Ex voto, Cappella Sistina dei poveri

Ex voto, Cappella Sistina dei poveri A RUMINI UNA MOSTRA DEI DIPINTI CHE LA CRITICA PALUDATA IGNORA Ex voto, Cappella Sistina dei poveri Nel Medioevo la cattedrale rappresentava l'intero corpo sociale, dal signore al mendicante - Ma già nel Rinascimento e definitivamente con la rivoluzione francese la comunità ecclesiastica si spacca - E nell'Ottocento c'è la fioritura degli ingenui dipinti dei miracolati, arte schiettamente popolare che nasce da una religiosità emarginata L'assessorato alla cultura del Comune di Rimini, assieme al Museo Civico e alla Biblioteca Gambalunga, ha organizsato una mostra, Figura, culto, cultura, il cui interesse evade dal giro strettamente locale. Vi è esposto, praticamente al completo, il corpus dei dipinti votivi della Diocesi di Rimini, cioè circa 130 ex voto che si scalano tra il Quattrocento e i nostri giorni, e che vengono presentati dopo un accurato intervento della Cooperativa Restauro e Conservazione di Imola. Un catalogo (che anche per riprodurre tutte le opere a colori resterà fondamentale nella letteratura sull'argomento) include saggi di quattro dei componenti il comitato scientifico, cioè Pietro Meldini, Angelo Turchini, Piergiorgio Terenzi e Alessandro Sistri. C'è da prevedere che la Mostra sortirà un'eco notevole negli ambienti specializzati, ma sarà ignorata o depressa dagli storici dell'arte del mondo ufficiale. Costoro (o la maggior parte di essi) ubbidiscono ad un concetto aulico,esclusivo, di casta, della storia dell'arte: gli ex voto dipinti rimangono per essi in una sfera marginale, quella della cosiddetta arte popolare, o addirittura del folklore, che va respinta dalle trattazioni serie, accademiche, scritte col pennino d'oro. E queste (anche quando si ammantano di velleitari panni anticonformisti) rimangono legate ai vecchi sotterfugi di chi fa gli interessi del potere effettivo: sfido a reperire, in una delle varie Storie dell'Arte oggi in vendita in Italia, un adeguato discorso sull'arte cosiddetta popolare, anche quando l'autore del testo appartenga alla troupe dell'opportunismo di sinistra. Non è che in Italia sia mancato chi, da molto tempo, si accorgesse dell'esistenza e dell'importanza della pittura di ex voto: basti pensare alle voci raccolte nel 1970 da Paolo Toschi nella sua Bibliografia degli Ex voti italiani, o all'ormai rarissimo Gli Ex voti italiani di Giuseppe Vidossi, uscito a Catania nel 1932. I contributi nostrani sull'argomento pur non essendo cosi numerosi o antichi come quelli tedeschi, svizzeri e anche francesi (alcuni dei quali risalgono alla metà del secolo scorso) costituiscono autentici atti di pionierismo, nati in una società le cui mosche cocchiere della élite colta vivevano (e vìvono) sul disprezzo e sull'emarginazione del popolo e della classe contadina. Oggi, l'argomento si ripropone sotto aperture più ampie e variate di quanto non fosse la raccolta e la de| scrizione dei testi dipinti (e quanti di questi sono andati dispersi negli ultimi decenni!). Ci si chiede, innanzitutto, quando nacque tale speciale genere di pittura: in questa Mostra riminese il Quattrocento è rappresentato da due pezzi, il Cinquecento da uno solo, mentre il numero sale per i secoli XVII e XVIII (rispettivamente sette e tredici), per sortire il momento di massima produzione dell'Ottocento, presente con ben settantacinque dipinti; ai nostri giorni si direbbe che l'uso degli ex voto dipinti sia in declino, dato che per tutto il Novecento non si sono reperiti che sedici numeri. La nascita In effetti, questo diagramma cronologico è ali'incirca lo stesso che si conosce per altri luoghi, e fa nascere il sospetto che l'azione del tempo sia la causa della rarità di esemplari quattrocenteschi e della totale mancanza di prodotti più antichi. E questo è ben possibile, non potendosi escludere che molti, anzi moltissimi ex voto dipinti siano andati persi a causa della loro veneranda età; tuttavia ci sono buoni motivi per ritenere che essi non esistessero (o che la loro presenza fosse minima) per quel che riguarda il Tre e il Duecento. Personalmente anzi credo che la nascita dell'ex voto dipinto cosi come lo conosciamo avvenga nel Secolo XV, e per ragioni diverse, sociali, religiose, economiche e tecni¬ che; questo è anzi uno dei casi in cui l'indagine storica deve far ricorso al marxismo come uno strumento insostituibile. La nascita della tavoletta dipinta, relativa ad un miracolo della divinità o del Santo protettore, avviene in corrispondenza del declino dell'affresco votivo, l'intonaco dipinto steso sulla parete della chiesa o del santuario, e che celebra l'intervento dell'autorità miracolosa mettendo bene in evidenza il nome dell'offerente e, quasi sempre, lodata. Di questi affreschi sono spesso piene certe chiese del Trecento, ma un'indagine rivela che, a partire dalla metà del secolo XV, essi si ritirano verso la campagna. Gli edifici sacri delle città cominciano ad escluderli, sia per la mancanza di spazio, sia soprattutto per il sorgere di una classe borghese urbana che prende sotto la sua tutela chiese ed oratori importanti del centro cittadino: si pensi a Firenze, e al rapporto delle dinastie dei Rucellai o dei Pucci con Santa Maria Novella o con l'Annunziata. C'è poi la dicotomia della religione, che ora (e qui il discorso sarebbe troppo lungo) si spacca in religione colta e religione popolare; nel Medioevo una tale frattura non esisteva, e la Cattedrale rappresentava l'intero corpo sociale, dal signore all'ultimo mendicante, cosi come l'offerta votiva del potentato rifletteva nella totalità la pira¬ mpicppnlgeapcfcp mide formata dal vertice del potere e dai suoi soggetti. Nel Quattrocento si assiste invece all'affermarsi delle cappelle gentilizie, sotto il patronato di una dinastia particolarmente fortunata nella politica o negli affari: la massa anonima sposta altrove le sue pratiche religiose. C'è poi il fatto tecnico ed' economico legato alla pittura ad olio, infinitamente più rapida e meno costosa dei procedimenti a tempera o ad affresco; e le tavolette dipinte cominciano ad affermarsi in parallelo al diffondersi di tale nuovo procedimento, che abbrevia spese e tempi. Beninteso, non sono mai mancati (dall'antichità classica in poi) ex voto sotto forma di oggetti, in metallo, terracotta, o in cera, spesso deperibili; ma qui si parla di dipinti e non di manufatti come se ne fabbricano ancora oggi in tutto il bacino mediterraneo. Ci sarebbe anzi da effettuare una curiosa ricerca sul rapporto tra ex voto dipinti (o di altri tipi) e il Concilio di Trento; ma non vorrei annoiare il lettore sull'esito di un'indagine del genere. Merita invece sottolineare l'enorme diffusione che il tipo che ci interessa sortì nell'Ottocento: perché? Si deve rispondere rammentando gli effetti della Rivoluzione francese, e l'affermarsi di una classe media che impose le proprie finalità anche ai fatti della religione; chi abbia visto le messe domenicali in certe chiese di Roma (ad esempio San Roberto Bellarmino) con il loro show di elitismo classista e di fasto eco* nomico, comprenderà cosa voglio dire. Classismo E l'Ottocento è anche il tempo in cui le città si dividono in quartieri per bene e in quartieri popolari (una spaccatura che non era mai esistita in precedenza), l'epoca cioè delle zone di villini e di borgate, secondo una topografia classista inedita, ripetuta anche nei luoghi di svago estivo o invernale, quelli scelti per la villeggiatura, dove si sono ripetuti gli schemi della città, con i suoi riti sociali e simbolici. E' a questo punto che la religiosità popolare, sentendosi emarginata ed esclusa, trova compenso nelle pitture votive, donate a santuari speciali, che ora vengono ad assu¬ mere un ruolo in precedenza assai meno cospicuo. Il momento più intenso delle tavolette votive coincide con quella speciale struttura religiosa che riflette il tipo di concezione sociale all'opposto dell'estrema mobilità del tessuto socio-economico proprio ai Paesi protestanti di lingua anglosassone. Ci sarebbe poi da indagare se esista un rapporto tra l'ex voto figurativo ottocentesco e la fortuna del costume locale, che in molti luoghi viene acoincidere nel tempo. Sotto l'aspetto più strettamente figurativo, le tavolette votive sono di grande interesse, anche se apparentemente monotone; spesso mostrano singolari esempi di spiazzamento, come quello dell'Aurora di Guido Reni che appare in un esemplare del 1923 a Villa Verucchio, sollecitato da un incidente di auto. Del resto, grandi artisti non disdegnarono dì eseguire opere del genere; ne rammento una, attribuita al Pordenone, che fu nella Collezione di Vittorio Cini a Venezia, o un'altra, splendida, dovuta a Gian Domenico Tiepolo e che passò nel 1979 in un'asta da Christie a Londra. Il rapporto tra ex voto dipinti e arte colta mi fa pensare alle Variazioni su una filastrocca del musicista ungherese Ernst von Dohnànyi, morto nel 1960, dove il motivo base (una sorta di ninna nanna popolare) suonato al piano con un dito solo, si trasforma in una successione di brani colti, nello stile di Brahms, Richard Strauss, Dukas, divenendo di volta in volta valzer, marcia, passacaglia, fuga, e così via. Dohnànyi eseguì questo concerto come pezzo di bravura, di ironico divertimento; ma credo che esso nasconda una profonda verità, carne è la stretta interdipendenza tra arte high-brow e arte popolare, tra due poli cioè di un'unica sostanza che in nessun modo può essere considerata a settori, tonto meno isoiati, meno che mai nell'esclusione reciproca. Federico Zeri $rdm RiciVkVa ii*v\* m^.tf .ìiduWi _ Un ex voto del 1923. Il «pittore» vi ha inserito r«Aurora» di Guido Reni, trasformandola in angelo con l'aggiunta delle ah'