Prima l'uomo di Vittorio Gorresio
Prima l'uomo Prima l'uomo Questa «Laborem exercens» attesissima enciclica di Papa Giovanni Paolo II potrebbe essere abbastanza facilmente definita come integrativa estensione del suo concetto della dignità della persona umana. E' appunto questo il tema dominante della sua predicazione, un riferimento costante cui egli si richiama, e che già tante volte ha segnalato nei suoi viaggi in tutto il mondo. Si può anche dire, per esprimere in modo netto e breve il senso profondo del pensiero di Papa Wojtyla che la dignità della persona umana fa tutt'uno per lui con il primato dell'uomo. Il primato dell'uomo è in relazione a tutte le strutture e le circostanze della vita associata: è cosi che Wojtyla cristianamente intende l'essere uomo. Ha propagato il suo concetto con l'ausilio di tutti i mezzi di comunicazione (o mass-media) che gli sono stati concessi con eccezionale larghezza durante tutto il suo pontificato, ed ora con l'Enciclica egli è arrivato a tradurre, o a proiettare, la sua visione generale della dignità dell'uomo su uno specifico piano, e precisamente IpdptduivmtPdrmmctmlIdaquello dell'uomo lavoratore, la borem exercens. A novant'anni dalla famosa enciclica «Rerum novarum» di Papa Leone XIII, questa seconda grande sortita in campo della Chiesa cattolica scesa a un serio confronto (serio — si intenda bene — testé operato dal più alto livello della gerarchia) dà motivo ad alcune considerazioni di metodo e di merito. Quanto al metodo è facile avvertire che anche la famosa «Rerum novarum» fu nel 1891 considerata in ritardo rispetto al passo dei tempi: e così oggi si sente dire che una «Laborem exercens» sarebbe dovuta apparire già da molti anni, vista la tormentata, contraddittoria, talvolta inafferrabile evoluzione — comunque sempre rapidissima — dei problemi sociali della nostra età. Ma se c'è da rispondere all'accusa di aver ritardato il suo intervento, Papa Wojtyla deve essere assolto. La Chiesa della quale è responsabile per diritto divino non è istituto che può affannarsi a correre dietro alle contingenze. Essa ha il tempo per sé, dalla sua parte (e si può ammettere che ne approfitti). Ma detto questo quanto al metodo, si deve aggiungere qualcosa circa il merito. A un primo esame (necessariamente affrettato e che ha bisogno di approfondimento ulteriore) si direbbe che entrambi i documenti sono espressione di una linea che nel corso di un secolo non ha subito variazioni. Già Papa Pecci si era provato nell'impresa — mirabolante per i tempi suoi — di far aprire gli occhi alla classe dirigente di allora (e in primo luogo di quella cattolicissima) che nuove cose erano ormai avvenute, irreversibilmente, nel mondo, e che pertanto delle «Rerum novarum» bisognava tener conto. Oggi la storia continua ad andare avanti nel medesimo senso e il responsabile della Chiesa cattolica deve prenderne atto. Il gran problema del nostro mondo concerne appunto l'uomo lavoratore («Laborem exercens») che ne è di fatto il protagonista, e se la Chiesa, come è giusto, si rifiuta ad avviarsi sul viale del tramonto, deve saper offrire una sua soluzione. Se noi vogliamo a questa dare un titolo prendendo atto dell'Enciclica di Giovanni Paolo II, il titolo potrebbe essere «Solidarietà». Certo, ha ragione il Papa quando afferma che la lotta di classe può degenerare in un assurdo conflitto civile e che l'esercizio del diritto di sciopero può condurre a un abuso della forza da parte di categorie organizzate: simili arbitrii dell'uomo lavoratore non hanno niente a che vedere con la dignità dell'uomo come la concepisce Papa Wojtyla: resta solo a vedere se la pratica di una cristiana e onesta solidarietà sia il farmaco, il rimedio giusto per far fronte ai nostri mali, e possibilmente eliminarli. Si può essere tentati a rispondere di no, ma è certo che nell'enciclica di un Papa non ci potrebbe essere niente di diverso da quello che si trova nella «Laborem exercens». Vittorio Gorresio
Persone citate: Giovanni Paolo Ii, Leone Xiii, Papa Pecci, Papa Wojtyla, Wojtyla
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