Berlino divisa per lo scultore di Hitler di Tito Sansa

Berlino divisa per lo scultore di Hitler Berlino divisa per lo scultore di Hitler Da mesi imperversano le polemiche per la mostra dell'artista che esaltò il nazismo nelle sue opere BERLINO — E' lecito o non è lecito esporre le opere di Arno Breker. lo scultore in auge nel Reich nazista, che il suo maestro — il grande Aristide Maillol — definì il «Michelangelo tedesco»? A Berlino, dove un giovane commerciante d'arte. Bodo von Langenn. ha organizzato una mostra. «Il ritratto dell'uomo» con 500 sculture e quadri di Breker. vi è stata una sollevazione di indignata protesta «in nome delle vittime del nazismo», accompagnata dalla richiesta al governo della città di ordinarne la chiusura. Sotto un manifesto vi sono 3600 firme, tra cui quelle di alcuni dei più noti direttori di musei, professori universitari, teologi, critici d'arte, sindacalisti, scrittori e uomini politici della ex capitale. Arco di trionfo I firmatari, che solitamente si appellano alla libertà di espressione e sono tra i più strenui difensori di essa contro i «Berufsverbote» (che vietano il lavoro negli uffici pubblici a chi esprime opinioni di estrema), hanno chiesto il divieto della mostra non soltanto al governo, ma anche alle autorità alleate, responsabili per Berlino. Ma la loro richiesta non è stata accolta: tanto il vecchio governo, socialdemocratico, quanto quello nuovo, democristiano, e la «kommandatura» alleata, hanno biasimato la «mancanza di tatto e di gusto» di Arno Breker che torna a Berlino «dove fece carriera e raggiunse la gloria», facendo tuttavia presente che «non esistono mezzi legali» per vietare l'esposizione. Da quattro mesi la dispu¬ ta si trascina a Berlino, e sarebbe probabilmente più feroce se la città non avesse altri problemi più gravi e urgenti. Quando il 22 maggio la mostra fu aperta solennemente, presenti l'anziano scultore e lo scrittore francese Roger Peyrefitte (che pronunciò il panegirico del «Michelangelo del nostro secolo»), un migliaio di intellettuali inscenò una dimostrazione di protesta. «Fuori i nazisti da Berlino» scandivano i dimostranti, e gli invitati al «vernissage» dovettero venir protetti dalla polizia armata di mitra. «Plebaglia che non ha imparato nulla», disse sedgnosamente Arno Breker, scatenando ancor più l'ira degli avversari. E i critici d'arte si sono scatenati, rievocando la «carriera nazista» dello scultore. Hanno ricordato a puntate che Breker esaltò il mito della razza, che era ammirato da Hitler. Goering e Goebbels, che era intimo di Albert Speer. che accompagnò il «Fuehrer» a Parigi dopo la vittoria del 1940 sulla Francia per trarre ispirazione per il colossale progetto del centro architettonico a Berlino (con un arco di trionfo alto 120 metri), che modellò i busti di una dozzina di gerarchi nazisti, che fece un monumento per la battaglia di Stalingrado, che sue sono le due statue «tipicamente razziste» che tuttora ornano l'ingresso allo Stadio olimpico di Berlino, che ottenne onorificenze e il titolo di professore, due ville, un «atelier» lungo 120 metri ed emolumenti smisurati. Arno Breker. che dalla fine della guerra vive nei pressi di Duesseldorf con la seconda moglie e due figli, è passato immediatamente al contrattacco, difendendosi. « Un artista non si mescola con la politica — ha detto con ingenuità non si sa se vera o finta — il mio impegno era quello di esaltare la bellezza del corpo umano, ora come allora». Alle accuse di esaltazione del mito della razza, lo scultore ha replicato: «Nelle mie statue non c'era intenzione razzista, io non ho serinto il razzismo.è stato Hitler che ha visto il razzismo e lo ha sfruttato per i suoi fini». In una lettera aperta ai giornali ha poi ammesso la sua «cecità» di fronte agli orrori nazisti (accomunandosi in tal modo a milioni di tedeschi che affermano: «Non sapevo»), e — per la prima volta dopo 35 anni — ha condannato pubblicamente le mostruosità della dittatura, Forse qualcuno sarebbe ancora stato disposto a perdonare al vecchio scultore se questi non si fosse presentato come difensore e soccorritore di artisti perseguitati. «Non sapevamo» Ha rilevato — per esempio — che nel 1943. su richiesta telegrafica di Jean Cocteau. il quale era venuto a sapere che la «Gestapo» voleva arrestare Pablo Picasso, era andato personalmente da Hitler chiedendo, e ottenendo, che il pittore antifascista non venisse toccato. Ha preteso poi (ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso dell'indignazione) che gli venisse concessa per la sua esposizione berlinese la maschera mortuaria di Max Liebermann. il pittore ebreo suo amico, da lui modellata su richiesta della vedova. Per otte¬ nerla. Breker ha intentato causa al «Museurn Berlin», e ha perso. Gli intellettuali berlinesi hanno definito il gesto il «colmo della spudoratezza». un «vergognoso tentativo di crearsi benemerenze filosemitiche». Decine di persone che hanno cercato di prendere le difese dello scultore in nome della libertà di espressione artistica, criticando semmai la sua stupidità politica, ricordano che Breker non fu il solo a fare carriera mettendosi al servizio del regime e creando quella che fu l'«arte ufficiale». Senza riandare nel tempo ai grandi maestri del passato che servirono re e principi tiranni in cambio di privilegi, i difensori di Arno Breker affermano che anche altri — per esempio Gruendgens. von Karajan. Furtwaengler — divennero famosi al tempo del nazismo, ma nessuno ha mai pensato di metterli al bando. Ma in Germania, dove nazisti come Globke, Kiesinger e Filbinger hanno fatto carriera politica a Bonn e migliaia di giudici nazisti sono tuttora in carica — hanno scritto diversi difensori di Breker — quale diritto abbiamo di infierire e di vietare le opere di un uomo che non ha fatto altro che esaltare la bellezza del corpo umano e che — nel 1948. durante i processi di denazificazione — fu considerato da una corte alleata soltanto come «compagno di viaggio» e condannato a un'ammenda di soli 100 marchi? Breker — hanno scritto diverse persone — si è comportato come la maggioranza dei 60 milioni di tedeschi che dopo la guerra perduta hanno affermato: «Non sapevamo». «Non state esagerando un po'?» domando a Michel Gaissmayer. un socialdemocratico che ha raccolto una voluminosa documentazione contro il nazista Arno Breker. «Non vi mettete sullo stesso piano di intolleranza tanto criticata nel secolo scorso da Heinrich Heine (che fuggi a Parigi), biasimata negli Anni Venti dal premio Nobel Cari von Ossietzky (morto in campo di concentramentol e da voi stessi quando si tratta di persecuzioni dello Stato contro critici della sinistra?». Gli ricordo le proteste recenti a Berlino, quando la polizia intervenne («con brutalità fascista» scrissero i giornali) per strappare i manifesti e i «collages» del giovane pittore di sinistra Ernst Volland. L'uomo e l'opera «Sono cose diverse — risponde Gaissmayer — Breker si è reso colpevole, era nazista e la sua arte è nazista. Da un artista ci si aspetta un po' di umanità». Il professor Wolfgang Ludwig, presidente del sindacato degli artisti e direttore di museo, non è disposto a compromessi. «Breker ha esaltato ed esalta l'ideale della razza che ha scatenato la guerra e ha massacrato milioni di persone, ha fatto carriera a spese degli artisti perseguitati, torturati, assassinati, vi è il sospetto che ne abbia denunciati alcuni, e non si è mai distanziato, fino a pochi giorni fa dalle sue ideologie disumane, è l'espressione artistica di esse. Non possiamo — come Breker pretende — condannare l'uomo e, prescindendo dalle sue colpe, giudicare soltanto la sua opera». Tito Sansa