Un incubo cinese per i figli di Gengis Khan di Daniel Vernet

Un incubo cinese per i figli di Gengis Khan Viaggio nella Repubblica mongola stretta tra l'Unione Sovietica e la Cina Un incubo cinese per i figli di Gengis Khan Rivalità antiche - Pechino accusata di voler «annettere» anche l'eroe nazionale - Mao disse: «La Mongolia tornerà spontaneamente a noi» NOSTRO SERVIZIO PARTICOLARE ULAN BATOR — Il grande magazzino della capitale mongola assomiglia come una goccia d'acqua a quello di via Wang Fu Jing a Pechino. E' stato costruito dai cinesi negli Anni Cinquanta, quando i rapporti fra i due Paesi erano ancora buoni. Oggi è un'esposizione di tutta la produzione dei Paesi socialisti: occhiali da sole romeni, marmellata d'arance vietnamita, dipinti coreani, e persino rocchetti di filo di tutti i colori fabbricati a Leningrado, praticamente introvabili in Urss. Ma in fondo alle scale vi sono lunghe code davanti ai banchi che vendono mele cinesi. Queste mele sono praticamente tutto quello che resta del commercio fra Cina e Mongolia, relativamente florido negli Anni Cinquanta (nel 1960 rappresentava ancora il 18 per cento degli scambi con l'estero). Icinesi sono un argomento inesauribile per i mongoli. Su qualsiasi conversazione aleggia la minaccia di Pechino. Ricevendo le credenziali di un ambasciatore, il primo segretario del partito rivoluzionario del popolo mongolo e capo dello Stato, Tsedenbal, lamentava recentemente che i cinesi spingono in Mongolia animali malati per contaminare le greggi. La storia dei mongoli e dei cinesi, due popoli che rappresentano due grandi civiltà dell'Asia, luna nomade, l'altra sedentaria, è stata sempre contrassegnata da rivalità, solo in rari periodi dalla coesistenza. I mongoli rimproverano addirittura ai cinesi di voler «annettere* Gengis Khan. Chiedo a uno storico, vicepresidente dell'Accademia delle scienze di Ulan Bator, se consideri la Repubblica popolare mongola erede di Gengis Khan: «SI — risponde —, quell'epoca segnò l'indipendenza della Mongolia». Questa valutazione positiva del ruolo storico del grande conquistatore pone alcuni problemi con i teorici sovietici, i quali generalmente insistono soprattutto sul suo aspetto «imperialista» (nei confronti dei russi). Ma mongoli e sovietici concordano nel ritenere che «il carattere antipopolare degli articoli dei teorici maoisti su Gengis Khan costituisce un fatto politico allarmante». Trasformando Gengis Khan in eroe cinese, Pechino vuol riscrivere cioè la storia per fare politica. La storia moderna del Paese, come quella antica, è contrassegnata dalla rivalità con l'impero cinese; e i mongoli ogni volta sono andati a chiedere aiuto e protezione ai russi (o ai sovietici). La Mongolia è sempre stata tra l'incudine e il martello. Dopo la rivoluzione del 1921 e la proclamazione della Repubblica popolare, nel 1924, gli agenti del Komintern si installano nel Paese e applicano la politica decisa da Mosca. Mentre Stalin lancia in Urss la collettivizzazione forzata delle terre, i dirigenti mongoli avviano una «defeudalizzazione selvaggia* sulla quale saranno costretti a far marcia indietro dopo pochi anni, di fronte alla resistenza. L'indipendenza della Mongolia sotto tutela sovietica non piace al governo nazionalista cinese, ma non sta bene neppure a Mao e ai comunisti. I mongoli citano sempre una dichiarazione di Mao a Edgar Snow, nel 1936: «Dopo la rivo luzione popolare in Cina, la Mongolia tornerà spontanea mente alla grande Cina». Mo sca ha la tentazione di incorporare la Mongolia detta Esterna per contrapposizione a quella Interna, che è provincia cinese. Durante la guerra annettono il territorio di Tannu Tuva, a Nord-Est. Ma Stalin rinuncia a questo progetto, perché gli sembra più opportuno che la Rpm funga da Stato-cuscinetto fra le due potenze. Nel '45, l'indipendenza della Mongolia viene confermata con un referendum richiesto dalla conferenza di Yalta. I comunisti cinesi, pur avendo mandato un ambasciatore a Ulan Bator, continuano a premere su Mosca perché «regali* il Paese in segno di ringraziamento per la partecipazione della Cina alla guerra di Corea. E rinnovano più volte la richiesta, cosa che i mongoli citano volentieri per spiegare la continua «minaccia cinese». / successori di Mao, dicono a Ulan Bator, continuano la strategia dell'annessione degli imperatori manciù. E si parla di «quasi genocidio» dei mongoli in Cina. I rapporti culturali fra le due Mongolie sono stati rotti al momento della rivoluzione culturale. Il miglioramento dei rapporti fra Mongolia e Cina passa attraverso la normalizzazione Mosca-Pechino. La rottura fra le due capitali ha costretto Ulan Bator a scegliere un campo e ad avvicinarsi ancor più all'Urss, mentre negli Anni Cinquanta aveva approfittato del clima di distensione per crearsi un certo margine di manovra. Nel 1962 Tsedenbal firmò ancora un trattato sulle frontiere con Ciu En Lai, ma due anni dopo i lavo- rotori cinesi, a quell'epoca nu merosissimi in Mongolia, vennero improvvisamente richiamati. L'attacco cinese contro il Vietnam, nel 1979, ha suscitato vive preoccupazioni nel Paese, che ha 4 mila chilometri di confine con la Cina. I mongoli si sono sentiti in prima linea, anche perché denunciano in continuazione incidenti di frontiera nei quali i soldati di Pechino penetrerebbero in profondità nel territorio mongolo per «uccidere il bestiame». Un responsabile politico afferma che il conflitto sino-vietnamita ha dimostrato come «i cinesi siano capaci di qualsiasi cosa, anche di prendere le armi contro un Paese socialista. Per noi. è una lezione». Questo odio ancestrale e la paura dei potenti vicini spiega perché la presenza sovietica sia in fondo bene accetta. Rappresentanti di un'antica civiltà che ha conquistato l'Asia e gran parte dell'Europa nel XIII secolo, i mongoli hanno un certo complesso di superiorità nei confronti dei russi, che li proteggono però da un nemico ancestrale, come li hanno salvati nel 1939 dall'invasione giapponese. «Tutto il mondo sa — scnue un colonnello mongolo su Stella Rossa, il giornale dell'esercito sovietico — che il governo di Mosca ha sempre richiamato le sue unità dal territorio della Rpm dopo che avevano compiuto la loro missione internazionalista... Il problema dello stazionamento delle unità militari russe non si porrà più quando il motivo della loro presenza sarà finito, cioè quando la leadership cinese avrà rinunciato per sempre alla sua politica d'annessione». Daniel Vernet Copyright I/e Monde e per l'Italia Ij Stampa