Napolitano: liberiamoci dalle «camicie di forza» di Luigi La Spina

Napolitano: liberiamoci dalle «camicie di forza» Festival dell'Unità: la polemica nel pei Napolitano: liberiamoci dalle «camicie di forza» «Come diceva Togliatti, è sbagliata la tesi di chi sostiene che S'aumentare dei nemici è un successo del pei» - Dibattito sulla «Stona del marxismo» e sui nodi non risolti dello stalinismo TORINO — «Non si tratta di seppellire un morto, nè di ammainare una bandiera, ma di costruire il nuovo». // lungo applauso che ha accollo, l'altra sera al Festival dell'Unità, queste conclusive parole dell'intervento di Napolitano al dibattito sull'ultimo volume della «Storia del marxismo» edita da Einaudi (il secondo tomo del terzo libro), ha subito fatto capire che la discussione all'interno del pei è tutl'altro che conclusa. Poco prima, lo stesso Napolitano aveva citato una frase di Togliatti dopo il XX Congresso del pcus, quello che denunciò lo stalinismo, con la quale si invitava il pei a strapparsi «la camicia di forza» e a costatare quanto fosse sbagliata la tesi che «l'aumentare del numero dei nemici è segno del crescere del successo del partito». Una citazione che, con trasparente allusività, conferma l'impressione di un Napolitano deciso a spingere fino in fondo la sua polemica con la linea del segretario comunista. Non solo chi era venuto nella sala del Palazzo del Lavoro per sondare gli «umori» del vertice comunista pareva interessato, l'altra sera, all'andamento di un dibattito, lungo, vivace e rivelatore. Anche chi era più attento alla polemica storiografica sul marxismo e, in particolar modo, sullo stalinismo aveva potuto apprezzare lo stimolo intellettuale che l'approfondimento di questi temi consente ancora oggi. E chi, infine, voleva saggiare gli umori della «base» pei, nella città capitale del comunismo italiano, aveva potuto capire come sia ancora delicato il rapporto fra revisione ideologica e eredità sentimentale, tra ragione e mito. Insomma, nessuno si era annoiato, impressione augurale per un'opera che senz'altro merita un interesse non solo specialistico. Già il «taglio» con il quale Napolitano ha impostato il suo intervento è stato rivelatore delle sue intenzioni battagliere. Perché, si è chiesto, negli anni immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale è fallita l'ipotesi di unificazione fra socialisti e comunisti? Quali sono stati i limiti dei «fronti popolari»? Quale lezione si può trarre oggi per riuscire a raggiungere questo obiettivo? E' mancato, secondo Napolitano, un vero sforzo di revisione ideologica su punti fondamentali della dottrina marxista: la dittatura del proletariato, l'analisi delle trasformazioni capitalistiche e, insieme, della natura dello Stato sovietico. E a questo punto Napolitano ha cercato di impadronirsi dell'eredità togliattiana per ricordare quale attenzione avesse il leader del comunismo italiano per il movimento socialista, considerato non come «un tutto unico ma come la somma di diverse tendenze»: altra allusione antiberlingueriana abbastanza evidente. Certo Napolitano ha dovuto presentare, in questa prospettiva, la togliattiana «via italiana al socialismo» come una vera «svolta» e non come un adeguamento tattico alla situazione nazionale. Una interpretazione subito contestata da Massimo Salvadori che ha gelato e irritato la sala con una puntigliosa serie di citazioni togliattiane «superstaliniste». La «provocazione» di Salvadori ha rappresentato il momento di maggior tensione nel dibattito, ma è stata utile proprio per le reazioni che ha scatenato nella platea. Così, infatti, è emersa la complessità della «contraddizione» nella quale si muove il reale processo di revisione ideologica del pei: la forza con la quale il mito staliniano si abbarbica se non nella coscienza nei sentimenti della base comunista e, insieme, il fastidio con il quale, anche fra le giovani leve del pei viene accolto chi, dall'esterno del partito, tocca il rapportofra stalinismo e togliattismo. Salvadori, preceduto per la verità dall'intervento di Galasso quasi tutto centrato su questo tema, ha però anche parlato del «nodo» storiografico più importante sullo stalinismo, la tendenza, che secondo Galasso informa anche il volume einaudiano, a mettere fra parentesi lo stalinismo. Un periodo che costituirebbe perciò un «accidente» nella storia del marxismo e della Rivoluzione d'ottobre. Polemica sulla continuità Lenin-Stalin che ricorda l'altrettanto famosa disputa sul significato del fascismo nella storia d'Italia e che, l'altra sera, ha fatto da fìlocondùttore alla discussione. Continuità e discontinuità, due «chiavi» che forse non sono però sufficienti a ri solvere quell'«enigma», come lo chiama nel suo bel saggio Moshe Lev/in, che intriga ancora gli storici dell'età staliniana. Luigi La Spina

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