7 lettori amano leggere delle storie che siano piuttosto vere — continua Anna Banti — oggi si scrivono dei libri così... cosi strani...». La rinuncia di Agnese Lanzi a seguire i suoi studi sull'arte è stata molto sofferta, dolorosa. E' avvenuto cosi per lei quando ha dovuto rinunciare a lavorare sulle immagini e a cercare una espressività con le parole? •Io ho sempre avuto una grande passione per la scrittura. Quand'ero piccola, la mia scrittura erano i caratteri a stampatello. Con loro inventavo storie e le illustravo. Con le parole si può fare una letteratura che non si fa con la storia dell'arte. E della letteratura si può fare Storia, quando la Storia tace. E in Italia c'è molta storia taciuta». Nel 1947 lei pubblicò Artemisia, una ricostruzione storica ed umana della pittrice secentesca Artemisia Gentileschi, un romanzosaggio che anticipava molte indagini odierne sulla figura della «donna-artista» nella società. «Le donne pittrici le cerco ancora oggi, con il lanternino, sono rare, rare. Ciò che indagavo, ieri come oggi, è la parità intellettuale fra uomo e donna. Ciò che ho anticipato è il costume rude di come le donne vengano trattate male in provincia. Ma la discrepanza dei discorsi che avvengono fra donne e quelli che avvengono fra gli uomini esiste ancora. E quando gli uomini scrivono sulle donne? Lo vedo con i miei libri: i recensori gentili scrivono e il mio libro diventa il libro di un uomo!». A Firenze vive ancora volentieri? 'Firenze è una città triste, avara, e, come diceva Stendhal, priva di cordialità. I fiorentini sono faziosi, cattivelli. L'aristocrazia poi continua a vivere chiusa come al tempo di Cosimo III. Ma io vivo qui, non a Firenze. E qui c'è la Fondazione Longhi, un patrimonio irripetibile. Certo ci vorrebbero più soldi, bisognerebbe restaurare la casa, poter aumentare il numero dei borsisti. Quest'anno ce ne sono solo undici. Longhi e io volevamo che la Fondazione diventasse un ente morale. C'è ancora un materiale da studiare che potrebbe eccitare molte fantasie. Ripeto, sono i fondi che mancano. Una volta avevamo come protettore Raffaele Mattioli, oggi solo più il Comune, la Regione, i Beni Culturali. Loro ci danno solo la possibilità di vivere. Cerchiamo un altro benefico signore, o signora». Spadolini... •Spadolini parla molto, ma finora s'è scordato della Fondazione. Biasini era un uomo molto attento. Fra grandi difficoltà però noi continuiamo a lavorare, ci sono i quadri, c'è la biblioteca, c'è l'archivio. Noi lavoriamo sperando che non caschi il mondo». Per sé, continua a lavorare, a scrivere? •Scrivo racconti, i racconti sono simpatici, appartengono ad una tradizione veramente italiana». — I suoi autori preferiti sono però i francesi, Proust, Balzac... «51, ho una cultura di tradizioni francesi. Oggi non si fa altro che tradurre e ritradurre autori francesi. E'il caso di Proust. Perché? Longhi diceva sempre: "Se non sapete il francese prendete un vocabolario e una grammatica, vi chiudete in camera una settimana e poi leggerete ciò che vi interessa"». — Quel libro che tiene sulle ginocchia, cos'è? Anna Banti posa il libro sul cuscino, è un volume dell'epistolario della Woolf «Il volo della mente». • Come romanziera mi piace meno». Preferisce Katerine Mansfield? •E' una far)alletta, bella, affascinante». — Perché, signora, l'Agnese Lanzi del suo libro tace i momenti dell'amore, non ne parla quasi? • E' naturale che sia cosi». — E invece è disposta a raccontare i dolorosi momenti della morte. Perché? Anna Banti non rìspon de, riapre le lettere della Woolf, dice solo un leggerissimo «sarà», ma non ha tempo di allontanarsi e di fendersi nella lettura, una anziana domestica l'avverte che ci sono i preparativi da fare per raggiungere Venezia. Nico Orengo Anna Banti