Un favoloso collezionista

Un favoloso collezionista FASTO E MISERIA DI UN RE DEI RUGGENTI ANNI 20 Un favoloso collezionista Durante la mia prima visita a New York, verso la (ine del 1957, ricevetti un'inattesa telefonata: era Cari Hamilton, il più grande collezionista americano degli Anni 20, poi finito nel nulla, che mi chiedeva insistentemente di incontrarlo. Molto sorpreso (data l'aura favolosa che circondava quel nome), fissai l'appuntamento ma rimasi sconcertato dal luogo stesso dell'incontro, una stanzetta di un ospedale di secondo o terz'ordine, dove l'ex miliardario, ricoverato per un male ai reni, stava a letto circondato da complicate apparecchiature mediche. Notai che accanto a lui c'era una montagna di fotografie di quadri. Venne subito al motivo della chiamata: «Mi sto occupando della formazione di un Museo di Stato nella città di Raleigb (North Carolina). La Fondazione Kress ci ha promesso un dono cospicuo di quadri, questi qui (indicando le foto ammucchiate) sono i dipinti che ci vengono offerti e tra i quali dobbiamo scegliere. Le chiedo di estrarre le foto dei più importanti, formando un gruppo di quaranta o cinquanta pezzi. Mi fido di Lei. L'avverto che per questa prestazione non riceverà un soldo, dato che si tratta di cosa di interesse pubblico. Accetta?». Accettai, a condizione che il mio nome venisse citato nei cataloghi a stampa, e mi misi al lavoro. Scartai subito i quattro quinti delle foto, e ne presi con me un centinaio. Dopo tre giorni tornai a vederlo e gli sottoposi la mia scelta, esprimendo però i miei dubbi sul-'' l'eventualità che la Fondazione Kress acconsentisse a una richiesta cosi importante. «Non si preoccupi», mi rispose Hamilton, e aveva ragione. Tutto finì bene, e il Museo di Raleigh possiede oggi opere come il polittico di Giotto per la Cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze (in perfetto stato e che io considero il quadro del Trecento più importante negli Stati Uniti), le cinque tavolette del bolognese Jacopi no di Francesco, una Madonna di Paolo Uccello, la Assunta di Massimo Stanziane, la pala del Domenichino già nel Duomo di Fano, oltre ad altri quaranta pezzi tutti assai notevoli. Ma il mio nome non è mai apparso nei cataloghi del Museo; pazienza! ★ ★ C'è invece da dire sul retroscena del dono, concesso dalla Fondazione, nata grazie a Samuel H Kress, un minatore (così dicono) poi assurto alle vette della ricchezza grazie ad una serie di negozi five-and-ten, cioè empori, sparsi in molte città degli Stati Uniti, e dove si vendevano soltanto merci che costavano cinque e dieci cents. Oramai ricchissimo, Kress aveva rivelato una passione insaziabile per i dipinti di alta epoca, mettendone insieme, dal 1928 in poi, circa 3000, alcuni di eccezionale importanza. Per amministrare una raccolta così enorme, nacque la Fondazione, e, dopo vari progetti, venne deciso di distribuire i dipinti in vari Musei: una prima sezione venne donata alla Gallerìa Nazionale di Washington (aperta nel 1941), mentre gli altri gruppi si sarebbero dovuti donare alle città dove Kress aveva i suoi negozi. Tra esse non c'era però Raleigh; ma Hamilton, che era stato incaricato di occuparsi dei dipinti da esporre nel locale Museo (deciso nel 1947) giurava che Samuel Kress, durante una visita sul luogo molti anni prima, aveva promesso un grande dono di capolavori qualora fosse stato istituito un pubblico edificio capace di contenerli. Di tale promessa non esisteva prova scritta, né era possibile chiedere conferma a Samuel, oramai immobilizzato e privo di parola. Hamilton quindi cominciò a tempestare Rush Kress, che era succeduto al fratello quale capo della Fondazione, assillandolo senza tregua e recandosi persino a Tucson in Arizona, dove la famiglia Kress si trovava in vacanza. Fu lì, durante una cena, che l'ebbe vinta. Un commensale citò per caso un versetto della Bibbia, e venne redarguito da Hamilton, che, sottolineando un errore nella citazione, continuò recitando il seguito per molti minuti. Alla domanda di Rush sulle cause di tale conoscenza, Hamilton rispose di conoscere a memoria tutta la Bibbia, Antico e Nuovo Testamento; e poiché i presenti erano scettici, portata una copia dei Sacri Testi, si constatò che, qualsiasi pagina si aprisse, dal primo versetto delle Genesi all'ultimo dell'Apocalisse, egli era ca¬ pao Kdlevatocn(llaanBts(sMdFmdfsiupudmpgAcmmscddmdiipsAddC pace di recitarlo senza intoppo o limite. Fu così che Rush Kress venne persuaso di concedere il dono alla città di Raleigh: un uomo così non poteva certo mentire. Ma chi era Cari W. Hamilton? Nato nel 1886 in un piccolo villaggio della Pennsylvania, e rimasto orfano di padre (la madre si sosteneva facendo la lavandaia) era stato avviato ad un duro e precoce lavoro nelle fonderie di Pittsburgh. Ben presto aveva attirato l'attenzione di un pastore protestante che prese a proteggerlo (onde la sua inaudita conoscenza delle Scritture), poi di Mrs. EH Harriman, la madre del celebre collaboratore di F.D. Roosevelt, Averell Harriman; e da lei fu inviato a studiare a Yale. Qui il giovane Hamilton si fece subito notare per il suo spirito intraprendente e la sua insolita capacità di far soldi; una delle imprese che ideò e portò avanti con successo fu una stireria-lampo per i vestiti degli studenti, di altre, non meno proficue, sarebbe lungo parlare. Nel 1915, quando la guerra impediva l'arrivo in America dell'olio di oliva con cui fabbricare il sapone, Hamilton pensò di estrarlo dalla mandorla delle noci di cocco, e si recò nelle Filippine; l'olio di copra fu il suo grande colpo, e divenne proprietario di una delle isole minori dell'arcipelago. Verso il 1920, Cari W. Hamilton (avevo dimenticato di dire che questo nome se lo era inventato, come spesso accade in America, quello vero non saprei dirlo) abitava in un lussuoso duplex al 270 di Park Avenue a New York, non lungi dalla Grand Central Station; e il suo appartamento era uno dei più straordinari Musei mai costituiti. A parte mobili, tessuti, sculture, oreficerie, alle pareti splendevano opere come la Annunciazione del Beato Angelico (ora a Detroit), la Crocefissione della bottega di Pier della Francesca (oggi a Princeton), il meraviglioso Giovane col berretto rosso del Botticelli (Washington), una superba Madonna di Fra Filippo Lippi (che anni fa mi capitò davanti, inattesa, in una banca di Zurigo), il San Giovanni Battista nel deserto, di Domenico Veneziano (Washington) e, soprattutto, uno dei più tonanti capolavori dell'arte italiana, il Baccanale degli Dei di Giovanni Bellini e Tiziano (Washington), eseguito per Alfonso d'Este, per non citare la Giuditta di Andrea Mantegna (Washington). Verso il 1927 (e cioè prima del venerdì nero) avvenne la catastrofe, e C. W. Hamilton si trovò a sedere nudo sul marciapiede. Perché? C'è chi dice che avesse garantito per un amico poi insolvente, ma altri sostengono che le cause furono diverse. Comunque, i dipinti furono venduti, uno dei principali acquirenti fu Sir Joseph (poi Lord) Duveen, che era stato in precedenza il loro venditore. Poi, dopo due o tre anni, la resurrezione; di nuovo Park Avenue, quadri come il Botticini e il Francia oggi al Metropolitan, e una splendida raccolta di primitivi russi; ancora il crollo, dal quale non doveva più risalire Hamilton mi fu grato, a modo suo, per il lavoro condotto in prò di Raleigh. Saputo, nel 1963, che ero a New York, mi invitò a cena, facendomi conoscere quella meraviglia che era The Palm dove si serviva soltanto coda di aragosta alla brace; poi mi condusse al suo alloggio, in uno squallido alberghetto della 38" East. La camera, poverissima, era ingombrata di scatole di cartone; ultimo avanzo dei passati splendori era una minuscola armatura, completa di cosciali e celata, per un bambino del Cinquecento italiano. ★ ★ Aprì una delle scatole: «Ecco una delle creazioni d'arte più alte di tutti i tempi», disse, e cominciò a stendere davanti a me degli enormi fogli di pergamena, miniati, con meticolosità da lente di ingrandimento, da un monaco russo, sfuggito alla Rivoluzione da un monastero sul Lago Ladoga. Ogni pagina era basata su uno stile diverso, con una ricca cornice che da (per così dire) neolitica, assira, egizia, greca, romana, barbarica, eccetera, giungeva a toccare lo stile del Rinascimento. All'interno della cornice era scritto qualcosa in caratteri del medesimo stile; ma nelle cornici, medaglioni di un realismo sfacciato mostravano sempre lo stesso giovanotto, in atto di giocare a tennis, ballare, guidare l'auto, leggere. «Era una creatura superba e meravigliosa — disse Hamilton — un incidente di auto l'ha fatta sparire». In breve, i fogli erano la regola, mai completata, di una confraternita segreta che Hamilton aveva creato, in memoria di un giovane atleta della Yale University, campione di tennis. Mi furono allora chiari molti punti, dal pastore protestante all'occhiata (rapidissima ma densa di significato) che il portiere portoricano mi aveva lanciato mentre entravo con Hamilton nell'alberghetto. Ma su questo argomento non si ebbe seguito, come non l'ebbe il tentativo di portare la conversazione su temi religiosi: lo chiusi immediatamente dicendogli che sono d'accordo con Voltaire, che la Teologia sta alla religione come il veleno al cibo. Cari W. Hamilton morì il 4 febbraio 1967; mi era venuto a trovare a Roma pochi mesi prima, pregandomi con le lagrime agli occhi di aiutarlo a vendere un dipinto che lui riteneva di Tiziano, in realtà una crosta senza valore. La parabola dell'astro era oramai giunta al tramonto completo; ed è per questa vicenda che, nonostante tutto, ho di lui un ricordo che, a pensarci, mi fa stare un po' a disagio, con una punta di rimpianto. Federico Zeri