La vendetta si chiama scacco matto di Luciano Curino

La vendetta si chiama scacco matto A MERANO NUOVA SFIDA FRA L'ESULE RUSSO E IL CAMPIONE DEL MONDO La vendetta si chiama scacco matto Dal 1975 il dissidente Korchnoi, detto Victor il terribile per il suo stile di giocatore di scacchi, insegue il sogno di annientare il sovietico Karpov, per far giustizia di torti veri o presunti - Sconfitto nelle Filippine dopo un incredibile match durato 93 giorni, ora ritenta - Ma ha 50 anni, contro i 30 dell'avversario: e una partita può essere dura come uno scontro sul ring DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE MERANO — Siamo una famiglia, «Gens una sumus», è il motto della Federazione internazionale degli scacchi. Ma appena la famiglia va a tavola, alla scacchiera, viene fuori l'istinto omicida. Nella storia del campionato mondiale c'è qualche Abele (Spassici, per ricordarne uno), assai più numerosi sono i Caini. Il grande Lasker, afferma uno psichiatra, si serviva di una partita a scacchi per combattere soprattutto la psiche del suo avversario. E come si odiavano Alechin e Capablanca. Il geniale, insopportabile Alechin diceva che per vincere bisogna detestare l'avversario. E' stato Fischer, scrive Schonberg nei «Grandi maestri degli scacchi-, che ha incarnato l'omicidio psichico assai più di qualunque altro giocatore della storia. «Fischer esulta delle sue vittorie anche quando non lo fa vedere. Il suo "ego" è sazio, ha leccato e assaporato il sangue... Gioca solo per annientare un'altra mente. Quello che ha detto in passato è vero: gode realmente a vedere gli avversari contorcersi». Lo ha detto che aveva 14 anni. Un 'altra volta ha tranquillamente dichiarato che il suo massimo piacere negli scacchi era stringere gli avversari in una morsa «stritolando la loro personalità». Quattro anni fa, dopo il match disputato al Ciocco in Garfagnana, Korchnoi, che aveva sconfitto Petrosian, andava in giro a dire che «la rabbia che lui deve provare mi rende felice». /pugili sono meno spietati sul ring. Particolarmente invelenito si presenta l'incontro per il titolo mondiale, che incomincerà giovedì a Merano, tra il detentore Karpov, russo ortodosso, e lo sfidante Korchnoi, anch'egli russo ma dissidente. Sono sette anni che Korchnoi ha una vendetta da consumare: contro il giovane Karpov, contro la Federazione scacchistica sovietica, contro il suo Paese, dal quale è fuggito. Nell'Urss gli scacchi sono considerati sport nazionale. Se Karpov dovesse cedere il titolo al «rinnegato* Korchnoi, l'onta sarebbe peggiore di quella subita nel 1972, quando Spassici il titolo lo passò all'americano Fischer. Quella di Spassici, a confronto, sarebbe considerata una veniale birichinata. Sette anni fa, a Mosca, Korchnoi e Karpov disputarono un match che doveva designare lo sfidante con Fischer per il titolo mondiale. Vinse Karpov per un punto. Korchnoi non stette zitto: accusò la federazione di aver fatto tutto quello che poteva contro di lui per favorire Karpov. Fu squalificato per un anno. Si ritenne perseguitato. Appena gli riuscì, nel 1975, fuggì, lasciando a Le- ningrado la moglie e il figlio. Esule dissidente, dunque, non per politica, ma proprio per gli scacchi. «Rincorrerò Karpov per terra e per mare fino a inchiodarlo davanti alla scacchiera», disse appena arrivato in Occidente. E aggiunse cose tremende contro la sua ex federazione. Disse: «Hanno preferito Karpov per vari motivi. Anzitutto perché è più giovane, più promettente dal punto di vista della competitività. Poi perché è nato negli Urali, è un russo puro sangue, invece io sono mezzo ebreo. Lui è figlio di operai, è il tipico rappresentante della classe operaia, mentre io ho più dell'intellettuale, e non solo per aver letto Kant, sono laureato in storia. Lui è stato sempre in ottimi rapporti con le autorità; con loro 10 ho avuto sovente degli screzi. Per tutti questi motivi e per altri ancora, tra me e lui. hanno scelto lui». E' da allora che il fantasma del giovane Karpov agita i sonni di Victor Lvoitch Korchnoi detto il terribile. «Mi chiamano cosi perché non mi arrendo mai», dice. In realtà 11 soprannome gli è stato attribuito parecchi anni fa da giornalisti slavi per il suo gioco aggressivo, veramente terrificante in certi momenti. Dopo la fuga in Occidente di Korchnoi, Anatoli Karpov è diventato campione del mondo senza dover combattere, perché lo sconcertante Fischer si era chiuso in un convento, avvolto di silenzio e di mistero, rinunciando a difendere il titolo. Saputo della fuga del «terribile* e delle sue accuse, Karpov aveva detto: «Korchnoi scacchisticamente si è suicidato». Lo pensava finito. Erano in parecchi a crederlo, perché la potente federazione sovietica faceva la guerra al «rinnegato*. Korchnoi, invece, sconfiggendo tutti gli altri candidati, è andato tre anni fa a Baguio, nelle Filippine, per tentare di togliere il titolo all'odiato Karpov. Nei novantatré giorni che è durato il match è accaduto di tutto. Polemiche, bizze, accuse, sgarberie, ripicche. Korchnoi che ostentatamente rimane seduto al suono dell'inno sovietico. Che fa analizzare cibo e bevande perché teme di essere avvelenato. Che accusa l'avversario di farsi aiutare da un ipnotizzatore, ma poi è lui che ricorre a filippini di una certa setta, capaci di tener lontano il malocchio. Parapsicologia, stregoneria, superstizioni. Gli organizzatori che ammattiscono per trovare una poltrona che finalmente soddisfi Karpov. Questo e altro ancora, e in un clima sempre arroventato si giocano trentadue partite, finché Karpov vince per 6 a 5. Korchnoi dichiara: «Non mi lamento per quanto è accaduto, continuerò la mia battaglia contro il sistema sovietico. Karpov ha vinto, ma è un robot, non un uomo». Poi aggiunge: «In ogni caso, tra noi due non è finita». Eccolo, infatti, di nuovo avversario di Karpov, a Merano. Ancora una volta il terribile Victor è arrivato al match per il titolo mondiale vincendo il torneo dei candidati. Oltre a lui, erano candidati tre ex campioni del mondo: Tal, Petrosian e Spassici, c'era un quarto sovietico, Polugajevski, c'erano poi gli ungheresi Portish e Adorjan, il tedesco Hubner. Il torneo si è svolto con la formula dell'eliminazione diretta. La finale si è disputata l'inverno scorso, qui a Merano, tra Korchnoi e Hubner. Alla settima partita il giovane tedesco non ha più retto alla tensione, è crollato psichicamente, ha preso un aereo ed è tornato a casa Non voglio ammattire, ha detto pressappoco. Ancora un match Karpov Korchnoi, dunque, ed è difficile trovare due giocatori così dissimili. Karpov è un freddo. Korchnoi aggressivo. Il primo è taciturno e pensoso, l'altro impulsivo e grintoso. In Karpov poche scintille di fantasia o lampi di genio, ma un continuo macinare tecnica e monotona perfezione. Di lui si è detto che «è una macchina favolosa e programmata». Korchnoi è avventuroso ed è uno straordinario lottatore, quasi sempre capace di trovare la giusta soluzione in una posizione complicata. Ma, dice il presidente della Federazione italiana Palladino: «Se provocato, facilmente perde il controllo dei nervi e questo è un grave handicap per lui, specialmente di fronte a Karpov, gelido e preciso, capace di provocare la rissa, dentro e fuori la scacchiera, senza che un muscolo del suo viso tradisca la benché minima emozione». Korchnoi è irritabile e questo, dice Palladino, è un handicap. Ha un altro svantaggio ed è che spesso arriva con i secondi contati alle mosse determinanti, sicché facilmente commette errori che annullano le precedenti geniali intuizioni. Troppo spesso al momento di concludere è a corto di tempo, perso in mosse precedenti: è un lusso che non può permettersi davanti a un Karpov freddissimo, pronto ad approfittare della «crisi da orologio» dell'avversario. C'è un altro, più grave svantaggio contro Korchnoi, ed è l'età: ha 50 anni e Karpov ne ha 30. Il match è lungo e logorante, lo sforzo di concentrazione altissimo (le facoltà intellettuali e nervose sono cosi impegnate che in una partita si possono perdere due, tre chili di peso). Ad una scacchiera come questa di Merano non basta avere «il Re nel cervello* come dicono gli scacchisti, essere geniali giocatori: è anche indispensabile avere buona salute ed energie fisiche. Le riviste scacchistiche di Mosca parlano continuamente di «forma» e di «fiato» sicché le cronache di un torneo o di un match ricordano un po' quelle di un incontro di boxe. Dicevano Emanuele Lasker imbattibile, ma a 53 anni dolcette cedere il titolo di campione del mondo a Capablanca, che di anni ne aveva venti di meno. Botvinnik era certamente più geniale e brillate di Petrosian, ma al mondiale giocato nel 1963 perse, soprattutto perché aveva 52 anni e l'avversario ne aveva 34. Forse è più che altro per motivi anagrafici se generalmente si prevede Karpov vincitore del match di Merano, ultima occasione per il terribile Victor di «inchiodare alla scacchiera» il detestato rivale. Luciano Curino