Il brigadiere era già merle e i killer sparavano ancora di Marzio Fabbri

Il brigadiere era già merle e i killer sparavano ancora RIPRENDE CON L'AGGUATO DI MILANO LA TRAGICA OFFENSIVA DEL TERRORISMO Il brigadiere era già merle e i killer sparavano ancora Francesco Rucci è sfuggito ai primi colpi, poi i terroristi gli hanno scaricato contro le pistole - Era stato trasferito a Bergamo, ma aveva chiesto di tornare a San Vittore DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MILANO — La strategia per le carceri dei gruppi terroristici ha rivelato ieri nuovamente il suo volto sanguinoso: un sottufficiale delle guardie carcerarie in servizio a San Vittore è stato crivellato di proiettili a poche decine di metri da casa. La tregua effimera che sembrava essersi stabilita a Milano dal febbraio di quest'anno dopo l'assassinio del direttore sanitario dell'ospedale Policlinico è stata infranta e ha spazzato via l'illusione che con l'arresto di Mario Moretti, nell'aprile scorso, il partito armato avesse subito nel capoluogo lombardo colpi definitivi. Il rituale macabro è tornato a ripetersi nelle prime ore del mattino, per la diciassettesima volta a Milano da quando il terrorismo è entrato a far parte della nostra vita. Francesco Rucci, 25 anni, vicebrigadiere del corpo degli agenti di custodia, originario di Oiovinazzo (Bari) ha baciato sua moglie pochi minuti prima delle 7 e tre quarti. Antonietta Scrocci, di Alessandria, alle ultime settimane di gravidanza lo ha guardato uscire con apprensione. Conosce anche lei bene la realta del carcere e la loro storia è una delle poche cose pulite uscita da quella fabbrica di disperazione che è San Vittore. Proprio li si erano conosciuti: dove lei, come assistente sanitaria, lavorava per aiutare, come poteva, i tossicodipendenti finiti in prigione. Un lungo fidanzamento, poi il matrimonio e l'attesa di un bimbo, con qualche problema tanto che la donna aveva dovuto chiedere un congedo anticipato. La preoccupazione per le sue condizioni di salute, forse, ha condotto Francesco Bucci verso la morte. Aveva lavorato al raggio di massima sicurezza e pare fosse stato minacciato, cosa peraltro comune nell'inferno carcerario. Era stato trasferito, per motivi di sicurezza, alla prigione di Bergamo, da dove però aveva voluto fare ritorno proprio per stare vicino alla moglie. E' tornato a San Vittore dove prestava servizio nella sezione femminile. Forse pensava alle minacce come a «roba vecchia». Mentre andava al lavoro, era disarmato. Invece probabilmente gli assassini non lo avevano mai perso di vista: stavano solo aspettando il momento opportuno. Lo hanno colto ieri mattina, alle 7,55. A bordo della sua 128 il sottufficiale ha percorso via Menila, dove abita, fino all'incrocio con via Ludovico il Moro. L'agguato era stato predisposto 11. Un'Alfetta azzurra, certamente rubata, ha stretto sulla destra Rucci costringendolo a fermare. Non tutto è ben chiaro data la totale assenza di testimoni: a quell'ora i negozi sono chiusi e non c'erano passanti. Un vicino bartabaccheria era affollato, ma gli avventori si sono accorti di quel che era avvenuto solo dopo, udendo gli spari. Non si sa bene quanti fossero gli assassini, almeno tre. Uno è rimasto al volante dell'auto mentre gli altri circondavano la 128.1 primi colpi sono giunti dalla parte del sedile di guida, ma non sono andati a bersaglio. Questione di pochi attimi. Francesco Rucci scivola sul sedile di destra: da quel lato intravede una possibilità di scampo. Fa in tempo ad aprire lo sportello e a scendere a terra, ma non va più in la. Un altro terrorista è appostato dietro la sua vettura e lo attende : comincia a far fuoco. La guardia crolla subito a terra esanime, ma gli attentatori sparano ancora. In tutto sette, otto colpi, soprattutto al volto, ma anche al torace. Non vogliono solo uccidere, ma anche infierire sul cada¬ vanEdrdcmsidda7gTelegramma diPertini alla vedova ROMA — il Presidente della Repubblica ha inviato alla vedova del vicebrigadiere Francesco Rucci e al ministro di Grazia e Giustizia Darida telegrammi di condoglianze nei quali, •interpretando lo sdegno di tutti gli italiani per il vile attentato nel quale e rimasto ucciso un coraggioso e fedele servitore dello Stato, esprime i suoi sentimenti di profondo cordoglio e solidarietà: In apertura della riunione del Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio Spadolini ha rivolto un commosso omaggio alla memoria del sottufficiale assassinato ieri a Milano. vere. Poi la fuga; come già in altre due occasioni (l'assassinio del sostituto procuratore Emilio Alessandrini e quello del giudice Guido Galli) i terroristi si coprono con il lancio di un candelotto fumogeno che disorienti eventuali testimoni e comunque crei confusione. La rivendicazione giunge intorno alle dieci al telefono di una radio locale, una voce di uomo giovane che pare aver fretta dice: -Oggi alle 7,44 un nucleo di comunisti ha giustiziato il boia di San Vit¬ tore. Abbiamo usato una "38 special" e una "nove Parabellum": Ad una richiesta di specificazione del giornalista sul nome della formazione che rivendica il delitto l'anonimo ripete: «Dite un nucleo di comunisti'. Più tardi, forse a correzione parziale una seconda chiamata che parla invece di «nuclei comunisti», una sigla comparsa già nella primavera scorsa in occasione del ferimento di un giovane accusato di aver fatto arrestare un presunto terrorista. Sul fronte delle indagini buio pesto. Gli inquirenti temono di non essere neppure in grado di preparare gli identikit, strumenti peraltro di dubbia utilità, almeno in questi casi. n corpo degli agenti di custodia aveva già pagato a Milano un tributo in vite umane al terrore. li 20 aprile del 1978 il maresciallo Vittorio Di Cataldo, vicecomandante di San Vittore, fu atteso sotto casa e ucciso dagli assassini delle Brigate rosse. Marzio Fabbri