La trasgressione che divenne colore
La trasgressione che divenne colore UNA GRANDE MOSTRA VENEZIANA RACCONTA LA STORIA DEL MANIERISMO La trasgressione che divenne colore Nel '500 le inquietudini profonde della società europea, dalla Riforma alla rivoluzione copernicana, si rispecchiano nell'arte - Un filtro fantasmagorico si interpone fra l'artista e la natura, spezza i tradizionali rapporti cromatici e una radicale disubbidienza alle regole classiche origina un nuovo modo di dipingere - Tiziano, El Greco, il Tintoretto sono i nomi più grandi di questa rassegna NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE VENEZIA — Terribili fantasmi percorsero l'Europa nel '500, ma vitali, creativi del futuro: il dubbio critico sui rapporti fra terreno e divino, fra uomo e natura; il dubbio spirituale dei Riformatori, il dubbio scientifico di Copernico. L'artista (solo un secolo prima, massimo o minimo che fosse, chiuso nella categoria del •servile» e del •materiale») divinizzato — e quindi, in casi conflittuali, coerentemente demonizzato —; il vertice olimpico, l'età dell'oro, la rinascenza delle arti antiche e classiche e delle loro 'regole» (Leonardo, Michelangelo giovane, Raffaello, Dilrer, ma anche Correggio, Giorgione, Tiziano giovane), e il suo specchio deformato e deformante, di eterodossia, trasgressione e dubbio, quindi di progresso: il Manierismo. Lo ha già ricordato Settis su • Tuttolibri», ma è opportuno ribadirlo: austeri, accademici studiosi d'arte operanti nel crogiolo culturale viennese fra Ottocento e Novecento seppero accorgersi che lo studio dell'arte antica, medioevale e moderna non poteva ignorare, anzi si arricchiva di strumenti e meditazioni dalla considerazione delle rivoluzioni, delle rotture dell'arte contemporanea dall'Impressionismo all'Espressionismo, e del trionfo delle sperimentazioni oggettive e soggettive. Nacque allora la storicizzazione del -manierismus», per caratterizzare la versione eterodossa dell'aureo Rinascimento. Quegli studiosi austriaci, contemporanei di Freud e di Max Weber, partecipi comunque di una cultura erede del grande trauma della Riforma e attenti in ogni senso ai problemi e ai linguaggi della contemporaneità, puntarono decisi allo 'spirito» del fenomeno storico-artistico da essi stessi individuato e ai suoi aspetti-chiave. Al di là della formalità di implicazioni e trasmissioni linguistiche (pur fondamentali in un fenomeno altrettanto ricco di alchimie dell'intelletto quanto di -pathos») ricercarono e riscoprirono da pionieri personaggi emblematici: Parmigianino, Tintoretto, El Greco. Puntarono dunque, nel momento stesso di individuazio¬ ne, sul Manierismo dell'Italia Settentrionale (El Greco •cretese-veneziano» come preludio alla Spagna, e solo in transito nella Roma dell'estremo Michelangelo). I successivi studi italiani rimodellarono le genealogie storiche e linguistiche, e individuarono le sottili e meno sottili crisi e contestazioni negli anni 1520 all'interno del sistema michelangiolesco fiorentino e del sistema raffaellesco romano, e seguirono il diffondersi di quella .morbilità» tutta intellettuale (spesso lacerante, ma con grazia ed eleganza) susseguente alla •diaspora» verso Nord e al di là delle Alpi, dopo il sacco di Roma del 1527. In questa chiave, la -crisi» di Tiziano intorno al 1540 (e siamo agli esordi di Tintoretto e di Andrea Medulic detto Lo Schiavane, e nell'imminenza della svolta parmigianinesca di Jacopo Bassano) può apparire, almeno in parte, una •conseguenza culturale», una tappa storica della Maniera italiana. La grande mostra Per la storia del Manierismo a Venezia che s'inaugura oggi a Palazzo Ducale credo dimo-l stri, non l'opposto, il che sarebbe antistorico, ma una sorta di flagrante, drammatica autonomia. Autonomia di svolta, di dubbio integrale, di scatenamento del fantastico emozionale e drammatico (fino alle radici profonde del linguaggio visivo) rispetto alla densa naturalità, all'equilibrio di rapporti fra uomo e spazi naturali di luce e colore, fra simbolo intellettivo e realtà fisica, nato con il vecchio Giambellino, con Giorgione, con il primo Tiziano e poi con i seguaci della sua •dittatura» in Venezia dal secondo al quarto decennio del '500. Se un appunto può farsi (ma è un appunto emozionale, non scientifico) alla mirabile fatica di Rodolfo Palluechini, che corona decenni di attenti studi sul Manierismo veneto, è quello di non aver tratto più radicali conseguenze da una realtà che si o i i i o à i l impone in molte, quasi tutte le opere raccolte da Parigi e da Vienna, da Londra e da Varsavia, da Madrid e da Praga e da Amsterdam: un risultato oggi quasi impensabile in Italia. E' certo giusta e scientificamente corretta la presenza iniziale di approdi del linguaggio tosco-romano a Venezia nel quarto decennio: Francesco Salvia ti, GiuseppePorta detto il Salviati (deliziosamente esemplare di acidità cromatiche, di avviluppamenti compositivi nei quadri attribuiti Caduta della Manna e Resurrezione di Lazzaro), Giorgio Vasari. Ma già in questa parte iniziale, le pur limitatissime presenze di Paris Bordon e di Giulio Licinio dimostrano l'assoluta diversità, di segno e di significato, dei problemi di Manierismo •dentro» la tradizione veneziana, e soprattutto tizianesca. Poi, di colpo, il Caino che uccide Abele, per la prima volta disceso dopo il 1935 dal soffitto della Sacrestia della Salute, all'inizio della •crisitizianesca e il Martirio di San Lorenzo, appositamente restaurato, al suo culmine, letteralmente spazzano via ogni problema di ascendenze dall'esterno, di muscolosità o avvitamenti michelangioleschi, di nuove scelte di disegno e di luce costruttiva rispetto al classico-naturalistico -colorismo tonale». Il punto è altrove, e l'aveva chiaramente identificato vent'anni fa Sergio Bettini, giustamente citato dal Pallucchini nell'introduzione al catalogo: rispetto a Firenze e Roma c'è «un comune discredito per la rappresentazione come legge» e quindi una «alterazione... nelle strutture linguistiche»; ma ciò che nei toscani è semplice alterazione «nel rapporto tra disegno e idea dello spazio», quindi un fatto primariamente formale e intellettuale, nei veneti è alterazione, e direi alterazione tra apocalittica e fantasmagorica, del rapporto «tra colore ed esperienza del mondo»; quindi un fatto primariamente emozionale ed esistenziale, che volta integralmen te pagina. Dopo questo punto focale della mostra, la trasgressione trionfa, in modi variatissimi. Andrea Schiavone, pittore di disossati fantasmi sulfurei, fino al culmine folle della Adorazione dei Magi concessa dall'Ambrosiana di Milano, sarà per molti una grossa scoperta. Subito dopo, in questo contesto, diviene tangibile il sottile ma lucidissimo filtro che il Veronese interpone tra se stesso e -la natura» e che presiede alla gamma di alchimie fra forj ma, colore e vibrazione di luce fantastica; salvo poi scoprirsi nella fantasmagoria, più drammatica che trionfale, della Adorazione dei Magi da Santa Corona a Vicenza o nell'eletto patetismo controriformistico del Crocifisso di San Lazzaro dei Mendicanti. La scelta dei Tintoretto, prototipo e pietra di paragone del Manierismo veneziano valorizza la fondamentale scoperta di Arcangeli, la Disputa con i Dottori del Museo del Duomo di Milano (mentre appare un gesto puramente • filologico» la presentazione dell'impacciata Madonna e Santi in collezione londinese, datata 1540); e trae dal buio di chiese veneziane opere straordinarie come la Piscina Probatica di San Rocco e /Ultima Cena di San Trova so, dove U giovane servente all'estremità di sinistra parrebbe quasi, in persona, El Greco passato dalla bottega di Tiziano a quella di Tintoretto. Dopo la sala stupenda in cui il Bassano, intellettuale di provincia che riveste i suoi contadini di incredibili snobismi captati dalle stampe del Parmigianino, trae dalla -crisi» una scala cromatica ribaltata di 180 gradi rispetto al - tono giorgionesco», esplode la suprema fantasmagoria, dall'Oriente all'Occidente, del Greco giovane. Finalmente molti potranno essere partecipi della minuscola -visione» (in tutti i sensi) dell'altarolo del Monte Sinai già al castello del Cataio presso Padova, e oggi al Museo di Modena. E molti stupiranno di fronte a due ritratti quasi senza paragoni (forse il vecchio Carlo V di Tiziano a Monaco), il Clovio del Museo di Capodimonte a Napoli e il presunto Cardinale di Lorena in una collezione di Zurigo. Fanno corona i nordici, creativamente coinvolti nel Manierismo veneziano. Lambert Sustris, Paolo Fiammingo (di cui stupisce l'assenza del bel Paesaggio con boscaioli del Museo di Vicenza), Ludovico Pozzoserrato, e un tardo affascinante -sconvolto», Pietro Marescalchi. Marco Rosei «La visita dei pastori» di Jacopo Bassalii (appartenente a collezione privata)
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