Spietata la scuola in Giappone di Luciano Curino

Spietata la scuola in Giappone COME AVVIENE LA DURISSIMA SELEZIONE CHE COMINCIA DALL'ASILO Spietata la scuola in Giappone Uno studio massacrante, una vera competizione: promosso solo uno su quattro - Medici e sociologi denunciano un «inquinamento scolastico» - Più di cento università nella capitale - Il sogno di ogni studente e delle famiglie è arrivare alla «Tokyo University», da dove esce la Classe dirìgente - Non bastano cinquanta milioni l'anno per frequentare la facoltà di Medicina DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE TOKYO — Finché non vanno a scuola questi bambini sono gioiosamente liberi e padroni di distruggere l'universo. Li vedi nei grandi magazzini che toccano tutto, buttano in aria, e nessuno che gli dica niente. Poi viene l'età della scuola, ami già quella dell'asilo, ed è come ai lavori forzati. Non c'è un al¬ tro Paese dove la scuola sia aspra, difficile, perfino crudele come in Giappone. Qui la lottaper la vita incomincia al «Kindergarten», a quattro o cinque anni, e la selezione è spietata. «Dall'asilo all'università la scuola giapponese ha struttura piramidale, con il vertice indiscusso della Tokyo University, dalla quale esco- no i leader di domani», dice padre Pittau, un gesuita sardo rettore della Sophia University. «Soltanto i migliori trovano posto negli istituti di maggior prestigio, che garantiscono l'impiego più qualificato. E' un sistema basato sulla competizione, lo stesso che si trasmette poi al mondo produttivo e commerciale». E' quella che chiamano «filosofia della bicicletta», se non pedali cadi. Non sono rari i suicidi di studenti, anche di quelli delle elementari. Si uccidono non per un esaurimento o per il surménage, ma perché superati da troppi compagni e consapevoli del fatto che «se non si va avanti nella scuola non si riesce nella vita». Il primo settembre è stata la giornata più. calda dell'anno, 35 gradi e il milione di studenti delle elementari e delle medie di Tokyo sono ritornati a scuola dopo la vacanza di agosto: tutti, anche quelli delle medie superiori, con la divisa dell'istituto. (Hanno un altro mese di vacanza aprile, e due settimane nell'inverno). Non sono state vacanze matte o spensierate, ma piene dì compiti, che valgono il primo voto sul registro di classe, ed è un voto che pesa Sei anni di elementari e tre di media sono obbligatori, gratuiti nelle scuole statali. La lingua è terribile da scrivere e da leggere, ma praticamente non ci sono analfabeti. Si entra a scuola alle otto, i più piccoli mezz'ora dopo, si esce alle 16,30 e si corre a casa con compiti che occuperanno il resto del pomeriggio, qualche ora dopo cena. Per di più, molti prendono lezioni private. Troppi bimbi e ragazzi «sciupano la salute sui libri» affermano medici e sociologi, denunciando un «inquinamento scolastico» grave quanto quello ambientale. Comunque, a scuola gli studenti fanno anche dello è a . i a * o a e e, a. i a a a o e di e è io eol o el e r ié sport: soprattutto baseball, e le ragazze pallavolo. Si boccia senza pietà. Soltanto uno studente su quattro passa l'esame. Una selezione forsennata e non c'è da meravigliarsi, è stato rilevato, che «essa generi una vera e propria "nevrosi da esami" e crei in taluni una "angoscia individuale", da isolamento, come l'ha definita uno scrittore, lasciando il giovane fin dalla più tenera età responsabile del suo successo e del suo destino». «La scuola, più ancora della casa, è il problema numero uno della maggior parte delle famiglie giapponesi», dice un italiano che sta a Tokyo e che ha la figlia che frequenta un istituto britannico. «Ci sono quelli che appena sposati già cominciano a risparmiare per lo studio dei figli che contano di avere. Per assicurargli le migliori scuole. Cioè quelle più dure, più selettive, che sono anche le più costose. Ma l'asilo migliore porta alla migliore elementare e cosi avanti fino all'università più prestigiosa, che garantisce la miglior carriera. Il figlio alla Tokyo University è il sogno di ogni padre». E di ogni madre. E' soprattutto lei, ossessionata dalla riuscita sociale del figlio, che si affanna a sistemarlo nella scuola «giusta*, e gli sta dietro negli studi, lo accompagna trepidante agli esami, perfino quando è alle superiori. Il figlio studente è un investimento che bisogna far rendere. Quando i figli sono due, tre, si sceglie quello sul quale puntare. Dopo la scuola d'obbligo, la media superiore, che è facoltativa ma che è frequentata dal 94 per cento dei ragazzi giapponesi. C'è scuola e scuola: per essere ammessi a quelle più severe, e più care, bisogna superare una serie di esami e di test attitudinali. Tre anni di «superiore*, o di più per bocciature, e finalmente l'università. Vi sono in Giappone 446 università (un centinaio sono a Tokyo) di cui cinquanta femminili. In particolare, 93 sono statali, 34 municipali, 319 private. Tutte hanno il «numero chiuso». Non è sufficiente la maturità, anche con il voto più alto, per accedervi, ma bisogna superare l'esame d'ammissione. Ogni ateneo ha il suo esame: tanto più difficile, quanto più l'istituto è prestigioso. La metà dei giovani giapponesi frequentano l'università, ma sono sì e no il venti per cento quelli che riescono a iscriversi alle statali, che contano di più e che costano di meno (sulle 700 mila lire l'anno). Arrivare alla To-dai, la Tokyo University vicina al Parco Ueno, è la massima ambizione di ogni studente del Paese e della sua famiglia. Ma, per il «numero chiuso*, ne sono ammessi soltanto tremila l'anno. I migliori in senso assoluto. Non i più ricchi, ma i più meritevoli: può accadere che vi entri il figlio di un operaio della Nissan e non il figlio di un direttore generale. Dalla To-dai escono le reclute della classe dirigente: quella pubblica e quella privata. La Tokyo University è in cima a tutte. Seguono le altre università statali, poi le municipali. Infine le private, e anche qui ci sono quelle d'alto prestigio, quelle così così, quelle di mezza tacca. Costano un occhio: tre milioni l'anno e anche più. Costa uno sproposito Medicina. Alle statali anche Medicina è sulle 700 mila lire l'anno come le altre facoltà, ma pochi sono i posti. Non tutte le private hanno Medicina e nessuna con più di cento, centodieci posti: frequentare questa facoltà costa 50 milioni l'anno, si arriva a 60 milioni. «Medicina è per ricchi», dice il preside della Sophia University. Dice il professor Bertoli, sociologo della «Sophia*. che in genere gli studenti preparano gli esami di ammissione per due o tre facoltà di un'ateneo e altrettanti per un'altra università, sperando che almeno uno gli riesca. «E' uno studio pazzesco. La competizione per entrare negli istituti che più contano è tremenda. Se si fallisce, si ripiega su università di minor prestigio». «Si giudica un'università da dove si impiegano i suoi laureati», dice il preside, padre Pittau. .Le aziende guardano da dove uno viene, nella convinzione che in un momento di difficoltà questi, può farcela, perché ce l'ha fatta a superare l'esame di quell'università, cosi duro». La «Sophia* è tra le prime quattro università private del Giappone. Ha 530 professori e diecimila studenti (un «numero chiuso* che è duemila l'anno), con tutte le facoltà eccetto Medicina. Dice idrgtdpapsnge il preside: «Il cento per cento dei nostri allievi appena laureati trovano posto nelle migliori aziende. Non conta il tipo di laurea, basta il nome dell'università a garantire per il giovane che deve essere assunto». Occorrono quattro anni per la laurea. Altri per il «master» e per il dottorato, ma nove su dieci si fermano alla laurea, che non ha valore legale e non forma specialisti, eccetto Medicina e Ingegneria. Dice il preside: «Le aziende e gli uffici governativi non vogliono gente specializzata, ma gente selezionata, colta e malleabile, pronta a ricevere. Negli Stati Uniti, ovunque, si cercano laureati preparati per un certo lavoro. In Giappone si vuole gente preparata a ricevere un'informazione. E' forse uno dei segreti della riuscita di questo Paese: gente pronta a ricevere e capace di adattarsi a nuove situazioni, a un cambio tecnologico». Dice il professor Bertoli: «I posti importanti nelle grandi aziende e negli uffici pubblici sono riservati a quelli che escono dalle migliori università; i posti medi a chi esce da atenei meno prestigiosi; il resto ad altri usciti da istituti senza fama. Molti che hanno la laurea "facile" vanno tranquillamente a fare gli operai». Dopo l'esame d'ammissione, ed entrato in una università, non ci sono più affanni per lo studente. Non c'è nemmeno troppo da faticare. Quelli universitari sono gli anni più spensierati. Superato l'esame ognuno vede chiaro il proprio futuro: questa università gli assicura quel certo posto con quel certo stipendio, automaticamente gli garantisce quella tale carriera e quei tali onori. Entrati in una università, non c'è più lotta. La lotta è incominciata alle elementari, anche prima, all'asilo, è stata aspra e crudele, è terminata con l'ammissione all'università. E' prima dei vent'anni che in Giappone si decide la condizione di un uomo, la sua riuscita sociale. Luciano Curino

Persone citate: Bertoli, Medicina, Pittau, Ueno