L'ayatollah può tremare di Igor Man

L'ayatollah può tremare OSSERVATORIO L'ayatollah può tremare Il giuoco al massacro continua senza misericordia in Iran. Alle fucilazioni di massa ordinate dal Palazzo, i mujahiddin e gli altri gruppi della composita opposizione alla «mullahcrazia» rispondono da un capo all'altro del Paese con azioni spericolate e sempre selettive: è di lunedi l'attacco al quartier generale del Basij di Ghaemshahr, sul Caspio; quattordici miliziani della Organizzazione dei diseredati (Basij-e mustazzafin) sono stati uccisi a colpi di mitra e bombe a mano. Ma chi vincerà questa tragica corsa all'assassinio? I mujahiddin, un gruppo relativamente piccolo ed elitario, dovrebbero soffrire di più perché le fucilazioni sono quotidiane e su vasta scala, mentre le vittime del partito repubblicano islamico (pri) sono di molto inferiori ai ragazzi messi al muro dal regime. Senza dubbio quello dei mujahiddin è un gruppo di élite, poiché i suoi membri son tutti studenti o professori. Ma giacché quelli che chiameremo gli intellettuali in Iran sono numerosi, è possibile quantificare i mujahiddin in centocinquantamila. Con i simpatizzanti, si arriva almeno a trecentomila persone. Fra di essi non pochi sono gli operai specializzati, specie dell'industria petrolifera. Forti di una lunga esperienza clandestina, che rìsale al 1956, e di una struttura a cellule, i mujahiddin possono assorbire le perdite senza troppo nocumento per l'organizzazione. Paradossalmente, di fronte alla campagna di decapitazione appare più vulnerabile il pri, partito di massa. Un grosso corpo con una testa minuscola. Il pri ha solo due anni di vita durante i quali, anche per avere scar¬ tato i cosiddetti benpensanti, non è riuscito ad esprìmere una leadership preparata. Rajai e Bahonar erano delle personalità modeste, eppure facevano spicco. Eliminando gli ultimi «cervelli» dell'integralismo religioso, i mujahiddin potrebbero sfasciare il pri. Di fatto, una sparuta schiera di teologi sopravvive, uomini come Rafsanjani, Ardebili e Khalkali, ed essi sono fatalmente i prossimi bersagli da colpire per i mujahiddin. Dopo di loro non rimarrebbe che lui, il grande imam: Khomeini. Fino a qualche tempo fa riusciva difficile pensare che qualcuno osasse levare la mano contro chi polarizza il fanatismo di masse immense. Sennonché, approvando esplicitamente la repressione contro i mujahiddin, Khomeini è sceso dall'empireo; non più al di sopra della mischia, è diventato un uomo di parte legittimandosi, se cosi può dirsi, come possibile bersaglio futuro dei mujahiddin. Rimane da sapere se questi sapranno trar vantaggio dal caos che la scomparsa di Khomeini provocherebbe. Da Parigi Rajavi sentenzia che dopo Khomeini non ci sarà guerra civile, né vuoto di potere, scarta l'ipotesi di un golpe. Ma in questo momento chi, tutto sommato, ricava maggior beneficio dal giuoco al massacro è la «terza forza»: l'esercito. E son molti i giovani ufficiali e i quadri subalterni, specie nell'Aviazione, che simpatizzano coi mujaheddin. Ma quanti e come piazzati strategicamente sono i mujahiddin in uniforme? A codesto interrogativo è legato l'esito del giuoco al massacro che sta insanguinando crudelmente un Paese dove la storia ha sempre camminato di pari passo con la sciagura. Igor Man Khomeini: i mujahiddin colpiscono sempre più in alto

Persone citate: Ardebili, Khomeini, Rafsanjani, Rajai

Luoghi citati: Iran