Quattro colossi giapponesi vogliono i robot di Torino

Quattro colossi giapponesi vogliono i robot di Torino La Dea in trattative per cedere alcuni suoi brevetti Quattro colossi giapponesi vogliono i robot di Torino MILANO — Questo volta il 'miracolo» non è dei giapponesi, ma di una piccola azienda di Moncalieri, la Dea, che, dopo aver venduto sei mesi fa il brevetto di un suo robot (il Pragma A.3000) al colosso americano General Electric, ora si appresta nientemeno che a fare il bis proprio con i giapponesi, che di robot sono i maggiori costruttori del mondo. L'affare è vicino» e la Dea, come hanno annunciato in questi giorni i giornali di Tokyo, sta «trattando con quattro gruppi nipponici» e si riserva di «scegliere quale dei quattro è il più idoneo». L'ha detto ieri, con una punta d'orgoglio, il presidente stesso della Dea, Luigi Lazzaroni, durante una conferenza stampa cui erano presenti giornalisti di mezzo mondo. Lazzaroni ha colto anche l'occasione per presentare «un nuovo sistema Dea» che sarà esposto a metà mese alla Fiera di Hannover: è un nuovo robot 'in¬ telligente», chiamato Bravo che, collegato a una «unita rivoluzionaria di elaborazione dati», denominata Sage, capace di diagnosi automatiche sofisticatissime su intere linee produttive, e al Pragma 3000, un robot di montaggio tra i migliori che esistano al mondo, costituiscono i «mattoni fondamentali» di quella che i tecnici chiamano {'«officina del futuro», inpratica una fabbrica che fa tutto da sola, con costi molto bassi e una produttività altissima, come stanno già sperimentando in Giappone. Detta così quello Dea può persino sembrare un caso limite. Ma la sua storia ha ben poco di fantasioso. Messa su quasi per scommessa 18 anni fa da due ingegneri Fiat e da un ex panettiere, Luigi Lazzaroni, che si era dedicato con successo all'importazione di flipper elettronici dagli Stati Uniti, la Dea (Digital electronic automation) a più riprese, per mancanza di fondi, ha rischiato di finire in mani straniere. Ma Lazzaroni non ha mai ceduto e oggi la Dea non è solo un'azienda che va a gonfie vele, ma è lanciatissima su tutti i mercati mondiali. Con 702 dipendenti in Italia (di cui 240 laureati e diplomati) e altri 110 nelle filiali aU'estero (Detroit, Tokyo e Francoforte), la Dea ha raggiunto ormai un fatturato di 35 miliardi, per l'85 per cento derivante da esportazioni; controlla il 40 per cento del mercato mondiale delle macchine tridimensionali di misura (che vengono commercializzate anche da Pechino); si batte alla pari, con tecnologie spesso vincenti, con colossi del calibro della Zeiss, della Brown and Sharpe e della Bendix; si è affacciata con prepotenza sul mercato dei robot, riuscendo persino a venderne le licenze, come detto, alla General Electric e ai 'Samurai» giapponesi. Ieri, con molta semplicità, Lazzaroni si è presentato davanti alla »stampa estera», che all'azienda di Moncalieri ha dedicato una serie interminabile di articoli, per dire che Davide è ancora pronto a battere Golia su un terreno molto sofisticato: quella dell'Officina del futuro» con due robot (il Bravo e il Sage) che non solo sono in grado di «coprire da soli il 90-93 per cento della produzione di una qualsiasi linea di montaggio», ma anche di dar «vita a una linea di produzione totalmente autonoma, capace persino di farsi l'autodiagnosi», cioè di «localizzare il punto del processo produttivo che sta degenerando, creando scarti o riducendo la qualità produttiva», ma anche di «farsi una vera e propria terapia, cioè di intervenire tempestivamente con provvedimenti correttivi». c. roc.

Persone citate: Brown, Golia, Lazzaroni, Luigi Lazzaroni, Sharpe