Montale, la dignità e il «male di vivere» di Ernesto Gagliano

Montale, la dignità e il «male di vivere» LA SCOMPARSA DEL POETA CHE HA TESTIMONIATO LA CRISI DELL'UOMO Montale, la dignità e il «male di vivere» MILANO — La salma di Eugenio Montale, morto per un collasso cardiocircolatorio nella notte di sabato all'età di 85 anni, è stata trasferita ieri sera dalla sala della clinica «Pio X» in una camera ardente allestita a Palazzo Marino. I funerali si svolgono oggi alle 16, con una funzione religiosa officiata in Duomo, alla presenza del Presidente della Repubblica Pertini e del presidente del Consiglio Giovanni Spadolini. Il feretro sarà tumulato a San Felice (Firenze) accanto alla tomba della moglie del poeta, Drusilla Tanzi. Numerosi i messaggi di cordoglio. Il presidente del Consiglio Spadolini, che era legato al poeta da lunga consuetudine di lavoro e da un'amicizia trentennale, ha inviato ai familiari un telegramma dove afferma che «con Eugenio Montale scompare non solo il più grande poeta italiano della nostra generazione, ma anche uno dei massimi intellettuali europei che abbia difeso con coerenza e stile inimitabili i valori della ragione, della tolleranza, della dignità umana». Il presidente della Camera Nilde Jotti ha espresso il cordoglio profondo e commosso dell'assemblea di Montecitorio e suo personale per la scomparsa del senatore a vita Eugenio Montale «che con altissima sensibilità poetica seppe cogliere drammi e angosce dell'uomo d'oggi e visse con grande tensione civile i momenti dell'eclisse della libertà e della costruzione di una nuova democrazia». Altri messaggi sono stati inviati da personalità del mondo della politica e della cultura. Sguardo sornione, sigaretta appesa al centro della bocca, un dito che batte sulla macchina per scrìvere: è l'immagine più nota di Eugenio Montale. La sua esistenza è stata senza colpi di scena, ma un fiume che scorre lento e approda alla gloria (•Influisco, influisco- diceva ironicamente) e a una solida coscienza dell'uomo imprigionato nell'enigma del mondo. Era schivo, amante del silenzio, ma dentro gli sgorgava una voce schietta dove si riflettevano il male di vivere, l'impossibile ricerca di assoluti, il destino comune di tutta la natura. Una vena che lo colloca tra i massimi poeti contemporanei. Modesto, non alimentava miti attorno alla sua persona «Non sono un Leopardi, lascio poco da ardere - ed è già troppo vivere in percentuale - Vissi al cinque per cento, non aumentatela dose...-. Era nato a Genova il 12 ottobre 1896. da una famiglia dedita al commercio. 'Mio padre viveva tra casa e "scagno", io fra la casa e i portici delle strade nuove, sempre disoccupato. Si intende che cercavo un lavoro degno delle mie attitudini: ma quali fossero le mie attitudini, né io né mio padre avevamo mai potuto appurare Frequenta l'istituto «Vittorino da Feltre», ma poi per motivi di salute si mette a studiare in privato. E' di quei tempi la passione per il canto. Ha una bella voce di baritono, prende lezioni dal maestro Ernesto Sivori, sogna di interpretare Valentino nel Faust di Gounod o Alfonso XII nella Favorirà. L'amore della musica gli rimarrà sempre, la carriera di cantante sfumerà in fantasie. «Per interpretare un personaggio musicale — scriverà più tardi per spiegare quella rinuncia — non basta la voce: ci vogliono chiaroveggenza, nervi saldi e anche mancanza di senso del ridicolo... Bisogna avere l'animalità di un cretino e l'intelligenza di un genio-. ★ ★ Lui. dice, non era sicuro di essere un genio, anche se sapeva di non essere un imbecille. La vocazione poetica? Montale parla con la consueta ironia della sua musa precoce. «Ho scritto la mia prima poesia a cinque anni. La ricordo perfettamente: "Il vaso era al posto noto né pieno né vuoto".. Nel 1917 comincia a pubblicare qualche lirica su •Brigata- e. dopo la parentesi della guerra come ufficiale di fanteria sul fronte di Trento, allarga la sua collaborazione a •Primo Tempo-, la rivista torinese di Giacomo Benedetti. Sergio Solmi e Mario Gromo. Esplodono gli anni bui dello squadrismo, è il momento delle scelte. Montale firma un Manifesto antifascista redatto da Croce e Amendola: gesto naturale per uno che detesta ogni retorica, che fiuta il vuoto dietro le parole roboanti. 'Ossi di seppia- viene pubblicato a Torino nel 1925 da Piero Gobetti. Dapprima doveva intitolarsi •Rottami», ma poi l'autore rinuncia a quel termine troppo aggressivo: e la raccolta appare, segnalata da qualche critico, senza troppo clamore. •All'inizio — ricorderà l'autore — vedermi stampato offese il mio pudore. Poi sono diventato più sfrontato-. Suo padre non vede neanche la prima edizione, ma quando sa della seconda va in libreria: il libro costa 15 lire. Troppo caro, non lo compra. La seconda città di Montale è Firenze. Vi arriva nel marzo del 1927 assunto dall'editore Bemporad con uno stipendio di 600 lire, un lavoro di impiegato che dura poco più di un anno. Viene licenziato per una riduzione di personale, si trova di nuovo nell'ossessione di chi gira a vuoto alla ricerca di un «posto». Il disagio, stavolta, è breve. Lo accolgono alla direzione del Gabinetto Vieusseux, la biblioteca frequentata un secolo prima da Leopardi, Gioberti, Giordani. LI Montale fa di tutto, tiene anche l'amministrazione. Sono gli anni in cui frequenta il Caffé delle Giubbe Rosse, incontra Gadda e Vittorini, collabora a «Solaria». Ma «dall'alto» la presenza in quell'ente culturale di una persona che non è iscritta al partito non è ben vista. Il podestà lo manda a chiamare. E' vestito in orbace, parla con un «voi» perentorio. «Darete spontaneamente le dimissioni — gli dice — perché il licenziamento potrebbe avere ripercussioni nega- tive Le dimissioni non vengono date, ma il poeta si trova sulla strada con una liquidazione di 22 mila lire. I «fogli d'ordine» di Starace s'infittiscono. Hitler è accolto a Firenze con «fraterno cameratismo», lo spazio per gli uomini liberi si riduce sempre di più. Intanto escono altri volumi: «La casa dei doganieri e altri versi- (Vallecchi 1932), nuove ristampe di 'Ossi di seppia-, nel 1939 da Einaudi «Le occasioni- e -Finisterre- a Lugano. Vi appare un poeta che rivela ai giovani intellettuali la loro crisi, Io sbandamento. •La bussola va impazzita all'avventura - e il calcolo dei dadi più non torna-. Una coscienza attenta, che non si fa illusioni: critica, ma non corrosiva. L'ultima, lunga stagione di Montale è milanese. Viene assunto nel 1948 al •Corriere della Sera, come redattore: farà il critico musicale. Gli era sempre piaciuto andare a vivere in quella città. In anni lontani aveva scritto: •Vorrei stabilirmi a Milano, se mi riesce di trovarmi un posto di portinaio o di facchino in qualche azienda-. Era la prospettiva della concretezza, di un lavoro an- che umile, ma sicuro. Le circostanze della sua assunzione al giornale hanno l'aria di un aneddoto inventato. Il poeta è in redazione quando arriva la notizia della morte di Gandhi. Non ci sono altri a disposizione e gli propongono di fare un articolo: lui accende una sigaretta, si mette alla macchina per scrivere e un'ora dopo consegna il «pezzo». L'indomani ha il contratto in tasca. Si trasferisce in quella tranquilla casa di via Bigli, nel centro storico, tra portici, ombre e silenzi. Lì vivrà con l'affettuosa compagnia di Drusilla Tanzi, «La Mosca», che diventerà sua moglie e morirà nel 1962 aprendogli una ferita insanabile. E' l'esistenza abitudinaria, discreta, dell'uomo che confida: «Ho sempre provato un po'di vergogna a sentirmi chiamare poeta-. Ha un suo hobby, dipinge, delinea immagini di spiagge color ocra, pinete secche, un bestiario poetico. Divide la sua giornata tra passeggiate, riflessioni, spettacoli musicali e il lavoro in redazione. E' un esempio vivente di libertà e ritrosia. Mai il gesto di chi si crede un personaggio, ma la coerenza di chi ha insegnato a due generazioni l'onesta (e disperata) coscienza dei limiti: 'Questo solo sappiamo ciò che non siamo - ciò che non vogliamo-. * * Escono «La bufera e l'altro-, 'La farfalla di Dinard-, i saggi di -Auto da fé-, «Satura» e 'Diario 71-. I riconoscimenti si moltiplicano. Lauree ad honorem, nel '67 la nomina a senatore a vita, nel '75 il Premio Nobel per la poesia. E qui torna a far capolino il distacco, l'eterna autoironia di Montale: 'Chissà che bello sarebbe se l'Accademia di Svezia, colta du improvvisi rimorsi, mi mandasse a dire di averci ripensato!-. Oppure: «Afosca sarebbe contenta, ma poi aggiungerebbe che hanno un po'esagerato-. Cosi fino alla fine, senza mai cedere alla tentazione di diventare un monumento. Il lavoro giornalistico, le poesie fabbricate nella mente e poi scritte su un biglietto infilato nel taschino del gilè. «... t poeti laureati - si muovono soltanto fra le piante - dai nomi poco usati: bossi, ligustri o acanti. - Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi - /ossi...». Lui. senatore e premio Nobel, non si è mai sentito un «poeta laureato». Ernesto Gagliano Stoccolma, 1975. Montale stringe la mano a re Gustavo di Svezia alla consegna del Nobel