Quindici anni di «processi» alla pubblicità
Quindici anni di «processi» alla pubblicità In difesa del consumatore Quindici anni di «processi» alla pubblicità Che in pubblicità sia tutto consentito è quello che credono, in maggioranza, i consumatori, sempre pronti a dichiararsi vittime ignare della scorrettezza di un messaggio pubblicitario, anche quando sono invece protagonisti consapevoli e responsabili di una libera scelta tra i diversi prodotti del mercato. In realtà, tra qualche inganno, parecchie iperboli, non poche lusinghe, in Italia da quindici anni la pubblicità incoccia nelle maglie sempre più strette di un regolamento di autodisciplina. E' un Codice di comportamento, 42 articoli, definiti •vincolanti per utenti, agenzie, consulenti di pubblicità, gestori di veicoli pubblicitari di ogni tipo e per tutti coloro che lo abbiano accettato...», tra questi ultimi, per citare due esempi, la Federazione Italiana Editori Giornali (quindi tutti i quotidiani, le riviste, i periodici) e la Rai-Tv. Pur non avendo il valore, la severità, le sanzioni di una legge dello Stato, il Codice è riuscito almeno a parare il colpo di un pericoloso vuoto normativo. Ne sono state ispiratrici le stesse categorie pubblicitarie all'Inizio degli Anni Sessanta, dopo un tentativo, nel '51, proposto dall'Upa, cioè dalle imprese utenti della pubblicità, che non ebbe successo. A qualcuno una simile prova di buona volontà può far nascere un sospetto di •interessi nascosti». Ma la smentita è nei risultati. Anche se proprio oggi la pubblicità ci sembra più aggressiva, più subdola e più ingannatrice che mai, il Codice, entrato in vigore nel '66 e più volte riveduto e ampliato fino all'ultima edizione del gennaio '81, è riuscito invece a costringere i messaggi pubblicitari ad una sempre maggior chiarezza, onestà, persino varietà. Quindici anni di vita e di attività sono nelle cifre. Due organismi hanno il compito di esaminare e controllare la pubblicità sulla base del Codice: il Comitato d'accertamento, composto da nove esperti (dei quali tre per i problemi dei consumatori) e il Giuri, formato dal presidente (attualmente è incaricato un consigliere di Cassazione, presidente della III Corte d'Assise di Milano) e da sei membri tra magistrati, psicologi e cattedratici di diritto industriale. E' il Giurì il .tribunale» al quale si sottopone la pubblicità ritenuta in contrasto con il Codice. La sua può essere una sentenza di condanna o di assoluzione. Soltanto negli ultimi sei anni, 119 messaggi pubblicitari sono stati «condannati» (la conseguenza è l'immediata cessazione della compagnia) e tra questi per 14 casi di particolare gravità è stata disposta anche la pubblicazione dell'estratto della pronuncia sulla stampa nazionale. Nello stesso periodo le assoluzioni sono state appena 35, e questa è forse la prova, se ce ne fosse stato bisogno, che non è ancor proprio tutto vero quello che vogliono farci credere. Il consumatore, da oggetto passivo al quale è diretto il messaggio pubblicitario, è oggi soggetto-protagonista grazie all'art. 2 del Codice che definisce «La pubblicità ingannevole» : è vietata ogni dichiarazione o rappresentazione che induca in errore i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità ecc., su caratteristiche ed effetti del prodotto, prezzo, gratuità condizioni di vendita, identità delle persone rappresentate. Uno sforzo lodevole che dà buoni frutti. Alle sentenze di condanna del Giuri infatti non sono sfuggiti prodotti cosmetici o bevande alcoliche, abbigliamento o automobili, alimenti o prodotti per la casa. Anche nella battaglia contro il fumo s'è dato qualche buon esempio, ma in questo campo la legge dello Stato esiste e sarebbe più opportuno che fosse anche applicata. Simonetta Conti
Persone citate: Simonetta Conti
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