Gromyko, uomo del niet con un po' di malinconia di Aldo Rizzo

Gromyko, uomo del niet con un po' di malinconia CHI E' DI SCENA Gromyko, uomo del niet con un po' di malinconia • Da 24 anni, un quarto di secolo, quando le due superpotenze si parlano, per confrontarsi o per cercare una temporanea intesa, dalla parte sovietica si avanza la figura tozza e grigia, apparentemente immutabile, di Andrei Gromyko. Alla testa della diplomazia americana, nel frattempo, si sono avvicendati i personaggi più vari: Foster Dulles. Herter, Rusk, Rogets, Kissinger, Vance, Muskie e Haig, in una successione che evoca tutto intero il tempo che è passato; ma il loro interlocutore sovietico è rimasto sempre lo stesso. Per molti aspetti, ciò fa di Gromyko il più importante, certamente il più singolare, il più «vissuto», diplomatico del nostro tempo. E va detto che questi 24 anni hanno un prologo, non meno rilevante. Infatti Gromyko è già un protagonista, nei rapporti fra le superpotenze, nel 1943, quando diventa ambasciatore a Washington, da dove si trasferisce nel 1946 a New York, come capo della rappresentanza sovietica all'Onu. Aveva, rispettivamente 34 e 37 anni. Ora, dopo una così incredibile carriera, ne ha 72, appena un paio più del nuovo presidente americano. (Tutto questo può stimolare interrogativi, o più semplicemente suscitare sorrisi, circa il ricambio del ceto dirigente nell'Urss; ma i discorsi sui sistemi «bloccati» qui trovano almeno la spiegazione che si tratta di una dittatura). ★ * il prologo «americano» di Gromyko è tutto stalinista. Quando diventa ambasciatore, prende il posto di Maksim Litvinov, l'ex Commissario agli Esteri «filo-occidentale», del quale Stalin si era servito per ingraziarsi Roosevelt, ma del quale, probabilmente, non si fidava più. Gromyko, del resto, era entrato in diplomazia, appena quattro anni prima, proprio in coincidenza con la sostituzione di Litvinov con Molotov, alla guida degli Esteri: e si sa che Litvinov era l'uomo della Società delle Nazioni e della paziente trama diploma tica con le democrazie, mentre Molotov si sarebbe accordato con Ribbentrop e Hitler, preparando il più spregiudicato e torbido voltafaccia di Stalin. All'Onu, Gromyko fu «Mister Niet», il «signor No», il simbolo dell'intransigenza sovietica, quando i rapporti tra le superpotenze passavano dalla diffidenza all'ostilità aperta, che fu detta «guerra fredda». Dal 1946 al 1948 il Consiglio di Sicurezza fu paralizzato per ben ventisei volte dal suo «veto» implacabile. Così quando, un po' dopo, arrivò a Londra, sua nuova sede, e si presentò a Eden tutto vestito di nero, gli inglesi si chiesero, fra stupiti e preoccupati, chi fosse e che cosa cercasse fra loro quell'ambasciatore poco più che quarantenne, che aveva già servito Stalin con tanto zelo, in posti tanto importanti. Lo stupore e la prece cupazione non scemarono, quando Gromyko fu visto in «tight» e cilindro dirigersi in carrozza verso Buckingham Pa tace, per le credenziali. I giornali si sbizzarrirono in paragoni letterari, tutti inquietanti: come prodotto umano di una società totalitaria «perfetta», poteva essere un personaggio del «Brave New World» di Hu:dey o del «1984» di Orwell. Altri citarono «Buio a mezzogiorno» di Koestler. Del resto Gromyko era nato solo otto anni prima della Rivoluzione, era stato interamente plasmato dal nuovo regime, dal Collegio agricolo di Minsk all'Istituto di economia di Mosca e al ministero degli Esteri. In America, a un giornalista che insisteva per un'intervista «privata», aveva risposto: «La mia personalità non m'interessa». * * Secondo una dichiarazione ufficiale del governo sovietico, Gromyko arrivava a Londra in «missione di pace». Parole ovvie, ma che per la Russia tardostalinista volevano probabilmente significare che era giunto il tempo di esplorare le possibilità di mettere un cuneo tra Europa e America. Era già qualcosa di diverso dal dire «niet» al Consiglio di Sicurezza dell'Orni: un compito più sofisticato; e qui forse comincia la transizione dal personaggio i Livido e incomunicabile al diplomatico più complesso (più tradizionale) delle età di Kruscev e di Breznev. Nel 1955, nella stessa Londra, ormai morto Stalin, Gromyko rappresenta l'Urss a una prima rmfrdvuzcSrbsld riunione Est-Ovest sul disarmo; due anni dopo Kruscev lo fa ministro degli Esteri Da ambasciatore della guerra fredda a protagonista della distensione e delle sue alterne vicende. Da uomo di Stalin a uomo di Kruscev e poi di Breznev, saltando indenne tutti i cambi di potere al Cremlino. Sarà perché, nella politica estera sovietica, niente è mai cambiato veramente? Sarà per la sua adattabilità personale, per la sua disponibilità a qualsiasi direttiva del potere politico? Certo, dev'essere un personaggio dai grandi automatismi psicologici e professionali. Questa, del resto, può o forse deve essere la forza del vero diplomatico. Ma devo confessare una simpatia personale per il Gromyko che io ho conosciuto, cioè ho visto e ascoltato in certe occasioni pubbliche: nei grandi alberghi di Ginevra o di Vienna o di New York, dopo gli incontri con i vari segretari di Stato americani, soprattutto Kissinger. La sua professionalità «russa», che resisteva per tutto il tempo delle dichiarazioni ufficiali, concilianti o risentite che fossero, si scioglieva improvvisamente al momento del commiato, in modi prevedibili, perché si ripetevano, e insieme imprevedibili, perché erano prevalenti altre impressioni e altre memorie del personaggio. Brevi battute cordiali, in inglese, o solo un cenno di saluto, che indicavano ai giornalisti che si restava pur sempre su un terreno comune, che un certo essenziale dialogo continuava, anche quando le dichiarazioni in russo non erano state incoraggianti. E anche il suo aspetto, il suo abbigliamento, avevano ormai poco a che vedere con l'immagine goffa degli anni della guerra fredda: non si vestivano diversamente, non si muovevano diversamente i grandi «manager^» dell'Occidente (quest'ultima evoluzione, chiamiamola così, pare che sia cominciata anch'essa a Londra, come vuole la leggenda del costume europeo). Ci si può domandare: che uomo è chi ha servito, con uguale fedeltà, Stalin, Kruscev e Breznev? E poi c'è una vera differenza, nella gestione del potere soviedeo e nella sua proiezione esterna, che è la politica estera, fra i tre principali successori di Lenin? Non c'è in fondo una continuità tra la Russia tordo-stalinista, che esplora le possibilità di un dissidio, di una scissione d'interessi tra Europa e America, e la Russia brezneviana, con la sua campagna contro gli euromissili? Lo stesso Gromyko ha detto una volta: «Per quanto riguarda l'Urss, esiste una sola logica "egli affari esteri: la logica di ciò che è meglio per l'Urss». Ma ci si può anche domandare: è pensabile che un uomo abbia attraversato decenni di rapporti internazionali, con otto presidenti americani e relativi segretari di Stato, decenni di pace difficile, ma di pace, senza farsene, almeno un po', condizionare? Non c'è una logica del dialogo reale, strategico e non tattico, quando proprio l'esperienza e la constatazione del mondo reale indicano i pericoli intollerabili di un confronto aspro? Domanda, quest'ultima, che naturalmente vale anche per il nuovo interlocutore americano del vecchio ministro sovietico. Circa Inumanità», del resto, dello stesso Gromyko prima maniera, cioè del Gromyko stalinista, circolano storie contrastanti. Un giornalista americano raccontò di averlo visto, al tempo dei «niet» all'Onu, in una sua rara apparizione mondana, guardare dalla finestra una pioggia improvvisa su New York, tutto solo e preso dalla malinconia. «Spero — disse, restando assorto — che il New York Times, domani, non mi dia la colpa anche del tempo che si è guastato». Aldo Rizzo