Avanti, alla carica nella pace dei boschi

Avanti, alla carica nella pace dei boschi QUANDO IL TURISMO E' SELVAGGIO Avanti, alla carica nella pace dei boschi Ogni anno in montagna, è un po' peggio. Siamo in piena crisi, mancano le case per chi ne ha bisogno; ma le seconde case, i garages, gli stradoni inutili, si continua a farli un po' dappertutto. Meno di qualche anno fa, enormemente di meno, ma si continua. Sono anni che si discorre di ecologia, le Regioni moltiplicano divieti e cartelli, ma la gente prende d'assalto i boschi come se andasse alla guerra: strappano, calpestano, stravolgono senza pietà funghi neonati e funghi madri, commestibili o no; sterminano i mirtilli coi pettini, e lasciano lì quegli spuntoni neri, bruciacchiati e asfittici... Addio sottobosco, addio spore. I mostri da cross, intanto, battono i sentieri più impervi; motorini gracidanti ti piombano addosso tra i prati. Sale il prezzo della benzina, ma le file dei parcheggi s'allungano regolarmente fin sotto le malghe; i pullman contendono il terreno alle land-rover, tra colpi di clacson, bordate di motori, scarichi di scappamenti. Insomma mi domando ogni anno perché torno in montagna. Non ho che venti giorni di ferie, purtroppo sempre in agosto, e ci ricasco. Val di Fassa, Cadore, Val di Sole... da qualche anno torno a S. Martino: in tutti questi luoghi cerco la casa più lontana dal paese, più quieta e nascosta; e ogni volta ci rimango male. Tra gli anni scorsi e quest'anno, il Comune o non so chi ha dato la giusta sistemata alla nostra stradina sotto casa, che serve sì e no una decina di case: ha allargato, ha asfaltato, ha sbaraccato gli ultimi tratti di prato sassoso, un tempo pieni di more e di fragole, per piantarci quattro belle panchinette e il box del telefono. Infine ha illuminato tutto per bene con una fila di «padello™» da autostrada, alla faccia della crisi d'energia. La sera abbagliano, accecano, impediscono qualunque visuale: addio stelle, scure ombre dei pini, profili notturni dei monti. Dico all'estremità più segreta del paese, dovè la strada delle Fosse arranca sottobosco, per finire poco più in là tra grigie rocce incombenti. Peggio di tutto, quest'anno sono comparsi i cobra. Che non sono i serpenti — magari —, ma quei maledetti registratori giganteschi, capaci di «volumi» terrificanti. Il mio primo incontro con questi cobra è stato ai Pradidali, che vuol dire prati gialli per via dei ranuncoli: uno dei posti più belli e anche, mi sono accorto, più «musicali» del mondo: vibrava e rombava la conca intera, rocce e stradine, alberi e ranuncoli. Due registratori in tutto; credevo che fossero trenta. Ma cobra chiama cobra: eccoli in forza oggi alla Zivertage, che vuol dire, più o meno, il posto dell'acqua: accanto all'ultimo torrente che ancora spumeggia. M'accorgo che non c'è rombo di torrente che tenga, non è questione di resa musicale della conca o della valle, ma di torture acustiche. Poco più in là, a S. Martino, a Primiero, a Belmonte, sono cominciate quest'anno le gare di macchinette teleguidate, una novità molto apprezzata: tra folle di padri di famiglia, c'è un tale che urla al microfono per ore, e rimbomba l'altra metà della valle: Avanti, indietro, forza, forza... Dicono che è l'animatore. ★ ★ Forse, questo sì, c'è un po' meno gente in giro rispetto agli anni scorsi; ma dovunque ci sia un prato raggiungibile, un torrente abbastanza a portata di mano, un bosco che invita, insomma in tutta la montagna «umana», eccoli i barattoli di coca-cola e quest'anno anche di sprite, cartacce dappertutto, sacchetti di plastica... gli immondezzai che solo l'uomo ragionevole, sapiente, eccetera, sa mettere insieme. Sicché continuo a chiedermi, ora che faccio fatica a salire e a sparire su per le erode e in certi posti forse non ci arriverò mai più, perché sono qui anche quest'anno. A buttar via, mi dico, i pochi giorni e i pochissimi soldi; e a farmi il fegato grosso così. Eppure, dentro di me, so perché ci torno. Perché conosco bene, ormai, stavo per dire «possiedo», certi pezzetti di valle dove si può ancora ritrovarsi da soli o quasi — o forse ne sono «posseduto». Ho imparato ormai: faccio sempre gli stessi sentieri: quei pochi che restano ancora sentieri. Un giorno fa sole, un giorno le nuvole si abbassano tra i pini, un giorno piove che è un piacere: e sono sempre diversi. Nell'umido del mattino risalta il viola di certe campanule, fin sera tardi continua il giallo dei ranuncoli. In certi giorni non sono i fiori, ma i minerali, le rocce affioranti, a segnarti la strada: gli strati geologici sconvolti, i porfidi, le dolomie, gli antichi fossili, le impronte dei mari scomparsi. Tra gli uni e gli altri riconosci i segni delle trasformazioni, il tormento delle pietre, il disfarsi della piante, il mutare della vita: ti domandi come sempre il perché di tante sofferenze su questa terra, ma senti che le tue fanno parte d'un insieme sterminato, in buona compagnia da sempre. Da qualche sera conosco perfino un casolare fumoso, dove c'è sempre il fuoco acceso e una vecchia donna, prima di andare a dormire col sole e non con la tv, racconta dà figli che sono in Australia. Ci sono stato anch'io a sgobbare da quelle parti e so quanto si soffre, anche se per fortuna o per caso sono tor¬ nato a casa: così mi fermo anch'io, ogni tanto, su un vecchio tronco e sto a sentirla. Forse è un po' «andata», come dicono qui, forse no: ripasso un po' di disgrazie, ma non sono infelice — forse non siamo. L'anno prossimo, mi ripete, andrà a raggiungere i figli: chissà se ci sarà ancora tra questi muri. Tornerò, le dico, proprio per questo: per sapere se è ancora qui. Mi avvio verso casa, il primo buio mi aiuta. Incontro un gruppo di ragazzi: alcuni coi sacchi di nailon stracolmi di funghi, altri coi cobra maledetti. E' la giusta occasione: un po' rimprovero, e un po' spiego. Strano, mi stanno a sentire. Di più coi cobra non insisto, perché piacciono anche a mia figlia. Quanto durerà? Tornerò sul serio l'anno prossimo? Non so. Conto sul tasso di crescita negativo, sull'educazione progressiva, sui cartelli delle Regioni... Insomma mi illudo. Un punto a favore del ritomo, tra ieri sera e stanotte: abbiamo deciso, mia figlia piccola ed io, una quasi pazzia: tornare nel bosco di notte. Bisogna farsi coraggio, attenti a dove si mettono i piedi: appena girato il primo dosso, il buio è assoluto. O meglio c'è quella tenue luce... Le stelle: mia figlia le guarda a bocca aperta, forse è la prima volta. Questa notte — poco fa — siamo usciti col temporale in arrivo: non c'è stato bisogno di salire molto, per trovarsi al buio: il temporale ha spento di colpo, giù in basso, tutte le luci del mondo. Un lampo improvviso, inseguito da una scarica accecante, è finito proprio lì, sui «padelloni». Poi siamo stati a sentirla scrosciare, e a prendercela: prima leggera, poi fitta... Forse torneremo. Paolo Barbaro

Persone citate: Belmonte, Paolo Barbaro

Luoghi citati: Australia