Gli avvocati accusano «Il segreto istruttorio è violato troppo spesso» di Clemente Granata

Gli avvocati accusano «Il segreto istruttorio è violato troppo spesso» Polemica con i giudici al convegno di Gardone Gli avvocati accusano «Il segreto istruttorio è violato troppo spesso» DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE GARDONE RIVIERA — • Giudice e avvocato. Due toghe il quesito. Una sola toga la soluzione. Il vecchio giudice che vi parla sente il dovere di ripetere la veracità di quella soluzione cui era pervenuto*, ha detto al 16.o Congresso nazionale forense il primo presidente della Corte di Cassazione, Mario Berri. Un invito all'armonia tra i due gruppi degli operatori del diritto. Se ne sentiva il bisogno perché in questo congresso di avvocati spira un'aria fortemente polemica nei confronti se non di tutta la magistratura, almeno di certi gruppi di giudici accusati in modo diretto o indiretto di arroganza di potere, dell'abuso di una discrezionalità che, del resto, la legge stessa o alcuni progetti di legge metterebbero a disposizione dei magistrati. Alle spalle di questa polemica c'è un diffuso senso di frustrazione della classe forense, al quale non sono estranei alcuni provvedimenti restrittivi della libertà personale degli avvocati presi dai magistrati nel corso di delicate istruttorie, c'è la sensazione che il diritto di difesa subisca graduali limitazioni, con possibili, gravi pregiudizi dello Stato di diritto. La denuncia contro il presunto strapotere della classe giudiziaria prende poi forme specifiche quando il congresso, che durerà sino al 16 settembre, affronta, come ha fatto ieri mattina, il tema centrale: «L'avvocato e il processo penale in rapporto al diritto d'informazione e al dovere di riservatezza». Gli avvocati hanno rimproverato a taluni magistrati l'eccessiva disinvoltura con cui violano il segreto istruttorio divulgando le notizie a favore degli organi d'informazione i quali imbastiscono, sulla base di esse, campagne a favore o contro l'imputato e contribuiscono in tal modo a turbare la coscienza del giudice che non dovrebbe subire simili influenze. Hanno lamentato l'uso distorto della «comunicazione giudiziaria» che, da strumento creato a garanzia di un possibile imputato, si è trasformato in strumento di accusa, peggio ancora in assurda anticipazione di condanna definitiva. Gli avvocati hanno ammesso che una qualche responsabilità c'è l'hanno anche loro, ma le colpe maggiori risalirebbero agli organi giudiziari ammalati di «protagonismo». Quale rimedio allora? L'avv. Gian Vittorio Gabri, presidente del Consiglio dell'Ordine di Torino (il quale, con l'aiuto dell'avv. Graziano Masselli ha preparato anche un'approfondita relazione di diritto comparato), ha detto di essere fautore di un rispet to integrale delle norme che regolano il segreto istruttorio: chi ha sbagliato sìa denunciato e paghi. Altri legali, come Vittorio Aymone di Lecce; Pietro D'Ovidio di Roma; Achille Melchionda di Bologna e il prof. Ferrando Man tovani hanno sostenuto tesi meno radicali e sottolineato l'esigenza di una parziale ri forma delle norme sul segreto istruttorio, la quale permetta al magistrato, quando non ci sia il pericolo di pregiudicare le indagini, di tenere conte renze stampa o di fare comu nicati «impersonali» alle agenzie di informazione. Problema complesso e di antica data, come si vede, dibattuto con grande passione da tutti gli avvocati che nel pomeriggio si sono succeduti al microfono e sul quale gli interessati vogliono che il Consiglio nazionale forense prenda posizione nel comunicato finale dei lavori. Ma è difficile per ora prevedere quale tesi prevarrà. Rimane invece sullo sfondo la questione della legge a favore dei pentiti. Se ne discute lungo i corridoi, molto raramente durante le riunioni ufficiali. Il fatto è che un argomento di tal fatta può creare una profonda frattura nel Consiglio forense poiché le posizioni risultano fortemente contrapposte, come dimostrano le dichiarazioni rila¬ sGBrdpcsbtideadpttSdtsp sciate ai cronisti dagli avv. Gian Vittorio Gabri e Vittorio Battista, di Roma. Il primo, difensore del terrorista Roberto Sandalo, ha detto: 'Quando la nave è in pericolo, ci si butta in mare con il vestito che s'indossa sema pensare al costume da bagno. Lo giustifica la situatone di emergenza. Così è per il disegno di legge sui pentiti: di fronte ad una situazione di estremo pericolo, può anche andar bene un provvedimento di carattere eccezionale e temporaneo che consenta, oltretutto, dì manifestare una sorta di 'riconoscenza' a Peci e a Sandalo per il contributo fondamentale dato alla lotta contro il terrorismo, fermo restando il fatto che bisogna saper garantire ogni tipo di si¬ curezza nelle carceri, altrimenti le dissociazioni si arrestano. Del resto, al di fuori delle leggi sui pentiti, lo Stato, in dodici anni, non ha saputo trovare altri rimedi contro l'eversione». L'avv. Battista ha rilevato, invece, che i rimedi, anche d'ordine legale, per combattere il fenomeno già esistono e che il progetto di legge in alcuni suoi aspetti può contribuire a snaturare lo Stato di diritto, senza contare che i tre anni di tempo concessi ai terroristi per dissociarsi e godere dei benefici della legge possono trasformarsi in una specie di «licenza per delinquere». La quale affermazione, per la verità, a molti avvocati è apparsa esagerata. Clemente Granata

Persone citate: Achille Melchionda, Ferrando Man, Gian Vittorio Gabri, Graziano Masselli, Mario Berri, Pietro D'ovidio, Roberto Sandalo, Vittorio Battista

Luoghi citati: Bologna, Lecce, Roma, Torino