Il triste coccodrillo di Juffure di Francesco Fornari

Il triste coccodrillo di Juffure Il triste coccodrillo di Juffure Dopo il successo del romanzo e del telefilm di Alex Haley un'autostrada raggiungerà le povere capanne sul fiume Gambia Ma per ora poco è cambiato nella terra da cui, due secoli fa, gli schiavi partivano in catene per le piantagioni di cotone DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE JUFFURE (Gambia) — Sul vecchio e tremolante pontile di legno che si protende sul fiume Gambia, la sagoma scura e paurosa di un pescecane sembra prendere vita da mille ombre tormentate sotto il sole di mezzogiorno. Incappato nelle reti di un pescatore, lo squalo è stato finito.a colpi di lancia: dagli squarci nella carne cola ancora il sangue denso e vischioso. E' rovesciato su un fianco, nella bocca semiaperta si intravedono tre file di aguzzi denti triangolari. Il tempo sembra essersi fermato in questo piccolo villaggio africano, immerso nella foresta lungo le rive del Gambia. Due secoli fa altri pescatori si avventuravano sulle acque del grande fiume con le loro fragili piroghe e, quando uno squalo finiva nelle loro reti, lo uccidevano con la lancia o la mazza. Due secoli fa da questo villaggio veniva portato via in catene un ragazzo che era stato appena «iniziato» uomo dai vecchi della tribù. Il suo nome era Kunta Kinte. I mercanti di schiavi l'avevano sorpreso nella foresta, dove era andato alla ricerca di legna adatta a costruire un tamburo. Il 5 luglio 1767 dalla bocca del fiume Gambia la nave negriera Lord Ligonier salpò con 140 schiavi, diretta verso Annapolis, nel Maryland. Al suo arrivo in quel porto, tre mesi dopo, 42 schiavi erano morti per gli stenti e le percosse. Kunta Kinte e i sopravvissuti, rimessi in sesto, venivano venduti ai proprietari delle piantagioni di cotone. Questa storia è stata ricostruita da Alex Haley, uno scrittore negro americano che, dopo dodici anni di pazienti ricerche, è riuscito a scoprire la storia della sua famiglia, risalendo al suo bisbis-bisnonno, quel Kunta Kinte strappato da questo sperduto villaggio sulle rive del Kamby Balongo, il fiume Gambia. Scritto nel 1977, il libro «Radici» di Alex Haley è diventato subito un best-seller (da luinedl la nostra Rete 2, ne trasmette la replica della riduzione televisiva), ha turbato i sonni degli americani bianchi mentre i negri d'America (quasi tutti nipoti di uno schiavo) vi hanno ritrovato quel sentimento di «appartenenza», del quale furono deliberatamente privati, e il privilegio di un'identità nazionale, che gli fu negato per farne schiavi più docili. Trappola di fango Di tutte le polemiche che hanno accompagnato l'uscita del libro, qui a Juffure non è arrivata nemmeno l'eco. Il piccolo villaggio sepolto nella foresta conta appena una settantina di abitanti ed è ancora com'era due secoli or sono, con capanne circolari dai tetti di foglie a forma di cono. Ci si arriva percorrendo una difficile pista, resa ancora più impervia dai recenti monsoni che l'hanno trasformata in una trappola di fango in cui rischiamo più volte di restare impantanati. Il governo di Banjul, deciso a sfruttare a fini turistici la storia di Kunta Kinte, ha intrapreso la costruzione di una superstrada che, tagliando in mezzo alla foresta, collegherà, Juffure alla capitale, ma per ora l'unica strada è ancora la pista che due secoli fa percorrevano già gli antichi abitanti. Scimmie curiose si spenzolano dagli alberi per vederci passare, alcune più audaci si fermano ai margini della pista o corrono su e giù eccitate e urlanti. Al nostro arrivo tutto il villaggio accorre a salutarci: i bambini si affollano curiosi, gli adulti ci fissano in un silenzio inquietante. Il capo del villaggio, un ometto molto vecchio, dai lineamenti molto marcati e la pelle scurissima, con indosso una tunica grigia e una specie di bustina in testa, ci porge un quaderno. Vi sono raccolte le firme dei visitatori: la prima è quella di Alex Haley, seguono una dozzina di pagine scarabocchiate edpcpfsddertda turisti venuti da tutte le parti (ma la maggioranza prò- , viene dagli Stati Uniti), Cerchiamo di parlare col capo, ma Mbaye Diouf, il giovane senegalese che ci accompagna, non conosce il dialetto mandingo del vecchio negro e la conversazione è stentata e difficile. Un ragazzino che parla un po' d'inglese ci aiuta. Scopriamo cosi che il vecchio capo è anche il «griot» del villaggio, l'uomo che custodisce e tramanda le tradizioni orali della sua gente. Proprio questo «griot» dalla pelle avvizzita e l'occhio stanco ha fornito ad Alex Haley le prove dell'origine della sua famiglia: « All'epoca in cui i soldati del re giunsero, uno dei figli di nome Kunta uscì dal villaggio per tagliar legna e non tornò più». Il vecchio ripete la frase parecchie volte, in quel suo cantilenante dialetto mandingo e una strana emozione ci pervade mentre osserviamo gli abitanti che ci attorniano in silenzio. Da una capanna, che il nostro improvvisato interprete assicura essere quella di Kunta Kinte, esce un'anziana donna. «£' la nonna di Kunta», dice il bimbo. Arrivano i turisti La donna tiene un quadro fra le mani: incorniciata alla bell'e meglio, sotto il vetro incrinato vediamo la copertina colorata di una rivista americana su cui è ritratta accanto allo scrittore Haley. Una didascalia spiega che lo scrittore ha ritrovato a Juffure una sua parente, Binta, ultima di , scendente di una sorella di Kunta Kinte. La donna, a cui la celebrità di Haley e la fortuna del libro non hanno portato nessun vantaggio, accetta di farsi fotografare in cambio di pochi «dalasiss». Giriamo per il villaggio nella calura accecante del mezzogiorno. Davanti alle porte delle capanne le donne, col figlio più piccolo appeso alla schiena, frantumano il miglio pestandolo con la pesante mazza nei mortai di legno, mentre su fuochi improvvisati preparano il pasto. Laggiù, in mezzo al fiume, si vede l'isola di James, dove venivano ammassati gli schiavi prima di essere imbarcati sulle navi negriere. Chissà, anche Kunta Kinte vi trascorse qualche terribile giorno d'angoscia, incatenato ai ceppi come una bestia. Ritorniamo percorrendo un'altra pista che dovrebbe attraversare la foresta in cui il giovane Kunta venne catturato dai negrieri. All'improvviso un fragore tremendo: eruttando fumo sbuca fra gli alberi un gigantesco caterpillar, vediamo decine di uomini al lavoro, qui si sta costruendo la strada per i turisti che verranno a visitare il villaggio di Kunta. Su un albero, un cartello scritto a mano con una freccia: «crocodile». Andiamo a vedere: in uno stagno nei pressi di alcune capanne vive un coccodrillo. Un uomo si avventura a mezza gamba nell'acqua per stanarlo, un altro ci consiglia di suonare il clacson dell'auto 'perché quando vengono a portargli i pesci da mangiare, la sera, lo richiamano col suono del clacson e lui esce». Ma il coccodrillo non si fa vedere e noi ripartiamo con un gran senso di tristezza nel cuore: che cosa sei diventata. Africa, se per vedere un coccodrillo devi seguire le indicazioni stradali e richiamarlo col suono di una tromba? Francesco Fornari

Persone citate: Alex Haley, Kunta Kinte, Mbaye Diouf