Cara Vienna, città dei sogni d'un regista di Gianni Rondolino

Cara Vienna, città dei sogni d'un regista PELLEGRINAGGIO AI LUOGHI DI «SINFONIA NUZIALE» E DEL «TERZO UOMO» Cara Vienna, città dei sogni d'un regista I fantasmi di von Stroheim aleggiano in S. Stefano, al Prater echeggia la musica di Karas VIENNA — Come ogni altra grande città europea, anche Vienna — anzi, forse, soprattutto Vienna — ha molte facce: aspetti diversi d'una realtà umana e sociale, storica e culturale, che ciascuno di noi si porta dentro, pronto a riscontrarla o a riscoprirla nei luoghi noti e meno noti frequentati da un turismo di massa e d'elite. Esiste, è ovvio, la Vienna absburgica, quella di Maria Teresa e quella di Francesco Giuseppe; e la Vienna musicale, quella di Mozart, di Beethoven e di Schubert. La Vienna barocca dei Fischer von Erlach e di Lukas von Hildebrandt. quella medievale della cattedrale di Santo Stefano, e quella moderna della Sezession. La Vienna del Prater e quella dei grandi caffè. Ma esiste anche una Vienna cinematografica? La domanda è meno peregrina di quanto non sembri, anche se di cinema austriaco è ormai da molti decenni che non si parla e non si scrive; e forse non se n'è mai parlato o scritto diffusamente, avendo i più considerato l'Austria nient'altro che un'appendice della cultura tedesca. La domanda è infatti lecita almeno per due buone ragioni: perché di Vienna il cinema ci ha mostrato alcune immagini difficilmente dimenticabili. e perché da Vienna sono partiti alcuni artisti (registi, sceneggiatori, attori) che sono tra i più significativi del cinema mondiale. Certo, oggi, si fa fatica a rintracciare, nella molteplicità delle sembianze viennesi, il suo aspetto cinematografico. Poche sono le sale di spettacolo, chiusa d'estate la sua cineteca, assente una produzione regolare di film dopo il successo mondiale, che risale a venticinque anni fa. della trilogia di Sissi di Ernst Marischka e Romy Schneider. Il centro è. ancora una volta, la cattedrale di Santo Stefano. Di fronte alla mole immane e composita della sua facciata, tra la folla che quotidianamente gremisce la stretta Stephansplatz e si accalca all'ingresso della chiesa, la sequenza che si dipana davanti ai nostri occhi — certamente un poco malati di morbo filmico — è quella lunghissima e ossessiva, indimenticabile, della processione imperiale del Corpus Domini che fa di Sinfonia nuziale di Erich von Stroheim il ritratto cinematografico più affascinante ed emblematico della Vienna absburgica al tramonto dell'impero. Nella ricostruzione hollywoodiana della cerimonia, più vera e autentica d'un documentario d'attualità, il viennese Stroheim — fuori della leggenda che lo voleva figlio degenere d'un colonnello dei dragoni e d'una dama di compagnia dell'imperatrice Sissi, ed era invece il rampollo di due modesti commercianti d'origine ebrea — ripercorre un'intera società, ed anche i modi e i luoghi della sua manifestazione pubblica. Quei luoghi che noi oggi, con non grande fatica, riscopriamo dietro il trambusto turistico, attenti alle molteplici ed esili voci deW Austria felix e della, finis A ustriae. Ed è ben oltre la fine dell'impero, oltre VAnschluss e le distruzioni della seconda guerra mondiale che, attraversando il Donau Kanal. di fronte alla grande ruota semovente del Prater. ritroviamo, sub specie cinematographica, la Vienna post-bellica, occupata e smembrata. Con negli orecchi la musica cantilenante e ossessiva di Anton Karas. che accompagnava le immagini espressionistiche del Terzo uomo di Carol Reed. rivediamo l'incontro di Joseph Cotten col misterioso Orson Welles: due personaggi d'un mondo dilacerato che paiono disperdersi, ancor oggi, nella folla multicolore che percorre i viali e le piazze di questo mostruoso parco di divertimenti. Il Prater! O meglio il Wurstelprater e la sua Riesenrad! E' qui che nel 1903 il signor Georg Barth, avendo acquistato da un suo conoscente. Karl Juhasz. una macchina da proiezione e alcuni film, costruì il primo cinematografo stabile di Vienna, il Munstedtkino. Ed è il Wurstelprater che ricorre, insieme al Christkindmarket. il mercato del Bambino Gesù, nell'autobiografia di Fritz Lang come luogo straor¬ dinario di sogno e di felicità. «Si vendevano cose meravigliose — ricorda Lang — decorazioni per l'albero di Natale, palle di vetro, stelle e ghirlande d'argento, mele rosse, arance e datteri dorati, giocattoli fantastici, cavalli a dondolo, marionette e burattini, soldatini di piombo, teatrini con personaggi e scene per molte rappresentazioni diverse. Con questi teatrini si potevano realizzare spettacoli fiabeschi, con scenari mutevoli». Fritz Lang non ci ha dato nei suoi film immagini di Vienna, soltanto ricordi autobiografici. E tuttavia una Vienna langhiana esiste. Non solo la Josefstadt. il quartiere borghese in cui visse gli anni della sua giovinezza: e una lapide ne ricorda la residenza dal 1909 al 1919 al n. 28 di Piaristengasse. Ma anche e soprattutto certe vie rettilinee, certi palazzi del principio di secolo, il Postsparkassenamt progettato da Otto Wagner o il Karl Marx-Hof, il mastodontico edificio di abitazioni operaie costruito dal Municipio di Vienna fra il 1927 e il 1929. E più ancora la pittura di Egon Schiele e di Gustav Klimt («Probabilmente furono i quadri stilizzati di Klimt che mi ispirarono inconsciamente le scenografie dei Nibelunghi*). E' una Vienna discreta che fa da sfondo, forse impercettibilmente, a molto cinema tedesco e hollywoodiano di marca mitteleuropea. Una Vienna che non si mostra nel suo aspetto esteriore — i palazzi, le chiese, le vie. le piazze, gli abitanti — ma nel suo spirito, in quella «viennesità» che è al tempo stesso ottimismo e melanconia, gioia di vivere e discrezione. Una Vienna discreta e signorile che ritroviamo emblematicamente in due tombe del cimitero centrale, non lontano da quelle famose e visitar tissime di Schubert e di Beethoven. Una lapide, sul cui fianco sinistro un graffito stilizzato pare voglia simboleggiare una pellicola cinematografica, porta la semplice scritta «G. W. Pabst 1885-1967»; un'altra, ancora più semplice, reca soltanto «Werner Krauss». Un grande regista e un grande attere che hanno contribuito a fare del cinema un'arte, con discrezione e con molto amore. Due qualità prettamente viennesi. Gianni Rondolino