«Mimi Bluette», fiore dei bestsellers

«Mimi Bluette», fiore dei bestsellers CENTANNI FA NASCEVA GUIDO DA VERONA, IL ROMANZIERE PIÙ' VENDUTO DEL SUO TEMPO «Mimi Bluette», fiore dei bestsellers Nel 1916 era il libro alla moda: narrava la commovente storia di una ballerina che per inseguire il suo amore va a morire nel Sahara - Molti militari se lo portavano in trincea - Messo all'Indice, strapazzato dalla critica ufficiale, l'autore si consolava con i ricchi guadagni e le lettere degli ammiratori - Amava le pose dannunziane tra «donne di lusso» e cani di razza - A rovinarlo contribuì una maldestra parodia dei «Promessi sposi» sposi» Oggi, Guido da Verona compirebbe 100 anni. Era nato infatti il 7 settembre 1881 a Saliceto Panaro, in provincia di Modena. Mori a Milano, non ancora sessantenne, nel 1939. Ai giovani il suo nome non dice assolutamente nulla, e anche alle persone di mezza età dice piuttosto poco. Per trovare qualcuno che si ricordi di Guido da Verona bisogna andare a cercare fra i .Cavalieri di Vittorio Veneto» o almeno fra i .Ragazzi del 99», molti dei quali fecero la prima guerra mondiale con .Mimi Bluette» nella cassetta d'ordinanza se ufficiali o nello zaino se graduati o militari di truppa. .Mimi Bluette, flore del mio giardino» è il romanzo più famoso di Da Verona. Nel 1916 era il libro di moda. Vi si narrava la commovente storia di una ballerinetta italiana, la Mimi del titolo, che lascia la peccaminosa Parigi dell'estrema .belle epoque» per andare a morire in mezzo alle dune del Sahara alla ricerca del perduto amore, un .danser» equivoco e un po' in odore di «macreau» che nelle file della Legione Straniera si trasforma in disperato eroe dell'espiazione. Nella graduatoria delle vendite, .Mimi Bluette» occupava allora il primo posto, seguita a distanza dalla .Divina Commedia». Sembra che i combattenti del '15-18 non potessero andare al fronte senza qualcosa da leggere. Gli spiriti retti, gli avvertiti come il critico Renato Serra, e il poeta Giuseppe Ungaretti si munivano di un .dantino» in libreria. Gli illetterati, i lettori occasionali compravano un .Guido da Verona» all'edicola della stazione. Fra .da veroniani» e .dantisti» non risulta che si effettuassero scambi: i primi trovavano noioso il sommo poeta, i secondi giudicavano ignobile il popolare prosatore. Il fatto è che Guido da Verona era ritenuto uno scostumato dalla gente per bene, la quale si asteneva dal leggerlo (almeno pubblicamente) anche prima che il Santo Uffizio lo mettesse all'Indice dei libri proibiti, con la formula più ampia e definitiva, quella dell'. Opera Omnia». I letterati di professione lo consideravano un dilettante da strapazzo e un filibustiere. Quando non lo ignoravano, lo caricavano di insolenze, come fece, calcando un tantino la mano, uno scrittore abitualmente sorvegliatissimo quale era il raffinato Alfredo Panzini, che una volta, eccezionalmente imbuì'alito, lo definì .un cesso che si fa chiamare water closed», ribadendo pesantemente l'accusa di pornografia paesana travestita da charme erotico cosmopolita che da sempre perseguitava il povero Guido. Il quale si rodeva. Ma a confortarlo intervenivano i diritti d'autore che lo facevano ricco, e le lettere dei semplici che lo facevano feli- ce. Coi diritti si comprava levrieri e cavalli a somiglianza del suo idolo, Gabriele d'Annunzio. Con le lettere si vendicava del disprezzo dei critici e dei .colleghi» sbattendogliele in faccia. In occasione del trionfo di .Mimi Bluette», il suo momento di maggior gloria, scrisse che questo libro era stato .portato all'assalto su le braccia e nel cuore dei soldati d'Italia £ perché ciò? Perché, riprende .quando fu necessario un sogno, io diedi quel sogno. E i reggimenti più sacri, le squadriglie di più alto volo, i reduci... mi copersero di lettere gloriose, mi ringraziarono indimenticabilmente...»: in effetti c'era di che montarsi la testa. Le sue qualità di scrittore, del resto, non erano cosi infami come affermavano (non sempre in buona fede) i detrattori. Andava un po' giù per le trippe, come si dice: questo sì, non c'era effettaccio plateale che ricusasse, non espediente di levantineria letteraria cui non ricorresse per compiacere il bovarismo della piccola borghesia che l'adorava. E certo gli fece più male che bene l'ammirazione per d'Annunzio all'influenza del quale soggiacque fino a diventarne l'involontaria caricatura nell'arte come nella vita. Ma va anche aggiunto che il suo talento di narratore era genuino, ed eccellente la padronanza del mestiere. Quando non cedeva alle tentazioni del facile e dell'artificiale. Guido da Verona era capace di finezze stilistiche e psicologiche che molti dei più rispettati autori gli potevano invidiare. Quanto alla pornografia, l'accusa è ridicola oggi ed era infondata ieri: le .donne di lusso» di Guido da Verona che si vestivano esclusivamente in Rue de la Paix e si spogliavano invariabilmente sulla Costa Azzurra erano in fondo povere creature alle prese con cose più grandi di loro, vittime delle circostanze, come talvolta le loro lettrici. Buona parte dell'eccezionalità di queste eroine di molto inchiostro e poco sangue si esauriva nel nome, quasi tutto il loro potenziale di peccatrici si bruciava in un paio di aggettivi o nel titolo di un libro. Come Antonella, .la donna che inventò l'amore», o Madlen Green dalle lunghe trecce destinate a sciogliersi, o Sarah che aveva gli occhi di smeraldo. O Mata Hari che danzava davanti alla ghigliottina, figurarsi con che cuore, o .Colei che non si deve amare» anche per la buona ragione che è la sorella di colui che vorrebbe amarla, e fu un successo anche più consistente di quello di Mimi Bluette e superò tutte le tirature del suo tempo e probabilmente (almeno per quanto riguarda l'Italia) anche del nostro. E ancora Azyadeh, la .donna pallida» ma soprattutto indecisa che all'amato riesce a concedersi soltanto nella forma platonica del desiderio... Ancorché ebreo (Verona era il suo cognome d'anagrafe, il .da» venne aggiunto dopo, per ragioni .estetiche») lo scrittore non ebbe troppe noie dal fascismo còl quale peraltro simpatizzò, almeno nei primi anni del regime. Il guaio in cui incappò e che pose fine alla sua carriera, comunque ormai agli sgoccioli, fu di natura non tanto politica quanto reli¬ giosa e letteraria e, più ancora, di costume. Scoppiò quando, preso da chissà quale demone della dissacrazione. Guido da Verona pubblicò una parodia, piuttosto maldestra in verità, dei Promessi Sposi. Parlar male di Manzoni in Italia è quasi altrettanto micidiale che parlare male di Garibaldi. Si offese (moderatamente) il fascismo per la mancanza di rispetto verso un Grande Italiano. Si offese (profondamente) il Vaticano, che l'anno prima, nel 1929, aveva firmato il Concordato e non tollerò di vedere messo in burletta Fra Cristoforo con Cardinale Federico. Ma la cosa più grave fu che si offese mortalmente la borghesia la quale, per vendicare l'affronto fatto a uno scrittore che leggeva poco ma venerava molto, smise di colpo di comprare i libri dello scrittore che leggeva molto e che da quel momento non venerò più. Gli ultimi anni di quello che ai suoi bei dì le signore innamorate chiamavano il .Bel tenebroso» e il .Magni- fico avventuriero» non furono allegri. Mezzo rovinato da speculazioni sbagliate e da prodigalità assurde, precocemente invecchiato come uomo e come scrittore, dovette rinunciare alla suite che aveva all'albergo Cavour (oggi scomparso) per ridursi in poche stanze d'affitto. Milanese d'elezione continuò a frequentare i luoghi che erano stati teatro dei suoi trionfi. Soprattutto il Caffè Savini in Galleria dove, come ebbe a scrivere Leonardo Sinisgalli in un delizioso ritrattino postumo, «L'ingresso di Guido da Verona era una cerimonia. Sia che fosse avvolto in sciarpe di seta bianchissima, o che tenesse indosso candidi vestiti di lino l'estate, da Verona non beveva mai più di una limonata allungata con seltz. Il pubblico si interessava a queste minori esibizioni di lui considerandole decisamente letterarie Dai tavoli vicini i giovani letterati lo guardavano come un rudere, dichiaravano inattendibili le prodigiose tirature dei suoi libri e ironizzavano ingenerosamente sull'imbarazzante infermità da cui era afflitto l'anziano collega. «Che grande artista sarebbe stato da Verona se avesse scritto di quello che veramente lo faceva soffrire», dicevano alludendo alle sue emorroidi. Guido incassava in silenzio con la stessa imperturbabile .classe» di quando scendeva sul turf di San Siro dove correvano i cavalli e si mettevano in mostra le sue ammiratrici, e lui «guardava gli animali come un innamorato e le donne come un padrone». Gigi Caorai Guido da Verona amava «mettersi in posa». Subiva l'influenza di d'Annunzio fino a diventare quasi una caricatura