Rizzoli, da testimone ad accusato? di Marzio Fabbri

Rizzoli, da testimone ad accusato? Con Tassan Din e altri dodici deve rispondere di esportazione di valuta Rizzoli, da testimone ad accusato? DAL NOSTRO CORRISPONDENTE MILANO — Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din (che si sono visti ritirare il passaporto perché coinvolti in un'indagine su esportazione di capitali) dovrebbero essere al più presto convocati al Palazzo di Giustizia, con mandati di comparizione, per essere interrogati per la prima volta nella veste di imputati; lo scorso 14 maggio avevano riferito la loro versione dei fatti come testi. Le loro prese di posizione dei giorni scorsi hanno ricevuto ieri una secca smentita da parte della Procura generale della Repubblica, retta in assenza del titolare dal sostituto Mario Daniele; se si aggiunge al testo una dichiarazione rilasciata negli ambienti giudiziari secondo cui «a Milano non abbiamo mai ritirato il passaporto a nessuno per una esportazione di dieci milioni» si raggiunge la sensazione che, quanto Rizzoli e i suoi legali hanno fatto sapere, potrebbe non essere tutto. Il comunicato emesso dalla Procura generale risponde punto per punto al lunghissimo telegramma scritto dagli indiziati lunedi con il quale, oltre a difendersi, l'editore e il suo amministratore delegato sollevavano dubbi sull'operato del sostituto Luca Mucci, titolare dell'inchiesta che li riguarda. Prima risposta immediata dell'autorità giudiziaria è stata l'ostentata archiviazione, dopo averlo letto, del telegramma appena questo è giunto. Innanzitutto, scrive il sostituto procuratore generale, 'l'assegno circolare per dieci milioni costituisce il primo indizio che ha consentito di approfondire le indagini iniziate il 7 marzo 1978» e non, come dice Rizzoli, l'unico punto oscuro della vicenda. Aggiunge l'editore che l'operazione concerne assegni per due miliardi e trecento milioni di lire (e questo è pacifico per tutti), ma i giudici precisano: .Da un rapporto della Guardia di Finanza del 4 agosto 1981, pervenuto alla Procura il 20 successivo, è derivata l'imputazione di esportazione all'estero di due miliardi e trecento milioni». Ed eccolo qui il fatto nuovo del quale Rizzoli, Tassan Din e i loro legali non parlavano e della cui esistenza, almeno usando la logica, i cronisti si erano convinti. Si specifica infine al Palazzo di Giustizia che i due rappresentanti del maggiore gruppo editoriale italiano da tempo 'Conoscevano l'oggetto dell'indagine» e che il 26 agosto scorso è stata loro inviata comunicazione giudiziaria 'Contenente la trascrizioni integrale del capo di imputazione». Pochi minuti e giunge la replica degli interessati che insistono nel non avere ancora ricevuto il documento. La Procura generale conclude spiegando che «nessun documento è stato acquisito, o comunque utilizzato nell'in dagine, di quelli rinvenuti nel materiale sequestrato a suo tempo al signor Gelli od alla P2» e anche questo smentisce totalmente quanto affermato dai legali della Rizzoli. A questo punto appare chiara la dimensione dell'indagine che oltre ad accertare l'eventuale esportazione tende a conoscere nei dettagli l'operazione finanziaria che ha portato al guadagno dei 2 miliardi e 300 milioni per il Gruppo Rizzoli. I giudici, cioè, cercano di sapere perché la «Savoia Assicurazioni» (100 per cento Rizzoli) vendette alla .Spari in» (controllata dalla «Centrale») un pacchetto di titoli della Banca Mercantile di Firenze per poi riacquistarlo. La domanda cui si chiede risposta è: «JVon è che tutto fu organizzato per ottenere un plusvalore da esportare?». Che il denaro non sia mai uscito fisicamente dall'Italia appare pacifico in quanto si sospetta che per portare i soldi in Svizzera sia stato usato il collaudato sistema della compensazione di conti bancari dai due lati del confine. Da parte Rizzoli si insiste che sui 230 assegni circolari da dieci milioni di cui si tratta c'è chiarezza: un miliardo a Rizzoli; duecento milioni (come prestito) a Tassan Din; cento milioni a Nino Rovelli, presidente «Sarom», a saldo di pendenze personali su un suo conto privato italiano; 800 milioni alla Cineriz e duecento milioni all'avvocato Michele Lener, come compenso dell'intermediazione. Ma per il primo miliardo e trecento milioni, dicono alla Rizzoli, tutto è contabilizzato. Non proprio, si dice al Palazzo di Giustizia, forse per l'uscita questo è vero, ma per l'entrata? Infine i dodici nomi di personaggi sconosciuti entrati nell'inchiesta. Si tratterebbe di intestatari di altrettanti conti correnti sui quali sarebbero transitati, o finiti, gli assegni «interessanti». Marzio Fabbri

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