Ma ora la Russia lo ha dimenticato di Fabio Galvano
Ma ora la Russia lo ha dimenticato Ma ora la Russia lo ha dimenticato MOSCA — C'è sempre un miliziano davanti all'ingresso del cimitero di Novodevicij, per controllare chi entra e chi esce. Ma alle centinaia di turisti che si fermano quotidianamente, impacchettati sui pullman bianchi e rossi dell'Inturist, si parla soltanto dell'antico monastero e si indica il negozio per stranieri proprio di fronte, dove essi possono acquistare i soliti «suvenirj» da riportare a casa. Sono pochi a sapere che, ai piedi delle mura di mattoni rossi del monastero dove Boris Godunov fu eletto sor e dove Sofia, sorella di Pietro il Grande, trascorse gli anni dell'esilio, sono sepolti non solo alcuni «grandi» della storia russa e sovietica (da Gogol a Checov, da Majakovskij a Ehremburg a Prokofev), ma anche — in un angolo molto discreto — il «contadino che cambiò il mondo».- Nikita Sergeevich Kruscev. Né le guide turistiche russe amano parlarne: meglio che quella modesta tomba rimanga in sordina e il miliziano regoli il flusso di chi entra e di chi esce. Davanti alla lapide, però, non mancano mai i fiori: li portano i parenti e i pochi amici rimastigli fedeli anche negli anni della disgrazia. Venerdì, a dieci anni dalla sua morte, gli occhi attenti del Kgb seguiranno sicuramente il silenzioso pellegrinaggio di chi, su quella tomba, porterà pane o biscotti, caramelle o fiori, recitando magari una poesia, come è nelle tradizioni russe. Lontano dalla Piazza Rossa e dalle mura del Cremlino, dove sono stati sepolti personaggi storicamente anche meno importanti di lui, Kruscev paga da morto gli errori che gli vengono imputati per quando era vivo. Che cosa resta di lui a dieci anni dalla morte e a 17 dalla caduta politica? L'impressione, parlando con i sovietici, è che essi vogliano soprattutto dimenticarlo. E quando il discorso cade su di lui, c'è sovente la tendenza a deriderlo, a ridicolizzarlo. Salvo uno sparuto drappello dell'Intelligentia moscovita —che di lui ricorda una nuova flessibilità (di breve durata) nel campo delle arti e della letteratura, con il fiorire della 'tribuna dei poeti» (Evtushenko, Voznesenkij, Bella Achmadulina, Rozhdestvenskij) e di un teatro meno conformista (il Ta.ga.nka e il Sovremennik, per esempio) — in genere i russi non lo amano. Non lo amano gli uomini di partito, che ancora oggi vedono in Kruscev un «pasticcione ideologico», un uomo che avviando la destalinizzazione mise anche in dubbio l'infallibilità del partito e fece apparire molte — forse troppe —persone sciocche o colpevoli per la loro adulazione del dittatore. Non lo amano i contadini, ai quali egli ridusse considerevolmente gli appezzamenti 'Privati»; non lo amano le generazioni più anziane, per il pugno di ferro che usò nei confronti della Chiesa ortodossa. Ma soprattutto non lo ama l'anima russa, che male sopportò la sua critica di Stalin. Nonostante le vicende — e soprattutto i silenzi — della storia e della politica sovietici, di Stalin i russi hanno un buon ricordo. Fu l'uomo, in un'analisi semplice e popolare, che diede coesione al Paese creato da Lenin, che vinse la guerra contro il nazismo: un *padre» che molti ancora oggi rimpiangono. Si rammenta, fra l'altro, che ai suoi tempi i negozi erano pieni d'ogni cosa, dimenticando forse con troppa facilità le terribili «purgfie- delle quali fu mandante. Di riflesso, Kruscev — peraltro semiscomparso dai libri di storia del partito — è l'uomo che profanò la memoria di quel .padre-, prima attaccandolo al 20° congresso del pcus (1956), poi addirittura (1961) rimuovendone le spoglie dal mausoleo di Lenin sulla Piazza Rossa. Fabio Galvano
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