Scoperto in Calabria un grande deposito di oggetti votivi del quinto secolo a. C. di Enzo Laganà

Scoperto in Calabria un grande deposito di oggetti votivi del quinto secolo a. C. Sono stati necessari tre anni di scavi per recuperare i preziosi reperti Scoperto in Calabria un grande deposito di oggetti votivi del quinto secolo a. C. REGGIO CALABRIA — «Si tratta del più. grosso deposito votivo rinvenuto nell'area della Magna Grecia», afferma con un tantino d'orgoglio il professor Claudio Sabbione, che ha curato l'esplorazione e il recupero di tutto il materiale in località Scribia nel Comune di Vibo Valentia. Lo scavo di questi reperti è durato tre anni e ha permesso di portare alla luce centinaia di statuette, ceramiche e terracotte, monili in argento e soprattutto anelli e orecchini della prima metà del V secolo avanti Cristo. Ma l'eccezionalità è rappresentata dal numero enorme di elmi, scudi e archi che probabilmente venivano depositati nei locali attigui a un santuario da chi vi si recava per adempiere a un voto. Del tempio, invece, nessuna traccia perché sulla zona esiste un insediamento abitativo vecchio già di molti anni. Gli oggetti trovati nel depo¬ sito saranno sistemati, si spera, entro il prossimo anno, nel museo archeologico di Vibo Valentia arricchendo cosi notevolmente questa collezione. Ma questi di Vibo non sono gli unici interessanti rinvenimenti che la sovrintendenza archeologica per la Calabria ha portato alla luce in questo scorcio d'estate. Nella zona di Crotone, in località Vignanuova, sulla collina, sono affiorati i resti di un santuario greco; a Capo Cimiti è venuta alla luce una villa romana mentre ad Isola Capo Rizzuto. proprio di fronte al castello aragonese, è stato individuato un muraglione difensivo di una fortezza greca. Sia nella villa romana che ai piedi di questo muraglione sono stati trovati resti di insediamenti risalenti all'età del bronzo (1500/1000 avanti Cristo). Ma lo scavo che ha destato per molti aspetti la maggiore curiosità è stato quello effettuato su un pianoro nel Comune di Montegiordano, nell'Alto Ionio, quasi al confine tra la Calabria e la Basilicata. E' affiorata una fattoria costruita dalla gente lucana, che abitò questa zona fra la metà del IV e i primi del III secolo avanti Cristo. Si tratta di sette vani, alcuni dei quali comunicanti, che fanno da cornice a un ampio cortile scoperto. La fattoria, che forma un grande quadrato con lati di 22 metri, è l'unica del genere ritrovata in Italia. Gli scavi, oltre a identificare la destinazione dei vari locali, hanno permesso di recuperare una grande quantità di materiale ceramico e di rilevare all'esterno la presenza di un forno e di un recinto per gli animali. La cosa importante però è che questa struttura si presenta come un nucleo chiuso autosufficiente dentro al quale sono stati ritrovati, oltre a una grande quantità di vasellame fine da mensa, oggetti decorativi di buona qualità assieme ad una pressa di pietra squadrata e giare per derrate alimentari. La casa colonica documenta l'occupazione da parte della gente italica (in questo caso lucani e non bruzi perché Montegiordano anticamente ricadeva nell'antica Lucania). Inoltre, il materiale trovato, definito greco, sta a dimostrare che esisteva un circuito commerciale per oggetti d'uso comune e di lusso che riguardava sia i greci che le popolazioni meridionali indigene. Ai primi decenni del III secolo, secondo la ricostruzione effettuata dall'ispettrice Luppino che ha diretto gli scavi, la fattoria venne abbandonata precipitosamente dai suoi abitanti: nella fuga dimenticarono in cucina un piccolo tesoro costituito da varie monete della Magna Grecia. Enzo Laganà

Persone citate: Claudio Sabbione, Isola Capo Rizzuto, Luppino