Pace e Dies irae di Guido Ceronetti

Pace e Dies irae DOPO LA MARCIA DA PERUGIA AD ASSISI Pace e Dies irae Marciare per la pace... oh no! no! e ancora no! Quanto a utilità, una marcia del genere promuove la pace quanto una Marcia per la Guerra, oggi, promuoverebbe la guerra (totale e mondiale, si suppone). Si può fare una prova: marciamo per la guerra, modificando l'itinerario, invece che strade francescane percorsi di vecchie offensive, e vediamo se riusciamo, con cartelli e musiche opportuni, a indurre la mano predestinata a buttarsi sul bottone e premerlo. Forse, otterremmo l'effetto opposto: di ritardare tutto... Gli Spiriti della Guerra arretrerebbero, sconcertati da una demenza superiore. Una marcia per la pace, invece, rischia di sollecitarli: — Ah non la volete? Eccovela! — Oppure di far pensare al Nemico (esiste? credo proprio di sì, grosso come un continente, un Nemico che si comporta, a volte artisticamente, a volte trivialmente, verso il resto del mondo abitato, come tale, pur senza dichiararlo): — Stanno marciando per la pace... Sferriamo il colpo, è il momento —. £ poi apri gli occhi e guarda bene con chi stai marciando... Trovarmi vicino, e per un tratto cospicuo, da Perugia fino ad Assisi, il più noioso dei Professori di Storia dell'Arte della storia, avrebbe reso ancora più malferme le mie povere gambe! Inoltre, se scorro l'elenco dei partecipanti più noti alla marcia del 27 settembre, di marciatori equivoci, di verbo incandescente ma di cuore gelido, abilissimi nella manipolazione delle emozioni collettive, e di probi e probissimi arcanamente affascinati dall'approvazione che può essergli data dall'impostura, ne trovo parecchi, e il disagio si accresce... Molti bravi Pinocchi in compagnia di una folta rappresentanza di Gatti e Volpi... £ su tutti un aquilone svolazzante, che li chiama Cari amici, arrivato apposta da Mosca, un messaggio caloroso del buon papà, e grande amico della pace, Breznev... Anch'io ho un telegramma per i marciatori (quelli con belle, oneste, chiare facce): «Cari amici, avete speso male la vostra domenica. Oltre a non vedere l'utilità del vostro sforzo di maratoneti, non ne vedo la cosa essenziale: l'eticità». Tutti quei movimenti confluiti là, se si coalizzassero per protestare contro le installazioni nucleari pacifiche, qualche chance di dare fastidio al mostro ce l'avrebbero: il piano per le centrali è fragile, la partita è ancora aperta. Marciando, o addirittura correndo, per la pace, fanno il solletico al vuoto: di fatto, si alleano con la menzogna. Partiti da Perugia, non arrivano ad Assisi... Sulla rocca dove vanno a deporre la loro supplica c'è la statua dell'Imperatore che ha spedito il messaggio chiamandoli cari amici, e la statua dice macchinalmente di si con la testa, e con voce quasi umana, bene imitata, ripete cari amici... Cari amici, io questo avrei da dirvi: la pace e la guerra non sono nelle nostre mani, ed è vano sperare che siano almeno nei nostri piedi. Poiché le minacce incombenti sono due, di distruzione e di sottomissione, lo spavento della distruzione può ben condurre ad accettare di sottomettersi: ma la volontà di sottomettersi non esclude per niente il fato di distruzione (anzi, può attrarlo come Sorella Acqua il fulmine), né correre il rischio — piuttosto spiacevole, ne convengo — della distruzione, per orrore della sottomissione, significa consegnarsi passivamente, fin da ora, a un destino di annientamento. La scelta pacifista non è tanto in vista della pace in astratto, quanto della resa, in concreto, un alzare le braccia perché il distruttore non abbia dubbi sulla volontà di arrendersi e di sottomettersi del minacciato. £' umano essere terrorizzati: la scelta di arrendersi profilatticamente, tuttavia, inclina verso l'abbietto... Come politicamente non è una scelta vantaggiosa, perché fa sapere all'Avversario (immane, tremendissimo, eppure vulnerabile dall'intransigenza morale, che resta una forza temibile se maneggiata bene) che può muoversi senza rischio, così moralmente è pessima, perché arrendersi ai cattivi è distruggersi, è l'eterno propter vitam vivendi perdere causas; è come essere neu ironizzati interiormente: la vita è salva, ma non siamo più uomini. Vecchia storia... Questo nuovo pacifismo si delinea, inevitabilmente, come collaborazionismo, immediato e futuro. Il termine collaborazionista è spregiativo, però non saprei trovarne uno più esatto: bisognerebbe intenderlo come suscettibile di più sfumature, da gradazioni scusabili a vertici di assoluta infamia. Nella Francia di Vichy non tutti scelsero di collaborare per motivi infami; è indubbio però che i pacifisti del 1939 furono tutti, più o meno attivamente, collaborazionisti tra il 1940 e il 1944. Quanto al pacifismo trentanovista di Maurice Thorez e compagni, il cielo ci guardi. Bisognerebbe, contemporaneamente, marciare per la pace e per la resistenza: dire al grande orecchio dell'Imperatore del Caucaso che amiamo la pace ma se toccati reagiamo con tutti i pugni che possiamo trovare... Ma in queste marce il dogma è la resa... Nella prima marcia Perugia-Assisi, quella di Aldo Capitini, era scesa la benedizione di un altro pio liberatore di tortorelle, Palmiro Togliatti... Tanto bastava per rimandare tutti a casa... Invece si cantava una canzone che ancora ricordo (non ero presente, seppi da amici e da giornali com'era andata) con un brivido nella schiena: «E se Berlino chiama — lasciamo che s'impicchi — Morire per i ricchi...» (Mi pare l'autore fosse Fortini). Forse che i berlinesi del 1950, dei quartieri occidentali, erano tutti ricchi? E perché lasciare che s'impiccassero? (E a Budapest, nel 1956 — e Budapest chiamava chiamava — erano tutti ricchi?). Quando Hitler entrò a Vienna, chi non scese per le vie ad applaudire restò in casa per impiccarsi... Saranno stati dei ricchi, quei seimila suicidi, per i quali, si sa, non bisogna più morire? Quella canzone apparteneva al repertorio del collaborazionismo preventivo del genere infame. Fortunatamente, morì presto... chi sa, il senso morale popolare, a marcia conclusa, non sopportò che si diffondesse... Giustamente il successo coronò testi molto più puliti come Papaveri e papere. Non marciate... non correte per la pace... Dirò meglio: non lasciatevi far marciare... Marciare è un po' marcire... Mostrare al Sovietico un po' più di grinta, di grinta povera, più da samurai vagabondi che da scu dati di neutroni, è più decoroso, e forse, addirittura, più uri le alla pace. E' un mondo stregato e terribile, questo, ma c'è una luce nell'intransigenza morale che è più forte della morte. E' inutile, come dice il Caro, «avvolticchiarsi con le parole»: c'è una sfida terribile, che deve essere raccolta, perché il guanto è là. £ con quali canzoni aspettare, prepararsi al futuro? Abbiamo l'inno che ci vuole, scritto tanto tempo fa e più che mai attuale: comincia così, Dies irae... Guido Ceronetti

Persone citate: Aldo Capitini, Assisi Pace, Breznev, Fortini, Hitler, Marciando, Maurice Thorez, Palmiro Togliatti, Sorella Acqua