Acrobazie canore per la Donna del lago di Massimo Mila

Acrobazie canore per la Donna del lago A PESARO, DIRETTA DA POLLINI, UN'OPERA POCO NOTA DI ROSSINI Acrobazie canore per la Donna del lago DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE PESARO — Quando si dice il progresso della cultura musicale! E' del mese scorso una polemica nelle pagine dell' «Espresso», dove un lettore siciliano se la prendeva con Giorgio Bocca per un articolo fortemente critico sul «ritardo della cultura e dell'informazione» nel Mezzogiorno. Enumerando le glorie della Sicilia il professor Santi Correnti, libero docente, medaglia d'oro dei benemeriti della cultura, ci infilava pure Rossini, tra Verga e Pirandello, Bellini, Archimede e Quasimodo. Per parte sua, Giorgio Bocca non faceva una piega ed accettando intrepido l'attribuzione inseriva Rossini tra gli attaccanti d'una sua divertente squadra di calcio delle glorie siciliane. Quando non avesse altri meriti il «Rossini Opera Festival» che si tiene da due anni a Pesaro dovrebbe almeno cacciare in testa a professori e giornalisti che Rossini non è siciliano, bensì marchigiano. (A meno che il loro errore sia geografico, non musicologico, e credano che Pesaro sia in Sicilia. Misteri «della cultura e dell'informazione»!). Ma altri meriti il «Rossini Opera Festival» ne ha. Tra l'altro quello di promuovere ogni anno, in collaborazione con la Fondazione Gioacchino Rossini, diretta da Bruno Cagli, la rappresentazione di un'opera tra le meno comuni in repertorio. L'anno scorso era stata la volta della Gazza ladra, quest'anno della Donna del lago, nell'edizione critica procurata da H. Colin Slim, che sta per veder la luce a cura della predetta Fondazione. Non che La donna del lago sia un'opera cosi ignota e misteriosa come vorrebbe far credere, con ingenua esagerazione pubblicitaria, il programma di sala. Né che «/a rivelazione di Rossini come compositore di opere serie» sia «avvenuta durante il trascorso decennio». Scherziamo! Se La donna del lago si rappresenta relativamente poco, ciò si deve: 1) alle solite, tremende difficolta vocali; 2) alla lunghezza wagneriana del primo atto (ottantacinque minuti, a andare di buon passo); 3) allo scialbo libretto del Tottola, tratto da un poema di Walter Scott con pessimo taglio narrativo, dove i personaggi si somigliano tutti e riesce difficile orientarsi fra i tre spasimanti di Elena, figlia del capo-clan Douglas d'An gus, ribelle al re di Scozia Giacomo V (meno male che il preferito di questi pretendenti, Malcolm, ha voce di donna e le graziose fattezze del mezzosoprano Martine Dupuy, cosi si riesce a distinguerlo). A questo difetto del libretto si deve l'innegabile sciattezza d'alcune arie e la monotonia di situazioni troppo prolungate. Altrimenti, da sempre La donna del lago viene ricordata come un insolito accostamento rossiniano alla poesia della natura di gusto romantico, e perciò un antecedente diretto del Guglielmo Teli. Inoltre alcuni studiosi ne hanno rilevato la singolare continuità che tende a saldare i pezzi chiusi in un flusso musicale ininterrotto. Non staremo perciò a ripeterci su ciò che ci è avvenuto di seri vere dell'opera in occasione di precedenti esecuzioni. L'edizione critica di Colin Slim ripristina i passi che Vito Frazzi aveva tagliato nella sua revisione, usata nel 1958 come apertura del ventunesimo Maggio Musicale Fiorentino, poi ripresa a Bologna, e nel 1970 a Torino in un'esecuzione pubblica della Rai, con una superlativa Caballé in stato di grazia. Per contro, naturalmente, elimina le farciture che Frazzi vi aveva introdotto, come se l'opera non fosse già abbastanza lunga, principalmente una scena d'insieme da Bianca e Fallerò nell'ultimo atto. Qui a Pesaro l'opera ha goduto di una buona esecuzione, sotto la direzione di Maurizio Pollini, su cui si appuntava fastidiosamente la curiosità di tutto lo snobismo musicale. Premesso che, per un buon musicista quale indubbiamente Pollini è, dirigere l'orchestra non è poi un fatto così anomalo come sarebbe correre il Giro di Francia o scalare la Nord dell'Eiger, bisogna dire che questa volta Pollini ha diretto assai bene, meglio di quanto ci sia accaduto di sentire in sede sinfonica, magari intralciato dalla necessità di suonare contemporaneamente anche la parte pianistica d'un Concerto di Mozart o di Beethoven. Dicono che abbia provato per un mese, e infatti è riuscito a portare a buoni risultati i giovani della Chamber Orchestra of Europe, e quelli del British Choir Abroad, un po' acerbo, ed impacciato nella pronuncia italiana. Ha impostato un'interpretazione scattante e piena di fuoco, ma anche capace di assottigliarsi nelle arguzie dell'embrionale polifonia rossiniana. Sulla scena, tutti gli nanne corrisposto a dovere: Leila Cuberli, protagonista, dolcissima come sa essere lei, ma anche grintosa e acrobatica quando occorre; Martine Dupuy, cosi misurata e intensa (con quale ! intimo fervore ha cantato nel second'atto, la splendida aria «Ah! si pera! ormai la morte», catastroficamente omessa nella vecchia edizione!). I tenori erano Philip Langridge, David Kuebler, Oslavio di Credico e Timothy Evans-Jones, sottoposti a prove di forza e d'agilità superiori alle possibilità di chiunque al giorno d'oggi. Il bravo Langridge ha sofferto tutto il soffribile in quel calvario dei tenori che è l'aria «Aurora! ah sorgerai», ma si è rifatto largamente con lo spirito e l'intelligenza di tante altre parti. E' venuto benissimo, giustamente sospinto da Pollini a foga verdiana, lo straordinario terzetto in cui due tenori (Langridge e Kuebler) si azzuffano come galletti, con le spade brandite e sbattendosi in faccia gli acuti, mentre la povera Elena cerca di separarli. Bene anche il basso De Corato e il soprano Maria Casadei, Da tutti la regia di Gae Aulenti ha ottenuto recitazione e atteggiamenti gustosi. La spericolata architetta di tante strutture ronconiane ha sentito che qui non poteva staccarsi dalla lettera delle indicazioni di scena, ed ha collocato l'azione in paesaggi alla Rousseau, col lago, la barca, credibili montagne e dirupi, alberi e fronde. Solo l'ultima scena soddisfa un po' meno: dovrebbe essere un interno («stanza nella reggia»), e invece non è né carne né pesce. Ma qui viene alla riscossa la regista, voltando in fiaba il lieto fine della vicenda, quando il Re si rivela per tale alia fanciulla, e rinunciando alle proprie pretese amorose le perdona il padre ribelle e la congiunge col suo amato Malcolm, ribelle anche lui. Avere intuito la convergenza della Donna del lago, melodramma serio, con la Cenerentola, opera buffa, é un colpo di genio critico che in molti le possiamo invidiare. Brava Gae! Successo fragoroso, sebbene solcato da qualche vigorosa fischiata all'indirizzo di Pollini e dei tenori. Si registra a titolo di folclore. Massimo Mila ! Rossini visto da Cariat

Luoghi citati: Bologna, Francia, Pesaro, Scozia, Sicilia, Torino