L'estate porta l'oblio di Luigi Firpo
L'estate porta l'oblio r Cattivi Pensieri di Luigi Firpo L'estate porta l'oblio Avevo deciso in cuor mio di non spendere più una sola parola sulla P2. E non perché non ci sia più niente da dire, ma perché m'ero convinto di «tagliare il fuoco con la spada», come dicevano gli antichi, cioè di pestar l'acqua nel mortaio, di sciupare il ranno e il sapone, di non cavare un ragno dal buco, di predicare al vento. Fin da principio avevo sospettato che tutto si sarebbe risolto in una bolla di sapone, ma non volevo crederci, tanto clamoroso era stato lo scandalo, tanto grave e capillare l'infiltrazione nei gangli vitali dello Stato. Quando vennero alla luce gli elenchi, i numeri di tessera, le ricevute, i nomi, l'opinione pubblica sembrò reagire con autentica indignazione: era come quando, ragazzi, si solleva un pietrone su un pendio umido e la nicchia invasa dalla luce improvvisa rivela un brulichio raccapricciante di scurì insetti immondi. Nulla ci fu risparmiato allora, perché potessimo renderci conto di quanto stava accadendo, del rischio corso: ricatto e assassinio, aggiotaggio ed esportazione di valuta, spionaggio e corruzione di pubblici funzionari, penetrazione strisciante nell'esercito, nella magistratura, nell'alta burocrazia, nei giornali, nella radio, nella televisione. E subito uomini politici integerrimi, operatori culturali senza macchia chiesero a gran voce, o assicurarono solennemente, che si sarebbero lavate le stalle di Augia, che nulla avrebbe fermato la mano della giustizia. Fin d'allora però si annunciavano le avvisaglie della burletta. La prima mossa la fecero i giuristi, come sempre tutori dello Stato di diritto, i quali invocarono le garanzie da cui ogni cittadino è protetto: prima fra tutte, quella che la responsabilità penale è strettamente personale, e l'altra, che ognuno è innocente finché non sia stata legalmente provata la sua colpa. A questo punto, a voler camminare sul filo del rasoio, si sarebbe dovuto cancellare quasi tutti i nomi delle liste, data l'impossibilità di provare responsabilità dirette, individuali e specifiche in singoli reati. Ci mancherebbe che una società segreta lasciasse dietro di sé impronte digitali, verbali delle azioni criminose compiute e prove inconfutabili a carico dei propri adepti! Con questo criterio rigoroso, risolutivo, legalitario, 10 stesso Licio Gelli non potrebbe venire accusato neppure di un furto di polli. E il bello si è che proprio 11 nostro Paese ha elaborato il criterio della responsabilità oggettiva delle società calcistiche per singoli episodi di intolleranza negli stadi. Se un tifoso anonimo, non identificabile fra altri 50.000. butta in campo una bottiglietta d'aranciata o dice, «venduto» all'arbitro, la so- cietà paga la multa, subisce la squalifica; ma se un Tizio aderisce a un'associazione segreta, subdolamente criminosa, non è reo di associazione per delinquere, ma solo un'anima candida che casca dalle nuvole, che non credeva, che addirittura non c'era, o se c'era dormiva. Dopo i giuristi, i politici. Voglio rendere qui onore al merito di chi, come l'ex-ministro Sarti, ha ammesso la propria adesione ed ha rivendicato un'assoluta buona fede; Maurizio Costanzo si è definito da solo un ambizioso imbecille. L'ingenuità, una volta provata, non costituisce reato. Ma che un partito inviti i propri aderenti registrati nelle liste infami a dichiarare la propria estraneità e che di quelle attestazioni pelose si appaghi, altro non significa se non l'avvio di un generale colpo di spugna, di uno «scusi, come non detto», perché tutto continui come prima, peggio di prima. E' vero che il governo ha messo la P2 fuori legge, ma va da sé che gli interessati avranno provveduto da tempo a costituire la P3 o la P all'ennesima potenza, attenti solo a custodire meglio l'archivio e a tenere contatti più cauti. Nei mesi scorsi ho ricevuto parecchie lettere da parte di massoni in buona fede (delle Logge ordinarie, senza la P), con toni indignati per gli attacchi tendenziosi di cui si vedevano oggetto, o anche semplicemente rattristati nel veder misconosciute le loro nobili tradizioni e la purezza dei loro intenti. Ho potuto rispondere personalmente solo a qualcuno, ma a tutti debbo qui ripetere che i liberi muratori esercitarono nel Sette e nell'Ottocento una funzione culturale e politica rilevante, diffondendo gli ideali dell'Illuminismo e preparando l'affermarsi della democrazia. La segretezza delle Logge fu allora una necessità imposta dall'assolutismo politico e dall'oscurantismo religioso dominanti. Adesso il diritto di associazione è garantito dalla Costituzione. Squadre, compassi, grembiulini, cappucci, sembrano giocattoli per vecchi bambini. Se la massonerìa è essenzialmente un'associazione di mutuo appoggio per l'ascesa sociale (e aspetto sempre di conoscere qualche altro suo scopo odierno), non si vede perché debba rifiutare all'autorità di pubblica sicurezza l'elenco dei soci. Da ultimo, a dar mano ai piduisti nostrani, è venuta l'estate, la grande stagione vacanziera e smemorante di questa Italia, che si crogiola beata nella sua impudica decadenza. Non a caso, in molte amministrazioni pubbliche, i personaggi compromessi erano ricorsi a una trovata geniale: non erano stati sospesi, esonerati, dimessi, espulsi, incriminati: erano andati semplicemente in ferie. Adesso, freschi e riposati, sono pronti a ritornare, a rioccupare le poltrone, a riprendere i contatti con un nuovo e meglio dissimulato Maestro venerabile. E chi trovano a dar loro ragione, ad attestare che è giusto cosi? Nientemeno che Enzo Biagi, il quale sulla Repubblica di giovedì ha scritto cose da non credere. L'avevo lasciato, se ben ricordo, in atto di piena indignazione per i vociferati rapporti fra Rizzoli e Gelli, sdegnato al punto da intimare al Come re la pubblicazione delle proprie dichiarazioni di dis senso, addirittura da abbandonare quelle prestigiose colonne per ritirarsi sotto la tenda. Adesso anche Biagi constata che si va allegramente al nulla di fatto, al «volemose bene», ma non se ne indigna, e spezza invece una lancia perché la stessa manica larga sia usata nei confronti dei giornalisti. Egli richiama così i nefasti dell'epurazione abortita del '45. parla di «rigore sospetto», inteso in realtà a «sgombrare la piazza» e ad aprire varchi ai carrieristi; proclama il diritto di Gervaso a veder accettati i suoi articoli e quello di Costanzo a fare le sue interviste («e il pubblico ha la facoltà di credergli o di rifiutarlo»). E via su questo tono, tra il solidarismo sindacalista del «tutti per uno» e il qualunquismo del «tutti devono campare». L'argomento principe, che, se alcuni piduisti hanno fatto carriera, altri ce ne sono che, «aderendo alle tesi di Craxi o di Berlinguer o di Piccoli, hanno fatto altrettanto», è un argomento sgangherato. Certo che ce ne sono, e molti (persino troppi!), ma almeno portano la bandierina sul cappello, il timbro di provenienza. Sappiamo chi sono, li leggiamo con le dovute cautele, e se proprio ci fanno venire il latte alle ginocchia, possiamo comprare un altro giornale, votare per un altro partito. Chi porta una livrea colorata lo si riconosce lontano un miglio; chi volle per sé la calzamaglia nera di Diabolik. si occupi di fumetti. L'informazione si fonda sulla fiducia, che é come la verginità: ricucita, non vale.
Persone citate: Berlinguer, Biagi, Craxi, Enzo Biagi, Gelli, Gervaso, Licio Gelli, Maurizio Costanzo, Sarti
Luoghi citati: Italia
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