In bicicletta alla conquista del Cairo di Giuseppe Mayda

In bicicletta alla conquista del Cairo QUARANTANNI FA, NEL DESERTO, IL CROLLO DELLE ILLUSIONI FASCISTE In bicicletta alla conquista del Cairo Al Cairo, nell'agosto '41, le azioni di Rommel erano alle stelle. Come riferiva il Sunday Times, nei bar, nel souk, nella hall del Continental e nei saloni dello Shepheard's i marchi andavano a ruba e anche le lire italiane erano ricercatissime ; al Mohamed Ali Club, che rifiutava i pagamenti in dollari, la domanda ricorrente era: «Quando arriva Rommel?-. Questo nome risuonava cosi sinistramente alle orecchie dei soldati inglesi che Auchinleck, comandante in capo del Medio Oriente, era costretto a inviare una circolale agli Stati Maggiori lamentando che Rommel fosse ormai considerato una specie di «stregone o spauracchio»: -Desidero usiate tutti i mezzi possibili, scriveva, per dissipare l'idea che Rommel rappresenti qualcosa di più di un comune generale tedesco-. In realtà il «comune generale tedesco* era considerato carta vincente. Giunto in Africa a febbraio s'era trovato davanti un esercito italiano disfatto la cui ritirata — anche per colpa del pavido Graziani — era spesso degenerata in fuga. Rommel aveva rior¬ ganizzato il fronte e occupato el-Agheila, Mar sa el-Brega e Agedabia. All'inizio di aprile, muovendosi di sorpresa, s'era impadronito di Bengasi e Derna sicché a giugno — nei giorni stessi in cui Hitler scatenava l'attacco all'Urss — Cirenaica e Marmarica erano tornate in nostre mani. Una cosi clamorosa serie di successi — anche se nel fianco della riconquista italo-tedesca era rimasta conficcata la spina di Tobruch che tuttora resisteva — coincise con l'unico momento della seconda guerra mondiale in cui l'Italia tentò di mettersi all'altezza dell'alleato attraverso un piano di riorganizzazione generale che Cavallero aveva articolato in due punti principali: il potenziamento delle forze armate e il miglioramento dei mezzi bellici, a cominciare dai corazzati. Quindici divisioni Mussolini — che Hitler, ancora nell'incontro del Brennero del 2 giugno, aveva tenuto all'oscuro delle intenzioni verso la Russia — covava infatti un progetto ambizioso: quello di arrivare non solo al Cairo grazie alla spinta di Rommel ma addirittura — come rivela Lucio Ceva in un bel saggio appena uscito dall'Utet, Le forze armate, undicesimo volume della «Storia della società italiana dall'Unità a oggi» — di riprendersi tutta l'Africa Orientale: nella ••riconquista dell'Impero- (cosi la definiva il sottocapo di Stato Maggiore, Guzzoni. nell'appunto del 18 giugno '41 del Comando Supremo) dovevano essere impegnate «quindici divisioni di cui cinque tratte da quelle che avevano operato in Egitto e dieci appositamente approntate in Italia-. L'esercito italiano, fascistizzato, era un esercito di caserma la cui preparazione consisteva soprattutto nell'ordine chiuso e nelle prove di parata, guidato da uno Stato Maggiore che aveva ufficiali superiori come Soddu il quale, discutendo col generale Mondini che lamentava la nostra scarsezza di mezzi corazzati, troncava le sue obiezioni dicendogli: -Caro amico, non si preoccupi: quando nella l'ita c'è un piatto di pastasciutta e un po' di musica non occorre altro- (ben diverso, dunque, dal piccolo ma ordinalissimo esercito piemontese che. fin quasi all'Unità, aveva conservato alcuni connotati «prussiani» come quello di reclutare regionalmente la fanterìa e che, se non aveva avuto Clausewitz, poteva vantare il De Cristoforis e il Pisacane e anche un antesignano della guerriglia partigiana del 1943-1945. Bianco di Jorioz). // fante omnibus Con Cavallero gli ufficiali di complemento vennero sottoposti a selezioni più rigorose e una esigenza di specializzazione fu avvertita da Roatta e codificata col suo ordine del giorno del 15 giugno '41 in cui proclamava -il fante omnibus non serve più-. Ma i sogni di prestigio rimasero tali perché non potè essere risolto il problema di fondo: l'industria bellica, costretta dal regime all'autarchia, non fu in grado di appoggiare concretamente questo sforzo e i comandi affrontarono il nodo della mancata motorizzazione costringendo la fanteria a marce estenuanti, con un aumento della tappa giornaliera da 18 a 40 km, oppure ricorsero a grotteschi esperimenti come quello degli autocarri che trasportavano gli zaini e poche biciclette ai fanti che se ne dovevano servire a turno (con tutta serietà lo Stato Maggiore definì la trovata come «picco/o motorizzazione-). Sul momento di ricerca di nuove forze e di diversa preparazione di ufficiali e soldati (ma non si dimentichi che, in tutta la guerra, sono rarissime le pagine del soldato italiano all'attacco mentre le più numerose e le più belle sono quelle in cui si difende e fa «muro») influì negativamente, soprattutto, l'andazzo di regime, quello di Mussolini che subordinava alla sua personale posizione di capo la politica militare e quello degli alti comandi che si consideravano (ed erano, grazie al fascismo) casta intoccabile. Una spietata selezione — scrive Lucio Ceva — aveva fatto si che nel 1917-1918 il gruppo dirigente dell'esercito fosse formato in prevalenza da generali cinquantenni che. due anni prima, erano colonnelli. Nel 1940-1943 invece, nonostante le sconfitte, il vertice dell'esercito fu sempre composto da sessanta-sessantacinquenni: Mussolini silurava i capri espiatori e li sostituiva con personaggi della stessa età e dello stesso ambiente. Ma furono siluramenti di un tipo speciale: sia quelli di Visconti Prasca. Soddu e Graziani. sia le varie successioni al vertice (Badoglio. Cavallari. Cavallero, Ambrosio) dipesero in realtà solo dal bisogno di Mussolini di salvare agli occhi del pubblico la propria figura di capo militare. Mancò anche, nel Comando Supremo, quella severità che era stata una delle doti precipue dell'esercito piemontese: è ben vero che, nella seconda guerra mondiale, cadde un alto numero di ufficiali superiori italiani (68 generali e 84 colonnelli dell'esercito: 10 ammiragli e 30 capitani di vascello: 11 generali e 22 colonnelli dell'aviazione, compresi, in queste cifre, i fucilati dai tedeschi dopo 1*8 settembre e i deportati in Germania) ma. per contro, vi furono decine di generali che nessuno chiamò a rispondere, ad esempio, della rotta della Sforzesca dell'agosto '42: e questo perché la nostra casta militare pretendeva di sostenere comunque 1'.onore» italiano agli occhi dell'alleato. Giuseppe Mayda